
Concorso di persone nel reato a titolo differenziato: una questione ancora irrisolta?
A cura di Dott. Marco Misiti
Ha da sempre rappresentato un tema spinoso quello della possibilità di qualificare in maniera differenziata il medesimo fatto storico ai concorrenti[1].
Tale argomento ha visto contrapporsi nel tempo due teorie che, rispettivamente, propongono una soluzione positiva e negativa, ma che parimenti sono rimaste, in un certo qual modo, insoddisfatte dalle motivazioni della recente sentenza a Sezioni unite dell'11 luglio 2024, n. 27724[2].
Quest'ultima sembra aver scelto di non decidere: infatti, pur avendo affermato di aderire appieno alla teoria dell'unitarietà del concorso di persone, la Suprema Corte ha ciononostante ammesso la possibilità, nel caso concreto, che due persone rispondessero a diverso titolo per il medesimo fatto.
Procedendo per gradi, l'analisi della problematica non può che prendere le mosse dalle impostazioni affermatesi in dottrina.
La teoria che sostiene l'impossibilità di scindere il titolo di reato tra i vari concorrenti si fonda anzitutto sul dato letterale dell'art. 110 c.p.: affinché tale norma possa trovare applicazione è necessario che più persone concorrano «nel medesimo reato». L'utilizzo del lemma «reato» in luogo di quello di «fatto» corrisponderebbe alla volontà del legislatore di pretendere l'identità del titolo dell'illecito penale per entrambi i concorrenti.
Il secondo argomento attiene al concorso anomalo di persone, di cui all'art. 116 c.p., e al mutamento del titolo di reato di cui all'art. 117 c.p. Secondo tale impostazione, proprio al fine di assicurare la medesimezza del titolo di reato, tali istituti consentono, in via eccezionale, di applicare la normativa del concorso di persone a fatti che, invece, dovrebbero costituire illeciti diversi e, pertanto, andrebbero tenuti separati.
Da ultimo, la stessa previsione dell'art. 113 c.p. suffragherebbe l'impossibilità di una diversa qualificazione del medesimo fatto in quanto, per aversi concorso nel reato, sarebbe necessario che tutti i concorrenti presentino il medesimo elemento soggettivo: doloso, con applicazione dell'art. 110 c.p.; colposo, con applicazione dell'art. 113 c.p.
Tali argomentazioni non sono però state ritenute convincenti dalla impostazione opposta, la quale ha anzitutto notato come l'utilizzo della parola «reato» sia, di per sé, un elemento neutro, potendo essere interpretata anche come fatto materiale.
Inoltre, si afferma che gli istituti di cui agli artt. 116 e 117 c.p. confermerebbero la valenza della teoria della differenziazione dei titoli di reato. Entrambi, invero, rispondono a logiche di responsabilità oggettiva che, producendo effetti di aggravamento della posizione del reo, comporterebbero una parificazione dei titoli di reato a favore della fattispecie punita più gravemente. Nulla esclude che, fuori dai casi espressamente contemplati da tali istituti al fine di aggravare la responsabilità del singolo concorrente, non si possa invece immaginare un concorso a titolo differenziato.
In aggiunta, si precisa che anche l'esistenza dell'art. 113 c.p. è, di per sé, un elemento neutro ai fini della risoluzione della problematica in esame, tenuto conto che è lo stesso legislatore a prevedere ipotesi di concorso di persone nel reato in cui i concorrenti hanno agito con un diverso elemento soggettivo. In tal senso deporrebbero non solo i citati istituti del concorso anomalo e del mutamento del titolo di reato – a maggior ragione a seguito della interpretazione costituzionalmente orientata che pretende l'esistenza della prevedibilità del reato diverso – ma anche l'istituto disciplinato dall'art. 48 c.p. Infatti, nel caso in cui un soggetto, determinato dall'altrui inganno a commettere un reato, avrebbe potuto accorgersi della natura fraudolenta dell'agire altrui, entrambi rispondono del concorso nel fatto di reato, sebbene il primo a titolo colposo e il secondo a titolo doloso.
Ultimo argomento a favore dell'applicazione differenziata del titolo di reato nel caso di concorso di persone è individuato nell'assicurare un trattamento sanzionatorio proporzionato al grado di offensività della condotta del singolo, esigenza che rischierebbe di rimanere frustrata qualora si equiparassero i titoli di reato. Infatti, delle due l'una: o si avrebbe una parificazione a favore della fattispecie più grave, contravvenendo al principio di proporzionalità della pena e di colpevolezza rispetto a colui che, in assenza di concorso, avrebbe risposto di una fattispecie punita più lievemente; oppure prevarrebbe la fattispecie punita più lievemente, con conseguente violazione del principio di ragionevolezza per effetto dell'applicazione di una pena sproporzionata verso il basso rispetto all'autore di un fatto oggettivamente e soggettivamente più grave.
