Art. 27 Codice Deontologico Forense: doveri di informazione
Nel rapporto fiduciario che si instaura tra l'avvocato e il cliente vigono determinati obblighi che costituiscono parte integrante del rapporto di "mandato professionale" tra le parti.
Nell'ambito di tale rapporto e all'interno dei doveri che l'avvocato ha nei confronti del proprio cliente, si immette un onere particolarmente rilevante che il legale deve assumere nei confronti di chi gli ha conferito l'incarico.
Tale onere, previsto dal Codice Deontologico Forense, il quale racchiude tutti i comportamenti a cui l'avvocato deve conformarsi nell'esercizio della sua professione, è definito dall'art. 27 come "Doveri di informazione".
Tale disposizione si colloca all'interno del Titolo secondo del Codice, rubricato "Rapporti con il cliente e con la parte assistita", Titolo nel quale viene passato in rassegna il complicato rapporto tra cliente e avvocato, fatto di doveri vicendevoli.
Il canone primo dell'art. 27 Codice Deontologico Forense sottolinea l'importanza che l'assistito non sia all'oscuro della strategia che l'avvocato intende adottare per difenderlo al meglio. Tra l'altro, le informazioni che sono fornite al cliente devono essere chiare e comprensibili, tenendo conto del fatto che quest'ultimo non ha quasi mai nozioni di base di diritto; pertanto, la terminologia da utilizzare deve essere idonea al caso concreto e, soprattutto, accessibile al quisque de populo. Informazioni troppo complicate, volte a mettere in mostra le capacità del difensore, non sono utili al cliente per comprendere la situazione in cui si trova e le possibili strade percorribili.
Come affermato in molteplici occasioni dalla giurisprudenza, i doveri di informazione incombenti sull'avvocato si ritengono parte del generale dovere di diligenza nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale di cui all'art. 1176 comma 2 c.c.
In particolare, si ritiene che "nell'adempimento dell'incarico professionale conferitogli, l'obbligo di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui all'art. 1176 c.c., comma 2 e art. 2236 c.c., impone all'avvocato di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest'ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole" (Cass. n. 19520/2019). A tal fine, "incombe su di lui l'onere di fornire la prova della condotta mantenuta, insufficiente al riguardo peraltro essendo il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie all'esercizio dello jus postulandi, stante la relativa inidoneità ad obiettivamente ed univocamente deporre per la compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l'assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull'opportunità o meno d'iniziare un processo o intervenire in giudizio" (Cass. n. 8312/2011).
Quanto ai mezzi difensivi adottati, stabile orientamento della giurisprudenza di legittimità ritiene che l'avvocato sia l'unico responsabile anche se questi sono stati indicati dal cliente. Per la Cassazione (Cass. n. 10289/2015) "la responsabilità professionale dell'avvocato, la cui obbligazione è di mezzi e non di risultato, presuppone la violazione del dovere di diligenza media esigibile ai sensi dell'articolo 1176 c.c., comma 2; tale violazione, ove consista nell'adozione di mezzi difensivi pregiudizievoli al cliente, non è né esclusa né ridotta per la circostanza che l'adozione di tali mezzi sia stata sollecitata dal cliente stesso, essendo compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell'attività professionale".
Con il secondo canone, si vuole mettere in evidenza la necessità che la parte assistita non solo conosca la strategia difensiva, ma abbia contezza anche di tutti gli aspetti della vicenda processuale, come la durata del procedimento e i possibili oneri che dovrà sostenere.
Chiaramente è buona norma indicare fin da subito quale possa essere la spesa che il cliente dovrà sostenere anche per remunerare il suo difensore, di modo che possa immediatamente riflettere sul da farsi.
Il canone terzo è stato modificato con delibera del Consiglio Nazionale Forense il 23.02.18, eliminando, dopo la parola "informare", l'inciso "la parte assistita" e inserendo, dopo la parola "chiaramente", la frase "la parte assistita della possibilità di avvalersi del procedimento di negoziazione assistita e, per iscritto".
Questa previsione fa esplicitamente riferimento alla possibilità di risolvere una controversia mediante percorsi differenti rispetto al procedimento di fronte al giudice, come nel caso del procedimento di mediazione, nel quale diventa indispensabile la presenza di un mediatore, ossia di un soggetto in grado di far emergere gli interessi delle parti e di condurle ad un accordo pacifico che soddisfi in parte entrambe, senza stabilire chi abbia ragione e chi abbia torto. Il compito del difensore è quello di comunicare al cliente la presenza di queste soluzioni rispetto al caso concreto, sebbene spetti a quest'ultimo decidere se accogliere o meno questa proposta in base alle proprie esigenze.
