L’autonomia differenziata: cos’è e come funziona
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È notizia degli ultimi giorni che il Senato ha approvato in
prima lettura con 110 voti favorevoli, 64 contrari e 30 astenuti il disegno di
legge n. 615 sull'autonomia differenziata, presentato dal Ministro per gli
affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli.
La nuova proposta prevede l'applicazione dell'art. 116 co. 3 della Costituzione secondo cui è possibile accordare alle regioni a statuto ordinario una serie di materie di competenza esclusiva dello Stato.
Lo scopo del ddl Calderoli è l'attuazione del principio di sussidiarietà: esso inerisce i rapporti tra i diversi livelli di potere e comporta che lo svolgimento delle funzioni pubbliche debba essere svolto dal livello più vicino ai cittadini sempre che lo stesso sia capace di garantire la corretta gestione. Pertanto l'ente di livello superiore non deve intervenire, ma sostenerne l'azione.
Con il termine autonomia si intende la situazione in cui un ente territoriale, come una Regione, detiene propri poteri legislativi, amministrativi e impositivi riconosciuti e garantiti dalla Costituzione italiana.
La nostra Carta fondamentale, fin dai tempi del secondo dopoguerra, ha previsto una progressiva trasformazione "federale" dello Stato. Anche se le Regioni sono state introdotte nell'ordinamento giuridico con l'entrata in vigore della Carta Costituzionale il 1º gennaio 1948, l'istituzione vera e propria delle stesse è avvenuta solo nel 1970[1].
Le forme di autonomia previste sono le seguenti: l'autonomia ordinaria, l'autonomia speciale (adottata da Valle d'Aosta, Trentino Alto Adige con le due provincie autonome di Trento e Bolzano, Friuli Venezia Giulia, Sardegna e Sicilia) e l'autonomia differenziata.
Quest'ultima è stata introdotta grazie alla legge Costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001 che ha riformato il titolo V della Costituzione, comportando la piena attuazione all'art. 5 il quale esplica i caratteri della Repubblica Italiana, affermando l'unitarietà e l'indivisibilità, la promozione e il riconoscimento delle autonomie locali e il decentramento amministrativo.
Detti principi, anche se in apparenza contrastanti tra loro, stimolano l'efficacia e la tutela delle autonomie territoriali nel quadro di un contesto statale unitario e indivisibile.
Detta disposizione viene comunque declinata nell'art. 116 della Costituzione il quale al co. 3 prevede che le regioni a statuto ordinario, nelle materie assegnate alla competenza concorrente[2] e in alcune materie assegnate alla competenza esclusiva dello Stato, possano richiedere ulteriori forme di autonomia, potendo così gestire in maniera indipendente vari aspetti del proprio territorio: ciò in quanto solo chi è più a contatto con il territorio può meglio conoscere le esigenze del territorio stesso.
Pertanto l'autonomia territoriale è riconosciuta come principio fondamentale della Repubblica Italiana e viene promosso il decentramento amministrativo quale dislocazione di poteri e funzioni a garanzia della libertà, della democrazia, dell'efficacia dell'azione di governo e, come obiettivo posto dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) dell'efficienza nell'utilizzo delle risorse.
Quanto detto, nonostante i numerosi tentativi, fino ad ora non ha trovato attuazione.
Già agli inizi degli anni Novanta il consiglio regionale Veneto ha approvato la prima proposta di indire una consultazione elettorale al fine di chiedere al popolo l'approvazione per la conversione dello statuto della regione da ordinario a speciale.
Il governo allora in carica, però, ha impugnato la legge regionale che è stata annullata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 470 del 10-24 novembre 1992 con cui è stato ritenuto che il referendum non avesse efficacia vincolante e in tal senso non poteva esercitare la sua influenza nei poteri di iniziativa spettanti al Consiglio regionale e nelle successive fasi del procedimento di formazione della legge statale.
A seguire, nel 1998 la Regione del Veneto ha proposto nuovamente la richiesta di referendum sull'autonomia, ma anche in questo caso il provvedimento, dopo essere stato impugnato dal governo, è stato annullato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 496 del 27 ottobre 2002 per le stesse motivazioni indicate nella precedente.
Nel corso dell'anno 2000, assieme a Lombardia, Piemonte e Liguria, il consiglio regionale Veneto ha approvato una legge per istituire un referendum consultivo e ciò al fine di presentare una proposta di legge costituzionale che comportasse il trasferimento alle regioni delle funzioni in materia di sanità, polizia locale, formazione professionale ed istruzione.
Come in passato, il governo in carica ha impugnato il provvedimento, ma l'esecutivo seguente ha provveduto a ritirare il ricorso.
Da ultimo, il 22 ottobre 2017 sia in Lombardia che in Veneto si è svolto il referendum consultivo
con il quale è stato chiesto ai cittadini di esprimere la loro volontà in merito all'autonomia regionale.
