L’art. 660 c.p. può essere applicato analogicamente alle molestie effettuate mediante sistemi di messaggistica?

21.12.2024

Cass. pen., Sez. I, 06 Giugno 2023, n. 40033 

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Il principio di tassatività rappresenta un corollario del principio di legalità, il cui fondamento normativo risiede nell'art. 25 Cost., e attiene all'interpretazione delle norme, esprimendo il divieto per il Giudice di estendere la portata delle norme incriminatrici oltre i casi in esse espressamente previsti (c.d. divieto di analogia).

L'interpretazione analogica è quell'operazione ermeneutica – prevista dall'art. 12 preleggi c.c. – mediante la quale si estende la portata di una norma, applicandola ad un caso non contemplato (lacuna normativa) e tuttavia simile a quello ivi previsto, in quanto caratterizzato dalla medesima ratio legis.

L'art. 14 delle preleggi c.c. esprime il divieto di applicazione analogica delle norme, tuttavia tale divieto assume carattere relativo, nel senso che riguarda soltanto l'applicazione analogica in malam partem e non anche quella in bonam partem.

L'interpretazione estensiva (diversa dall'interpretazione analogica), invece, ricorre quando si fa riferimento ad uno dei possibili significati deducibili dal testo normativo.

La distinzione tra interpretazione analogica ed estensiva è talvolta problematica, difatti è sorto un contrasto giurisprudenziale in ordine alla riconducibilità o meno alla locuzione "con il mezzo del telefono", di cui all'art. 660 c.p., della messaggistica telematica (in particolare della messaggistica via Whatsapp).

Una prima tesi nega la possibilità che le molestie a mezzo messaggistica telematica integrino l'elemento materiale della contravvenzione di cui all'art. 660 c.p., valorizzando l'assenza di comunicazione sincrona tra utenti e la conseguente assenza di una incontrollata possibilità di intrusione nell'altrui sfera privata; una seconda tesi, invece, ritiene che le molestie a mezzo di messagistica telematica siano suscettibili di integrare l'elemento materiale di cui all'art. 660 c.p., dovendo interpretare evolutivamente il diritto e quindi superare l'inefficace distinzione tra comunicazione sincrona e asincrona, valorizzando invece l'invasività del mezzo impiegato.

In data 03.10.23, con la pronuncia n. 40033, interviene la prima sezione della Cassazione, la quale aderisce al primo orientamento, ma tiene conto anche di alcuni approdi del secondo orientamento.

Più in particolare, con sentenza del 20.09.22 la Corte di Appello di Caltanissetta, riformando la pronuncia di primo grado e riqualificando il fatto, originariamente contestato come reato di cui all'art. 612 bis c.p., in quello di cui all'art. 660 c.p., ha condannato Tizia alla pena di mesi 2 di arresto per aver inviato una richiesta di amicizia su FB ai figli naturali, per aver inviato messaggi dello stesso tipo ai genitori adottivi di questi, per aver contattato tramite FB e IG la nonna paterna adottiva dei minori e per aver postato, sempre su FB e IG, fotografie ritraenti i propri figli naturali insieme ai genitori adottivi, apponendovi sopra la frase "i miei figli".

Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione l'imputata, deducendo con il primo motivo l'inosservanza del disposto di cui all'art. 660 c.p., in quanto prevede che il mezzo dell'azione molesta sia il telefono e non altri differenti strumenti che interagiscono con il destinatario in modalità asincrona, e deducendo con il secondo motivo la mancata applicazione dell'art. 131 bis c.p., applicabile a seguito della riqualificazione del fatto in quello di molestia.

La Suprema Corte ha affermato che la distinzione tra comunicazione sincrona e asincrona ha perso rilevanza, in favore del parametro dell'invasività e dell'intrusività del mezzo utilizzato e della correlata, concreta possibilità del soggetto passivo di sottrarsi all'interazione sgradita. La Corte ha valorizzato altresì la circostanza che il progresso tecnologico abbia incrementato i mezzi a disposizione del destinatario delle comunicazioni per frapporre una barriera tra sé e i messaggi sgraditi (es. silenziare i messaggi non voluti), precisando che le notifiche dei messaggi attualmente possono essere attivate per scelta libera del soggetto ricevente. In tale ultimo caso, ad avviso della Cassazione, non si configurerebbe il reato di cui all'art. 660 c.p., in quanto il destinatario della comunicazione può sottrarvisi, apponendo un filtro alla comunicazione.

La Corte, dunque, giunge ad affermare il seguente principio di diritto: "In un sistema di messaggistica telematica che ormai, per effetto dell'ulteriore progresso delle telecomunicazioni, permette ai destinatari di sottrarsi sempre all'interazione immediata con il mittente ponendo un filtro al rapporto con il soggetto che invia il messaggio molesto, l'equiparazione tra invasività delle comunicazioni moleste effettuate tramite sistemi di messaggistica telematica e quella delle comunicazioni tradizionali effettuate con il mezzo del telefono non si giustifica più, perché la circostanza che il messaggio telematico abbia assunto quella maggiore invasività che lo rende assimilabile alla telefonata molesta dipende non da una scelta del soggetto che invia, ma da una scelta del soggetto che riceve" (la Cassazione annulla con rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste).

Alla luce di ciò, la Suprema Corte ha ritenuto non solo che la distinzione tra comunicazione sincrona e asincrona abbia perso di importanza, in favore del parametro dell'invasività e dell'intrusività del mezzo utilizzato e della possibilità del soggetto passivo di sottrarsi all'interazione sgradita, ma ha anche concluso che la comunicazione via messaggio non possa essere equiparata a livello di intrusività/invasività a quella telefonica, ben potendo il soggetto ricevente impedire la molestia con semplici azioni, come bloccare il molestatore o non rispondere allo stesso. Le molestie a mezzo messaggistica telematica, dunque, stante quanto affermato sopra dalla Cassazione, non integrino l'elemento materiale della contravvenzione di cui all'art. 660 c.p., non potendo tale norma essere applicata analogicamente.

Avv. Laura Giusti