L'accesa contrapposizione tra le due diverse teorie ha trovato in passato terreno fertile in alcuni casi giurisprudenziali. In particolare, la questione si era posta con riferimento alla possibilità di addebitare il medesimo fatto a un soggetto come riciclaggio, ai sensi dell'art. 648-bis c.p., e all'altra persona come autoriciclaggio, ai sensi dell'art. 648-ter.1 c.p.
La Corte di cassazione era sul tema intervenuta con la sentenza 18 aprile 2018, n. 17235 in cui – decidendo di non rinviare la questione alle Sezioni unite in assenza di condizioni per ritenere che sussistesse o si potesse creare un contrasto giurisprudenziale – ha richiamato le varie posizioni espresse in dottrina circa la qualificazione del fatto dell'extraneus che abbia fornito un contributo concorsuale rilevante alla condotta di autoriciclaggio posta in essere dall'intraneus.
Tali teorie risolvevano la fattispecie o sul piano della normativa concorsuale (optando per la differenziazione del titolo stante la natura di reato di mano propria della fattispecie di cui all'art. 648-ter.1 c.p. o per la unificazione della contestazione a favore dell'autoriciclaggio applicando l'art. 117 c.p.) o sul piano del concorso apparente di norme, ritenendo applicabile all'extraneus la fattispecie di cui all'art. 648-bis c.p. (in forma monosoggettiva) in quanto assorbente la gravità del fatto di concorso in autoriciclaggio.
All'epoca la Suprema Corte ha ritenuto che, in assenza di un rapporto di specialità tra norme e tenuto conto che l'introduzione della fattispecie di autoriciclaggio è dovuta alla finalità esclusiva di colmare la precedente non punibilità del concorrente nel reato presupposto, il legislatore avesse ritenuto di diversificare i titoli di reato, nonostante la realizzazione di una fattispecie plurisoggettiva, ricorrendo all'istituto dei cosiddetti reati a soggettività ristretta[3].
Soluzione parzialmente simile sembrano aver adottato le Sezioni unite per il caso relativo alla qualificazione differenziata della condotta di detenzione di sostanza stupefacente in capo a un concorrente ai sensi dell'art. 73, commi 1 o 4, del d.P.R. 309/1990, e ai sensi dell'art. 73, comma 5 (ossia, la fattispecie autonoma di lieve entità) del medesimo decreto presidenziale per l'altro concorrente.
Con un apparente gioco di prestigio, infatti, le Sezioni Unite affermano di condividere la concezione della unitarietà del fatto di reato ma, sostanzialmente, applicano un diverso titolo di reato al medesimo fatto materiale. Quest'ultima soluzione viene argomentata evidenziando il rapporto di specialità esistente tra i fatti di cui al primo e quarto comma, da un lato, e al quinto comma, dall'altro lato, con prevalenza di quest'ultima fattispecie ai sensi dell'art. 15 c.p.
L'equivocità della impostazione seguita dalla Suprema Corte sembra, del resto, palesarsi anche nella formulazione del principio di diritto, secondo il quale «in tema di concorso di persone nel reato di cessione di sostanze stupefacenti il medesimo fatto storico può configurare, in presenza dei diversi presupposti, nei confronti di un concorrente, il reato di cui all'art. 73, comma 1 ovvero comma 4, del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 e nei confronti di altro concorrente il reato di cui all'art. 73, comma 5, del medesimo d.P.R.». Quindi, un concorso di persone che richiederebbe l'unicità del titolo di reato ma che consente ai «concorrenti» nel reato di cessione di sostanza stupefacente di rispondere di diverso titolo di reato. Verrebbe, tra l'altro, da chiedersi se sia una soluzione limitata alle ipotesi di reato di cui all'art. 73 del d.P.R. 309/1990, o se la stessa sia estensibile anche ad altre fattispecie.
Non si può pertanto ritenere sopita la contrapposizione tra l'impostazione monista e quella della differenziazione del titolo di reato, visto che, come notato da alcuni commentatori, con tale sentenza le Sezioni unite sembrano aver fatto «un passo avanti e uno indietro[4]».
[1] Parla di «rompicapo dogmatico» G. Grasso, Responsabilità dei concorrenti a titolo differenziato e l'uovo di colombo del principio di specialità: tra dogmi antichi e nuove prospettive, in Sistema penale, 1/2025, 16.
[2] Si veda sul punto N. Granocchia, Concorso di persone e delitti in materia di stupefacenti: nonostante aderiscano alla concezione monistica le Sezioni unite pervengono alla differenziazione dei titoli di reato, in Arch. Penale, 3/2024, 2, che parla a proposito di «iter argomentativo inatteso».
[3] Hanno confermato tale orientamento in tema di qualificazione del concorso dell'extraneus nella fattispecie di autoriciclaggio Cass. Pen., Sez. VI, 24 marzo 2023, n. 12480, Sez. II, 22 luglio 2024, n. 29956, Sez. II, 5 dicembre 2024, n. 44717, Sez. II, 9 gennaio 2025, n. 765,
[4] Così G.P. Demuro, Il difficile cammino verso la differenziazione dei titoli di responsabilità tra i concorrenti, in Giurisprudenza italiana, 12/2024, 2678.