L’Arbitro nelle competizioni sportive, una figura al limite tra il privato risolutore di una controversia e pubblico ufficiale.
Le sempre più frequenti notizie di cronaca circa gli episodi violenti nei confronti dei giudici di gara nel calcio ci pongono dinanzi ad un dubbio sullo status giuridico di questa categoria, tanto vessata quanto fondamentale per garantire regolarità alla competizione sportiva. Attraverso una analisi ricostruttiva giurisprudenziale, l'autore vuole evidenziare i differenti orientamenti che contribuiscono a fornire un profilo giuridico delineato agli Ufficiali di gara.
Prima
di iniziare a trattare nello specifico il tema oggetto dell'articolo, è utile,
per una migliore comprensione del lettore, introdurre il concetto di giustizia
tecnica.
All'interno di ogni manifestazione sportiva, nella quale si rendono necessarie una serie di valutazioni tecniche alla luce delle regole istituite per ogni competizione, è fondamentale la designazione di un soggetto terzo ed indipendente, che assuma le redini dei processi valutativi quale ufficiale di gara: l'arbitro, il direttore di gara oppure il giudice-arbitro in determinate discipline sportive.
Da sempre, in dottrina ed in giurisprudenza, si è discusso a lungo sullo status giuridico dell'ufficiale di gara e, come vedremo, soltanto da ultimo, alcune pronunce di merito sembrano aver definitivamente chiarito l'inquadramento. Sebbene sia pacifico il riconoscimento del carattere pubblicistico del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (C.O.N.I.), secondo quanto espressamente disciplinato dal decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242 (c.d. Melandri), non possono di conseguenza essere dotate del medesimo status le Federazioni affiliate.
Attualmente,
quindi, l'arbitro, lungi dall'essere considerato pubblico ufficiale, viene
inquadrato come soggetto terzo ed indipendente, al quale le parti possono far
decidere le controversie, tra di loro insorte, in una accezione simile
all'istituto dell'arbitrato di matrice processualcivilistica[1].
Non sono mancate, però, ricostruzioni giurisprudenziali che propendono per l'accezione pubblicistica dell'ufficiale di gara, sostenuta da sparute pronunce di merito[2] che non mancano di sottolineare l'interesse pubblico a che la competizione sportiva sia svolta regolarmente. Sulla scorta di qualificazioni giuridiche, certamente esasperate, si sono, più volte e a torto, sporte querele nei confronti di ufficiali di gara per falso materiale in atto pubblico[3], come nel caso dell'arbitro Chiesa di Milano nella gara del Campionato di Calcio di Serie A tra Genoa e Pescara del 1992. Il giudice competente, però, confutò il teorema accusatorio, accogliendo un orientamento giurisprudenziale consolidato dalla Suprema Corte che, invece, non riconosceva l'arbitro quale pubblico ufficiale[4].
Il c.d. errore tecnico (nella specie l'aver ammonito due volte il calciatore, senza averlo conseguentemente espulso), riconosciuto soltanto nelle fattispecie di chiari errori di applicazione delle regole del gioco, può essere valutato soltanto ai fini dell'ordinamento sportivo dal competente giudice, in ragione dell'autonomia dello stesso, riconosciuta sempre più, a fortiori, dal dettato normativo e dal panorama giuridico endo-federale. Si può adesso ben comprendere come possa escludersi, anche a livello pratico, una qualificazione pubblicistica dell'ufficiale di gara: la dottrina minoritaria, che ha sempre tentato di propendere per l'interesse pubblico dell'attività arbitrale, per sostenere la tesi, ha utilizzato come punto di forza l'opportunità per l'arbitro di poter richiedere l'intervento della forza pubblica a determinate condizioni. L'obiezione può essere mossa nel ritenere che la condicio sine qua non che regola l'intervento della forza pubblica, su istanza dell'ufficiale di gara, è la stessa spettante ad ogni privato cittadino.
Le decisioni che il direttore di gara assume all'interno di ogni terreno di gioco, come già visto in precedenza, sono inappellabili, ed è il chiaro riconoscimento della preminenza della giustizia tecnica nella competizione sportiva. A parziale riforma del tradizionale canone dell'inappellabilità delle decisioni dell'ufficiale di gara, è utile qui accennare ad uno strumento innovativo di recente sperimentazione e conseguente adozione nel Calcio che mitiga il tradizionale principio dell'inappellabilità della decisione tecnica, operando quale giudizio di revisione: il Video-Assistant Refereeing (c.d. VAR). Attraverso lo studio dell'appendice al Regolamento del gioco del calcio, possiamo constatare quanto questo nuovo strumento tecnologico non si sostituisca all'arbitro, quale giudice tecnico sul terreno di gioco, bensì operi per revisionare dei chiari ed evidenti errori dei quali l'arbitro non ha avuto contezza.
Oltre alle peculiarità della qualificazione giuridica in merito alla regolarità o meno della competizione sportiva, è utile tracciare l'importanza della sanzione nelle non rare occasioni nelle quali l'ufficiale di gara è soggetto offeso in reati violenti perpetrati da tesserati o, nei casi più gravi e purtroppo noti alla cronaca, da sostenitori accaniti, lontani dai veri principi di cui lo Sport deve essere promotore. Sempre più si sono acuite le situazioni di violenza nei confronti di direttori di gara e la non sempre celere autorizzazione all'adire le vie legali da parte delle Federazioni ha, impedito, specie nei casi di lesioni minori, una efficiente opera di general-prevenzione.
L'equiparazione a pubblico ufficiale potrebbe prevenire, attraverso l'istituzione di più oculate sanzioni, l'annoso problema degli episodi violenti nei confronti di giovani arbitri, specie nei campionati dilettantistici, al netto di eventuali abnormità giuridiche che potrebbe portare considerando il vasto catalogo dei reati propri nella parte speciale del diritto penale[5].
Una
proposta di istituzione di una norma penale ad hoc nel caso di c.d. violenza
sportiva è stata avanzata, in recenti lavori parlamentari e potrebbe
parzialmente mitigare l'annoso problema garantendo delle pene più severe,
rispetto ai reati di lesioni semplici, oltre a prevedere condizioni di
procedibilità più efficienti rispetto alle attuali, eliminando l'obbligatorietà
della querela di parte ed introducendone una d'ufficio. Un ultimo strumento
che, a nostro avviso, potrebbe diminuire notevolmente questa piaga endemica nel
mondo dello Sport è la previsione di DASPO nei confronti dei soggetti rei di
aver perpetrato violenze nei confronti degli ufficiali di gara.
Dott. Gianmarco Meo
[1] Codice di procedura civile, art. 806, co. 1, "Le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge".
[2] Pretura di Castelfranco Veneto (TV), 29 novembre 1985, si veda in proposito UMBERTO CALANDRELLA, La tutela dell' arbitro prima, durante e dopo la gara, ne L' amministrazione italiana, 1994, fasc. 2, pagg. 248- 254;
[3] Codice penale, art. 476, "Il pubblico ufficiale, che, nell'esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni.
Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni."
[4] Corte di Cassazione, 11 ottobre 1973, n. 866
[5] Si veda in riferimento le disposizioni di cui al Capo II, Titolo II - Delitti dei privati contro la pubblica amministrazione, codice penale (artt. 336 c.p. ss.)