Altri canoni in cui si manifesta distintamente il dovere di informazione sono il quarto e il quinto. Il primo fa riferimento al fatto che, qualora siano presenti i requisiti richiesti dalla legge, l'assistito può ricorrere alla difesa non a spese proprie, bensì a spese dello Stato; il secondo, invece, permette al cliente, in caso di responsabilità professionale del difensore, di rivalersi sulla sua assicurazione.
Più nel dettaglio, la trasgressione dei doveri di informazione può provocare il verificarsi di una responsabilità civile. Il difensore, omettendo le doverose comunicazioni al cliente, corre il rischio di rispondere dei danni causati dalla propria condotta. La suddetta responsabilità sussiste tuttavia solo se il danno è conseguenza diretta dell'inadempimento del difensore.
I canoni sesto, settimo e ottavo si riferiscono tutti al generale dovere di informazione durante lo svolgimento del mandato.
Dalla lettura di queste disposizioni si deduce che, se è vero che il difensore deve tenere informato il cliente in maniera costante di tutto ciò che accade nel corso del procedimento, è pur vero che, come previsto dall'art. 48 comma 3 del suddetto Codice, esiste il divieto di produrre la corrispondenza riservata scambiata con un altro collega.
Inoltre, il sesto canone è rilevante anche poiché parte della giurisprudenza ha in diverse occasioni affermato che i professionisti sono responsabili già al momento della consulenza, ovvero nei casi in cui gli incarichi hanno ad oggetto un'attività stragiudiziale.
Si è sostenuto che "a maggior ragione l'onere d'informare il cliente in ordine alle questioni di fatto o di diritto che impediscano o rendano difficoltoso il perseguire la realizzazione di un determinato interesse e ai rischi ai quali possa esporre il tentativo di tale realizzazione incombe sull'avvocato ove l'incarico professionale ricevuto e accettato abbia ad oggetto non un'attività giudiziale conseguenza immediata e diretta del conferimento d'un mandato ad litem, bensì un'attività stragiudiziale (preordinata o meno che sia ad una successiva attività giudiziale, stante la latitudine dell'attività consultiva) intesa alla formulazione d'un parere" (Cass. n. 16023/2002).
I canoni settimo e ottavo, invece, illustrano esaurientemente quali siano i doveri di informazione non solo nel momento in cui viene conferito il mandato, ma anche nel corso dell'espletamento del mandato stesso.
L'ultimo canone, il nono, tipicizza quelle che sono le sanzioni conseguenti la violazione di questa disposizione.
Dalla lettura della norma si deduce che, in caso di violazione dei doveri di informazione, l'avvocato rischia di incorrere in sanzioni disciplinari di diversa gravità a seconda dell'importanza dei doveri oltraggiati.
In particolare, il legale che non fornisca le informazioni nodali alla parte assistita all'atto del conferimento dell'incarico o che non manifesti gli estremi della sua assicurazione, si espone al pericolo di incorrere nella sanzione disciplinare dell'avvertimento, la quale consiste nell'informare il difensore in merito al fatto che la sua condotta non è stata confacente alle norme deontologiche e di legge, con l'invito ad astenersi dal compiere altre infrazioni.
Al contrario, la trasgressione degli altri doveri comporta l'applicazione della sanzione disciplinare della censura, che consiste nel biasimo formale e si applica quando la gravità dell'infrazione, il grado di responsabilità, i precedenti del difensore e il suo comportamento successivo al fatto inducono a ritenere che egli non incorrerà in un'altra infrazione.
Alla luce di quanto affermato, è possibile concludere che il dovere di informazione sta alla base del rapporto che lega difensore e parte assistita, la quale deve potersi fidare del professionista e, nello stesso tempo, affidarsi a questo.
Il compito principale dell'avvocato è quello di difendere al meglio delle proprie capacità il cliente e, per farlo, deve non solo dimostrare di avere una serie di capacità e competenze, ma soprattutto deve essere esplicito e chiaro con il su citato rispetto alle scelte che intende compiere al fine di ottenere il miglior provvedimento possibile per il cliente, facendo emergere le sue esigenze e i suoi interessi.
Un difensore che basa il suo rapporto con l'assistito sulla fiducia è un professionista che ha realmente compreso quali siano i suoi obblighi e doveri.