Desistenza e recesso attivo: c’è differenza?
L'articolo 56, rubricato "delitto tentato" prevede che il soggetto agente abbia l'intenzione di commettere un reato e che questo non avvenga per motivi indipendenti dalla sua volontà.
Il codice, però, nei successivi commi terzo e quarto, inserisce due figure particolari che ricorrono quando il soggetto colpevole muta il proprio proposito ed interrompe o annulla la condotta delittuosa tenuta fino a quel momento. Le due ipotesi appena citate sono, rispettivamente, la desistenza e il recesso attivo. Si ha desistenza quando l'agente, dopo avere iniziato l'esecuzione del delitto, interrompe volontariamente l'attività criminosa ancora prima che si compia il tentativo (cosiddetto tentativo incompiuto) mentre si ha recesso attivo quando il colpevole ha già portato a termine l'attività delittuosa ma lo stesso evita che si produca l'evento finale (cosiddetto tentativo compiuto).
Desistenza e recesso attivo sono due istituti premiali in quanto il codice prevede una diversa risposta sanzionatoria: la desistenza determina l'impunità del soggetto ed è una vera e propria causa di non punibilità in senso stretto; se gli atti compiuti costituiscono di per sé reato diverso, si applicherà la pena per gli atti compiuti. Diversamente, nel rispetto del principio di offensività, se l'agente volontariamente impedisce l'evento, soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato, diminuito da un terzo alla metà (è, per l'appunto, una circostanza attenuante).
Entrambi gli istituti si caratterizzano per la volontarietà del soggetto attivo in quanto si richiede che la condotta sia frutto di una libera scelta dell'agente e non di un mero fattore esterno (come, ad esempio, l'intervento della polizia).
Leggi anche:
L’ operatività della desistenza volontaria nel concorso di persone