Bilanciamento tra diritti della personalità e conservazione dei dati per finalità di sicurezza
Corte di Giustizia, Grande Sezione, 20.09.22, C- 793/19 e 794/19
Con la sentenza della CGUE, Grande Sezione, 20 settembre 2022, C-793/19 e 794/19, si è posto un punto in tema di conservazione dei dati personali nel traffico elettronico e della collegata tutela alla riservatezza degli utenti, attuando un bilanciamento tra la protezione della riservatezza dei singoli e le esigenze di sicurezza, proprie dello Stato.
Tematica questa che, a causa della sua delicatezza ed attinenza alla realtà dei consociati, è stata fonte di importanti trattazioni ad opera della stessa Corte.
Le criticità emergono ove si osserva che i singoli, approcciandosi all'utilizzo di apparecchiature elettromagnetiche, potrebbero incorrere in una lesione al proprio diritto alla riservatezza, inteso quale diritto di non rendere nota la loro ubicazione, le preferenze e ancor più nella volontà di evitare una puntuale profilazione della propria persona.
La questione de quo si collocava nell'ambito di una controversia - che vedeva coinvolte da una parte la Repubblica federale di Germania, rappresentata dall'Agenzia federale tedesca delle reti per l'energia elettrica, il gas, le telecomunicazioni, la posta e le ferrovie e, dall'altra, la SpaceNet AG (causa C-793/19) e la Telekom Deutschland GmbH (causa C-794/19) - attinente l'obbligo imposto a quest'ultime di conservare dati relativi al traffico e all'ubicazione, in riferimento alle telecomunicazioni dei loro clienti.
In particolare, era stata proposta domanda di pronuncia pregiudiziale sull'interpretazione dell'articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58 CE del Parlamento europeo e del Consiglio, inerente il trattamento dei dati personali e la tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche, letta alla luce degli articoli 7, 8 ed 11 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
Da premettersi che gli Stati, in sede di recepimento della direttiva di cui sopra, avevano imposto degli obblighi di conservazione generalizzata dei dati, al fine di prevenire i reati, eludendo di fatto il rispetto di alcuni diritti della persona.
La direttiva, all'art. 5, si esprimeva nel senso che gli Stati membri dovevano assicurare - mediante disposizioni di legge - la riservatezza delle comunicazioni. Si vietava perciò l'ascolto, la captazione, la memorizzazione ed altre forme di intercettazione o di sorveglianza delle comunicazioni e dei relativi dati sul traffico. Tuttavia, lo stesso articolo, menzionava un'eccezione a tale limitazione. Infatti, al paragrafo 1 dell'art. 15 della direttiva in esame si statuiva la possibilità di conservare i dati di cui agli artt. 5, 6, 8, paragrafi da 1 a 4, e all'articolo 9 qualora fosse doveroso adottare una misura necessaria, opportuna e proporzionata all'interno di una società democratica per la salvaguardia della sicurezza dello Stato, della difesa, della sicurezza pubblica nonché per la prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento dei reati. Si affermava altresì che, a tal fine, gli Stati membri potevano adottare misure legislative che legittimassero la conservazione dei dati per un periodo di tempo limitato per i motivi sopra esposti. Tali disposizioni, precisava la Corte, dovevano essere elaborate nel rispetto del principio di proporzionalità, essere chiare nonché precise, in modo tale che i soggetti fossero tutelati e godessero di sufficienti garanzie.
Altra deroga al divieto di conservazione generalizzata veniva in rilievo nei riguardi degli indirizzi IP in quanto, pur sottolineando come tale pratica rappresentasse un'elevata interferenza nella vita del privato, si ammetteva di farvi ricorso poiché era proprio grazie all'utilizzo di tali strumenti che sarebbe stato possibile identificare l'autore di eventuali reati.
Inoltre, la Corte consentiva la conservazione mirata di quei dati, attinenti all'ubicazione ed al traffico, che permettevano di scongiurare il rischio di gravi illeciti e tramite i quali si potessero prevenire, seppur indirettamente, aggressioni alla pubblica sicurezza o alla sicurezza nazionale.
Gli Stati membri avrebbero quindi la facoltà di adottare misure di conservazione nei confronti di soggetti pericolosi od attenzionati. Tale conservazione mirata, inoltre, coinvolge anche un criterio geografico; il quale è volto, nel rispetto di criteri oggettivi e del principio di non discriminazione, a tenere in osservazione quelle zone caratterizzate da un elevato tasso di criminalità.
La Corte di Giustizia, sulla base di quanto sopra, ha altresì previsto al punto 115 la possibilità per gli Stati membri di ordinare ai fornitori, tramite ingiunzione e in costanza dei dati relativi al traffico ed all'ubicazione dell'utente, di procedere - in seguito ad un provvedimento dell'autorità competente soggetto ad un controllo giurisdizionale effettivo - alla loro conservazione rapida. Pur puntualizzando che solo la lotta ad importanti forme di criminalità sarebbe idonea a giustificare questo tipo di ingerenza.
In conclusione, sulla base del decisum della Corte di Giustizia è possibile concludere che i diritti non godono di una tutela in senso assoluto, bensì sono soggetti ad un continuo bilanciamento. Qui infatti opera un contemperamento tra i diritti della persona e quello di conservazione dei dati che si palesa a favore della riservatezza degli utenti, pur contemplando alcune eccezioni al divieto di conservazione generalizzata a fronte di esigenze di tutela della sicurezza nazionale, della difesa, della sicurezza pubblica nonché della prevenzione dei reati.
Dott.ssa Lucrezia Menotti