I quesiti posti nelle suddette regioni erano apparentemente differenti.
Nel Veneto è stata posta la seguente domanda: "Vuoi che alla regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?", mentre la regione Lombardia ha citato espressamente l'art. 116 co. 3 della Costituzione.
Essendo stato raggiunto il quorum, i consigli regionali hanno esaminato l'argomento oggetto del referendum.
Visto il prevalere dei voti favorevoli, i Presidenti della Giunta regionale hanno presentato all'assemblea legislativa una serie di trattative da condurre con l'esecutivo statale al fine di conseguire l'autonomia differenziata.
L'introduzione di ulteriori forme e condizioni di autonomia differenziata avviene oggi mediante una legge ordinaria rinforzata dello Stato.
L'atto di iniziativa è deliberato dalla Regione richiedente, previo parere degli enti locali.
Di seguito è necessario che i Ministri competenti per materia e il Ministro dell'economia e delle finanze forniscano la loro valutazione.
Poi l'atto di iniziativa viene trasmesso al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, ai quali spetta il compito di iniziare l'iter negoziale con la Regione interessata affinché l'intesa venga approvata.
Lo schema di intesa preliminare, dopo aver ricevuto
l'approvazione della Conferenza unificata
Stato – Regioni e dei competenti organi parlamentari, è trasmesso alla Regione interessata
che lo approva secondo le modalità stabilite nell'ambito della propria
autonomia statutaria.
Ai sensi dell'art. 116 co. 3 della Costituzione il disegno di legge di approvazione dell'intesa e la stessa intesa che ne costituisce l'allegato sono trasmessi alle Camere per la deliberazione.
Ogni Camera deve dare la propria approvazione con la maggioranza assoluta dei rispettivi componenti.
La durata dell'intesa è individuata nell'intesa stessa, ma il periodo di validità non può superare i dieci anni.
Allo scadere è previsto il rinnovo, salvo diversa volontà dello Stato o della Regione che deve essere espressa almeno dodici mesi prima del termine.
L'intesa, inoltre, può essere modificata con le stesse modalità previste per la sua conclusione.
Il ddl Calderoli, composto da 11 articoli, stabilisce in modo dettagliato il procedimento legislativo e amministrativo necessario per l'attuazione del co. 3 dell'art. 116 delle Costituzione.
Le regioni italiane, attraverso un processo di negoziazione con lo stato, hanno la possibilità di richiedere l'attribuzione nelle loro competenze di 23 differenti materie che includono settori cruciali come la tutela della salute, l'ambiente, lo sport, il commercio con l'estero, l'istruzione, l'energia, i trasporti.
Si precisa che non esiste un numero minimo di materie che le regioni possono chiedere, tanto che Veneto e Lombardia hanno chiesto di poter decidere in tutte le materie.
Viene, quindi, lasciata una flessibilità di scelta in funzione delle specifiche esigenze di ogni regione.
Il trasferimento di funzioni dalle competenze statati a quelle regionali avverrà solo dopo la conferenza Stato - Regioni e successivamente alla determinazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) che garantiscono i diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale.
Essi riguardano i servizi che lo Stato deve fornire in modo uniforme in tutto il Paese per garantire il pieno rispetto dei diritti sociali e civili dei cittadini.
Questo implica la necessità di stabilire uno standard di servizi adeguato alle esigenze della popolazione, indipendentemente dal luogo di residenza.
Lo Stato deve quindi fornire agli Enti Locali i fondi necessari per garantire questi servizi, anche fornendo supporto finanziario agli enti che non dispongono di risorse adeguate.
Tuttavia, fino ad ora questo principio non è stato pienamente applicato, poiché la distribuzione delle risorse è stata basata sul metodo di calcolo della "spesa storica", ovvero sulla base di quanto è stato speso in passato da un ente per un determinato servizio.
Il trasferimento è vincolato alle risorse finanziare disponibili, come stabilito nella legge di bilancio, cosicché lo stesso possa avvenire in modo responsabile e sostenibile, garantendo che le regioni abbiano le risorse finanziare necessarie per gestire le nuove aree di competenza.
Ora l'esame del ddl Calderoli passa alla Camera dei Deputati.
Quale sarà il risultato?
[1] legge 16 maggio 1970 n. 281 e relativo regolamento di attuazione D.P.R. 15 gennaio 1972 n. 8
[2] co. 3 art. 117 Cost.: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni, commercio con l'estero, tutela e sicurezza del lavoro, istruzione ( salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale), professioni, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi, tutela della salute, alimentazione, ordinamento sportivo, protezione civile, governo del territorio, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, ordinamento della comunicazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, previdenza complementare e integrativa, coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali, casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.