Amministrazione di sostegno

10.04.2018

Le misure di protezione per i soggetti privi in tutto o in parte di autonomia. Verso l'abolizione dell'interdizione?

Nel nostro ordinamento la summa divisio tra diritti reali e diritti obbligatori si basa innanzitutto sul fatto che i primi, in quanto assoluti, sono tutelabili erga omnes, mentre i secondi sono diritti relativi tutelabili solo nei confronti di determinati soggetti.

L'assolutezza del diritto reale comporta l'esistenza per il suo titolare di un diritto di sequela sul bene che ne forma oggetto, consistente nella possibilità di perseguirlo e riottenerne la disponibilità nei confronti di chiunque lo detenga materialmente. [1]

Al vertice della categoria dei diritti reali si colloca la proprietà disciplinata dal Codice Civile negli artt. 832 e ss. e costituzionalmente tutelata ex art. 42 Cost., a mente del quale la stessa è riconosciuta e garantita dalla legge che ne fissa i modi di acquisto e di godimento, nonchè i limiti imposti al fine di assicurarne la sua funzione sociale. I diritti reali si suddividono in diritti reali di godimento su cosa propria (la proprietà) o su cosa altrui (superficie, enfiteusi, usufrutto, uso, abitazione e servitù) e diritti reali di garanzia (pegno e ipoteca).

La fonte più importante di diritto obbligatorio, invece, è il contratto, disciplinato nel Libro VI Titolo II del Codice Civile e inteso quale accordo stipulato tra due o più parti al fine di costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale sorto tra loro; proprio la regolazione di un questo determinato rapporto giustifica la tutela relativa dello stesso, assicurata solo nei confronti delle parti contraenti.

A differenza delle obbligazioni che ai sensi dell'art. 1173 c.c. possono sorgere da fonti diverse, quali il contratto, il fatto illecito e ogni altro atto o fatto idoneo a produrle e in forza dell'autonomia contrattuale riconosciuta dalla legge possono avere contenuto atipico, purchè meritevole di tutela ex art. 1322 c.2 c.c., i diritti reali costituiscono un numero chiuso e sono caratterizzati dalla loro necessaria tipicità.

L'ordinamento, infatti, preclude ai privati la possibilità di creare diritti reali diversi rispetto a quelli previsti dal legislatore e contestualmente gli inibisce la possibilità di modificarne la disciplina legale. Questo principio fondamentale di chiusura e tipicità dei diritti reali, seppur non codificato è desumibile dall'ordinamento ed è giustificato da ragioni di ordine pubblico economico.

Tuttavia, nel tempo si sono posti sempre maggiori contrasti in dottrina e in giurisprudenza circa l'attualità della sua portata, specialmente in conseguenza al sorgere di diritti di nuovo conio nella prassi negoziale: si pensi ad esempio alla multiproprietà, ad oggi tipizzata dal legislatore con normative apposite. Nonostante ciò, possiamo dire che il principio del numero chiuso rimane tuttora presente e, secondo alcune tesi, sarebbe giustificato dal rischio che il proliferare di diritti reali atipici possa rendere la proprietà eccessivamente gravata e quindi poco produttiva da un lato e di difficile circolazione dall'altro.

Al contrario, al divieto di atipicità è riconosciuta un'elasticità maggiore essendo possibile derogare alla sua portata adattando il contenuto dei diritti reali nominati alle esigenze concrete, senza alterarne gli elementi essenziali; si pensi alla possibilità ormai pacificamente ammessa di creare servitù volontarie atipiche.

Premessi in generale i tratti distintivi delle due tipologie di diritti e specificate le caratteristiche del diritto reale, analizziamo le problematiche che si sono poste con riferimento alla configurazione, nel nostro ordinamento, di un diritto di servitù di parcheggio. Si premette che il diritto di servitù è un diritto reale di godimento su cosa altrui disciplinato dagli art. 1027 e ss del Codice Civile e definito quale peso imposto su un fondo (detto fondo servente) per l'utilità di un altro fondo (c.d. dominante) appartenente a diverso proprietario. Dall'art. 1028 c.c. si ricava che l'utilità per il fondo dominante deve consistere in una maggior comodità o amenità che deve necessariamente esistere per giustificare la costituzione di un diritto di servitù.

Come analizzato nelle premesse, a differenza del principio del numero chiuso che si ritiene inderogabile per i diritti reali, il principio di tipicità risulta, invece, temperato essendo ormai pacificamente riconosciuta la possibilità di configurare diritti reali atipici, purchè basati sulla struttura essenziale prevista dalla relativa regolamentazione.

Con riferimento alla servitù atipica di parcheggio, di recente la Cassazione a Sezioni semplici[2], ponendosi in linea con l'orientamento già espresso nel 2017[3], ne ha ammessa la configurabilità, laddove la stessa venga strutturata secondo lo schema dell'art. 1027 c.c., e venga demandato al giudice il potere di accertare, caso per caso, la ricorrenza delle condizioni prescritte dalla norma, nonchè l'effettiva sussistenza dell'elemento dell'utilitas per il fondo dominante.

La questione dell'ammissibilità di una servitù di tale portata non è condivisa da chi riscontra, in capo alla stessa, un'utilità strettamente personale del proprietario dell'auto e non un'utilità per il fondo dominante, come richiesto invece dalla disciplina codicistica. Tale orientamento era stato inizialmente accolto dalla Cassazione nel 2014[4], la quale aveva sostenuto, appunto, che per potersi parlare di servitù prediale fosse necessaria sempre l'utilità per il fondo dominante e non solo per il proprietario del fondo stesso. Ne conseguiva, secondo questo orientamento, la nullità del contratto che avesse effettuato il riconoscimento di una servitù già esistente o che avesse costituito una servitù a favore di terzo, essendo in entrambi i casi nulla la volontà negoziale per impossibilità dell'oggetto.

Come poc'anzi premesso, tale obiezione è stata superata dapprima nel 2017 e da ultimo recentemente con la Cassazione del 2019, che ha affermato che non si possa escludere in astratto l'esistenza di siffatta servitù, potendo venire in rilievo, in concreto, un'utilità per il fondo dominante, o meglio per la sua migliore utilizzazione, e non solo un vantaggio per le persone che concretamente ne beneficino.

Difatti, precisa la Corte che "per l'esistenza di una servitù non rileva la natura del vantaggio previsto dal titolo, ma il fatto che esso sia concepito come qualitas fundi in virtù del rapporto, istituito convenzionalmente, di strumentalità e di servizio tra gli immobili, in modo che l'incremento di utilizzazione che ne consegue deve poter essere fruito da chiunque sia proprietario del fondo dominante, non essendo imprescindibilmente legato ad una attività personale del singolo beneficiario. Entro tali limiti, qualunque utilità che non sia di carattere puramente soggettivo e che si concretizzi in un vantaggio per il fondo dominante, in relazione alle caratteristiche e alla destinazione del diritto, può assumere carattere di realità".

Avv. Giulia Solenni