Decreto legislativo 231/2001: i criteri dell’interesse o vantaggio nei reati colposi d’evento

06.09.2023

Tradizionalmente estranea al nostro ordinamento, la responsabilità amministrativa degli enti è stata introdotta dal d.lgs. 231/2001 che realizza una flessione del tradizionale principio espresso dal brocardo societas delinquere non potest.

Si è così inserita nel panorama normativo una forma di responsabilità dell'ente del tutto autonoma, connessa ad un illecito amministrativo che dipende dalla realizzazione – da parte di una persona fisica - di un reato previsto dal decreto.

I criteri di imputazione di tale responsabilità vengono distinti nella Relazione Governativa al decreto legislativo in oggettivi e soggettivi: i primi richiedono che il soggetto agente rivesta una determinata posizione all'interno dell'ente e che abbia agito nell'interesse o a vantaggio di quest'ultimo; i secondi indicano i principi dai quali desumere la colpevolezza dell'ente (es. mancata adozione del modello organizzativo o omessa vigilanza).

La dottrina minoritaria considera la locuzione normativa "interesse o vantaggio dell'ente" come un'endiadi che esprime un significato unitario attraverso l'utilizzo di due sinonimi.

In altri termini, secondo questa teoria c.d. monistica, l'interesse si configura quale unico criterio oggettivo di imputazione sulla base dell'art.5 co.2 che esclude la responsabilità dell'ente per i reati commessi "nell'interesse esclusivo dell'autore o di un terzo", relegando così il vantaggio oggettivamente conseguito a mera variabile causale ed elemento di prova dell'interesse dell'agente.

L'impostazione prevalente, ispirata anche dalla Relazione Ministeriale, invece, opta per la tesi dell'alternatività e, a monte, della diversità concettuale fra i due criteri, come confermato dalla disgiuntiva "o" presente nel testo della disposizione.

L'interesse è il criterio soggettivo - indagabile ex ante - consistente nella prospettazione finalistica, da parte della persona fisica, di perseguire un interesse dell'ente mediante il compimento del reato, a nulla valendo che poi tale interesse sia stato concretamente raggiunto o meno; al contrario, il criterio del vantaggio, che si identifica con gli effetti concretamente percepiti dall'ente in conseguenza dell'illecito, si connota in termini oggettivi e va accertato ex post.

La tesi dualistica ha trovato accoglimento anche nella nota sentenza Thyssenkrupp ove la Corte si è, altresì, espressa su una questione ampiamente dibattuta relativa alla compatibilità del criterio di ascrizione oggettiva del reato all'ente costituito dall'interesse o vantaggio ex art.5 d.lgs.n.231/2001 con l'inserimento, a partire dall'introduzione dell'art.25 septies, nella lista dei reati– presupposto di fattispecie colpose di evento, in specie quelle di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime commesse in violazione della normativa contro gli infortuni sul lavoro.

Difatti, gli Ermellini hanno osservato che i dubbi relativi all'asserita impossibilità di conciliare "il finalismo della condotta" richiesto dalla nozione di interesse con la "non volontarietà" propria del paradigma colposo sono in realtà infondati, in quanto "essi condurrebbero alla radicale caducazione di un'innovazione normativa di grande rilievo".

Invero, in ossequio al c.d. principio di conservazione, è opportuno ricercare il significato utile di una disposizione evitando una interpretatio abrogans quale sarebbe quella di ritenere del tutto non applicabile il citato art.5 ai reati colposi.

Viene, dunque, ammessa pacificamente la responsabilità degli enti per i reati colposi "ancorando" i presupposti dell'interesse e del vantaggio alla condotta – e cioè all'inosservanza delle regole cautelari – e non all'esito antigiuridico, sottolineando come tale soluzione non determini alcuna difficoltà di carattere logico, essendo possibile che una condotta caratterizzata dalla violazione della disciplina cautelare, e quindi colposa, sia posta in essere nell'interesse dell'ente o determini comunque il conseguimento di un vantaggio in capo al medesimo.

Successivamente, ponendosi coerentemente nel solco dell'applicazione del principio espresso dalle richiamate Sezioni Unite, alcune sentenze della Suprema Corte si sono spinte a descrivere, con maggiore analiticità, la nozione di vantaggio e interesse nella materia in esame. Quanto al primo, si configura qualora l'autore del reato abbia violato le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l'ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso, mentre l'interesse ricorre quando l'autore del reato abbia consapevolmente violato la normativa cautelare con l'intento di conseguire un risparmio di spesa per l'ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento.

La sussistenza di tale consapevole violazione potrà apparire più evidente nei casi di colpa c.d. cosciente, nelle quali la volontà dell'agente non è diretta verso l'evento; pertanto, nonostante la piena consapevolezza di violare norme cautelari e della possibilità che si realizzi l'evento come conseguenza della condotta, l'autore si astiene dall'agire doveroso per trascuratezza, imperizia, irragionevolezza o altro biasimevole motivo (Sez. Un, n. 38343/2014).

Nel caso di una colpa incosciente, invece, l'individuo ignora di aver compiuto un'azione illecita, violando le norme di cautela, di conseguenza non sarebbe possibile sostenere che il comportamento illecito sia stato finalizzato a promuovere l'interesse della persona giuridica.

Tuttavia, secondo parte della dottrina, la soluzione giurisprudenziale porta con sé il rischio di sovrapporre l'inosservanza delle regole cautelari alla colpa d'organizzazione, schiacciando la componente soggettiva dell'illecito sotto il peso di quella oggettiva e finendo con l'estendere eccessivamente la responsabilità degli enti, ritenuta sussistente in re ipsa ogni qual volta si registri la violazione delle suddette regole.

Secondo tale critica, non è sufficiente ai fini del riconoscimento della responsabilità all'ente collettivo la circostanza che questi abbia ottenuto un vantaggio o perseguito un suo interesse, dovendosi anche rinvenire una colpevolezza dell'ente medesimo, la cosiddetta colpa di organizzazione, da individuare nell'incapacità della persona giuridica di darsi una organizzazione e di fornirsi degli strumenti necessari ad evitare che nell'ambito della propria attività imprenditoriale vengano realizzate determinate tipologie di illeciti.

Pertanto, alcuni autori auspicano l'intervento del legislatore per restituire razionalità al sistema normativo attraverso una rimodulazione dei criteri imputativi che tenga conto della differente natura dei reati presupposto.

Dott.ssa Francesca Saveria Sofia