Il danno arrecato dall’appaltatore a terzi derivante dalle modalità di restauro non legittima l’applicazione dell’art. 2051 c.c.

24.06.2024

Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2024, n.4288

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Con la sentenza n. 4288 della Corte di Cassazione, sez. III, depositata il 10 gennaio 2024, i Giudici di Piazza Cavour hanno chiarito che il danno arrecato dall'appaltatore a terzi e frutto delle modalità con cui ha scelto di eseguire i lavori di restauro della cosa oggetto dell'appalto non è qualificabile come danno arrecato dalla cosa, per cui deve essere esclusa l'applicazione dell'articolo 2051 c.c.

La vicenda trae origine dal ricorso presentato dal proprietario di un fondo sito nel Comune di Gragnano dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata con cui venivano convenuti in giudizio il Comune di Gragnano e la Regione Campania.

L'attore lamentava il danneggiamento del proprio fondo a causa del crollo del muro di contenimento della strada, posto a monte rispetto ad esso.

I danni causati dal crollo erano stati risarciti dall'assicuratore del Comune, tuttavia, la ricostruzione dell'opera aveva determinato dei danni ulteriori al fondo, che veniva in ogni modo compromesso.

Il Tribunale di Torre Annunziata accoglieva solo parzialmente la domanda attorea, sostenendo che l'attore aveva sostituito la domanda di riduzione in pristino con una domanda di condanna al risarcimento per equivalente; quest'ultima veniva rigettata, in quanto i lavori di riduzione in pristino, riguardando un'opera pubblica, non potevano essere eseguiti dall'attore.

La Corte d'Appello di Napoli rigettava e dichiarava in parte inammissibili gli appelli.

Secondo la Corte territoriale era corretta l'individuazione da parte del Tribunale di una responsabilità del Comune ai sensi dell'art. 2051 c.c., poiché era il proprietario della strada, risultava corretta la quantificazione del danno così come era innegabile che la Regione aveva eseguito le opere di ripristino in maniera errata.

Tuttavia, la Corte d'Appello negava la sussistenza di un danno risarcibile nei confronti dell'attore, dal momento che le somme ulteriori da lui richieste non riguardavano lavori pubblici eseguibili solo dalla P.A., ma erano state chieste per eseguire lavori di messa in sicurezza di un terreno privato.

Tali lavori, inoltre, secondo il ragionamento dei giudici di secondo grado erano ritenuti inutili, poiché i lavori eseguiti dalla Regione avevano già eliminato i rischi.

La sentenza d'Appello viene impugnata per Cassazione dalla parte attrice in via principale, e dal Comune di Gragnano in via incidentale.

Il Comune di Gragnano con il primo motivo di ricorso incidentale lamenta che sia stata affermata, in maniera del tutto erronea, la sua responsabilità ai sensi dell'articolo 2051 c.c. in qualità di custode.

I lavori da cui era scaturito il danno non erano stati eseguiti e nemmeno commissionati dallo stesso.

I giudici di Piazza Cavour ritengono fondato il motivo.

Il danno era stato causato dal crollo del muro di contenimento di una strada pubblica ed era stato correttamente risarcito dall'assicuratore del Comune.

I danni ulteriori lamentati dalla parte attrice erano stati causati dalle opere di ripristino effettuate dalla Regione e non da Comune.

Il Comune di Gragnano, infatti, non era committente di quei lavori e il danno oggetto della lite era quello arrecato dai lavori di esecuzione e non dal crollo.

La Corte di Cassazione evidenzia come nel caso di specie non possa trovare applicazione l'articolo 2051 c.c., mancandone il presupposto rappresentato dal danno arrecato dalla cosa.

Inoltre, mancando la signoria di fatto sulla cosa, viene meno la qualifica di custode e la responsabilità ai sensi dell'articolo 2051 c.c.

Il custode non può rispondere dei danni causati dalle modalità con cui l'appaltatore ha eseguito i lavori di restauro o di manutenzione.

La giurisprudenza è consolidata, infatti, nel ritenere responsabile la PA in qualità di custode per i danni arrecati dalle condizioni in cui versa la res in custodia anche in caso di modifica ed in quanto e come sia stata modificata.

Nel caso di specie, tuttavia, l'invasione del fondo altrui con materiali di risulta o l'imposizione di una servitù di scolo delle acque reflue, non sono danni causati dalla cosa, ma solo dalle modalità di esecuzione dei lavori.

Alla luce di siffatte considerazioni, la pronuncia in commento ha escluso che il danno sia stato arrecato dalla cosa e come tale non legittima l'applicazione dell'articolo 2051 c.c.

Dott.ssa Michela Falcone