Requisiti e prova del consenso nella fattispecie di omicidio del consenziente
Cass. Pen., sez. 1, 15 aprile 2022, n. 14751
Con la sentenza n. 14751 del 15 aprile 2022, i giudici di legittimità sono tornati ad occuparsi dell'omicidio del consenziente, di cui all'art. 579 c.p., dopo le plurime pronunce della Corte costituzionale, sia sull'iniziativa referendaria circa la predetta fattispecie, sia sul vicino reato di istigazione o aiuto al suicidio, di cui all'art. 580 c.p.
Nel caso in esame, il ricorrente ha censurato la sentenza di appello, da un lato, laddove avrebbe erroneamente confuso i piani dell'aiuto al suicidio scriminato, dell'omicidio del consenziente e dell'omicidio volontario; dall'altro lato, laddove avrebbe erroneamente escluso la sussistenza del consenso della vittima a morire per mano di un terzo.
Il giudice di legittimità, sul solco delle considerazioni effettuate dalla Corte costituzionale nell'ordinanza n. 207 del 2018 e della sentenza n. 242 del 2019, ha affiancato le due fattispecie precedentemente richiamate, ritenendo che l'incriminazione delle predette condotte trovi ancora oggi una propria ragion d'essere.
Infatti, «sebbene con l'entrata in vigore della Costituzione il principio dell'autodeterminazione abbia assunto rilevanza principale nella gerarchia dei valori della società, tuttavia le fattispecie di omicidio del consenziente e di aiuto al suicidio si fondano, nel contesto attuale, sulla esigenza di garantire che la formazione della volontà e della scelta sulla propria vita sia comunque piena, libera da condizionamenti, retta da un consenso, oltre che valido, anche serio e ponderato [evidenziazione a cura del redattore]».
Nonostante la sentenza non abbia effettuato espliciti richiami alla pronuncia della Corte costituzionale n. 50 del 2022 circa l'ammissibilità del referendum sull'omicidio del consenziente, è evidente come le argomentazioni di fondo siano le medesime. Infatti, la ratio della norma è stata individuata nella finalità di tutelare le persone più vulnerabili e di far sì che la scelta ultima di farla finita sia ponderata e perdurante.
Ne consegue che, ai fini della qualificazione del fatto come omicidio del consenziente e non come omicidio volontario, non basta affermare che sussista il consenso, ma la «prova [della volontà di morire] deve essere univoca, chiara e convincente, in considerazione dell'assoluta prevalenza da riconoscersi al diritto personalissimo alla vita, non disponibile ad opera di terzi [evidenziazione a cura del redattore]».
Pertanto, con la predetta sentenza, la Prima Sezione penale della Corte di Cassazione ha trasfuso i principi affermati dalla Corte costituzionale, la quale si era soffermata sul solo piano della non contrarietà della norma alla Costituzione nella risoluzione di un caso concreto. Di conseguenza, tenuto conto della natura del diritto alla vita quale «diritto personalissimo e indisponibile da parte di terzi», il giudice di legittimità ha condiviso l'accertamento rigoroso, svolto dai giudici di merito, sulla sussistenza e sulla prova del consenso.
Nel caso in esame, il giudice di legittimità, da un lato, ha ritenuto che i richiami effettuati nella sentenza di appello al reato di cui all'art. 580 c.p. venivano effettuati solamente a scopo sistematico; dall'altro lato, ha ritenuto manifestamente infondate le censure avanzate dalla difesa, reputando sussistente solamente una «generica intenzione di morire» in presenza di una «condizione di salute oggettivamente non grave», non idonea ad ergersi a consenso valido, serio e ponderato.
Dott. Marco Misiti