E' legittimo l’arresto in flagranza per detenzione di stupefacenti se l’indagato non è presente in casa?
Cass. Pen., Sez. III, Sent. del 13 marzo 2024 n. 10465
La pronuncia in esame origina dalla convalida dell'arresto da parte del GIP per il reato di cui all'art. 73 D.P.R. n. 309/1990, con contestuale applicazione della misura degli arresti domiciliari. La difesa proponeva ricorso per Cassazione, articolando due motivi.
Con il primo il ricorrente lamentava l'illegittimità dell'arresto, stante l'assenza dei presupposti, non essendo stato il presunto reo colto in flagranza o nella quasi flagranza. Con il secondo rilevava il vizio di motivazione, non essendo state argomentate nell'ordinanza di convalida le ragioni sulla scorta delle quali ritenere legittimo l'arresto eseguito da parte delle Forze dell'Ordine.
La Corte è, quindi, tornata a ribadire i concetti di flagranza e di quasi flagranza, condizioni indispensabili per procedere all'arresto, richiamando il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite del 2015 (cfr. Sent. n. 39131 del 24/11/2015).
Partendo dal dato normativo, si nota come la disciplina codicistica sia chiara nel ritenere che, affinché gli organi di Polizia Giudiziaria possano legittimamente limitare la libertà personale in assenza di un preventivo intervento dell'A.G., è necessario che sussista lo stato di flagranza che, a mente dell'art. 382 c.p.p., si realizza quando il soggetto "è colto nell'atto di commettere il reato".
A tale condizione viene equiparato lo stato di "quasi flagranza", in cui versa colui che "subito dopo il reato, è inseguito dalla Polizia Giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima".
Nel caso di specie la convivente dell'arrestato aveva informato le Forze dell'Ordine della presenza all'interno dell'appartamento di sostanza stupefacente, effettivamente rinvenuta all'esito della perquisizione domiciliare, espletata tuttavia in assenza dell'indagato, arrestato solo in una seconda fase.
Nell'ordinanza di convalida il GIP, ritenendo "l'arresto eseguito nella flagranza del reato di cui all'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990" e nel rispetto dei limiti temporali e art. 380 c.p.p., ha omesso di motivare gli elementi dai quali presumere la condizione di "flagranza" o di "quasi flagranza" nel reato di detenzione ai fini di spaccio, limitandosi a ritenere nella disponibilità dell'arrestato lo stupefacente occultato in casa ed indicato dalla di lui convivente, pur essendo pacifica l'assenza dello stesso in casa.
E proprio tale circostanza a parere degli Ermellini richiederebbe un quid motivazionale, al fine di fornire elementi idonei logicamente ad attestare lo stato di "quasi flagranza", qualora sulla sussistenza della stessa sia stata giustificata la misura precautelare (e poi cautelare degli arresti domiciliari).
Sulla scorta di tali considerazioni la Suprema Corte ha, dunque, ritenuto di annullare con rinvio la sentenza impugnata, rilevando come sarebbe stata necessaria un'adeguata dimostrazione dell'eventuale condizione legittimante l'esecuzione dell'arresto, non potendo prescindere dall'immediata ed autonoma percezione conseguita dagli appartenenti alla Polizia Giudiziaria che abbiano eseguito la misura delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l'indiziato (cfr. Cass. Pen., Sez. IV, Sent. del 16 gennaio 2019, n. 1797), percezione non surrogabile dalle dichiarazioni rese dalla vittima del reato o da terzi anche nell'immediatezza del reato (cfr. Cass. Pen., Sez. IV, Sent. del 11 maggio 2017, n. 23162).