Differenza tra la condotta estorsiva e truffa aggravata “vessatoria”
Cass. Pen. Sez. II, 11 novembre 2022, n. 48269
Questione controversa è il confine che vi può essere tra l'estorsione e la truffa aggravata dalla circostanza di aver ingenerato nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario.
Entrambi sono reati contro il patrimonio, ma differenti nella condotta: l'estorsione (art. 629 c.p.) presuppone che il soggetto agente ricorra all'utilizzo della violenza (sia essa fisica o psicologica) per conseguire un ingiusto profitto con altrui danno; la truffa (art. 640 c.p.) è caratterizzata dall'induzione in errore della vittima tramite artifizi o raggiri posti in essere per ottenere un ingiusto profitto con altrui danno.
Dunque, diverse modalità (una violenta, una no), ma medesimo fine specifico.
Tuttavia, i due reati si possono sovrapporre nel caso in cui la condotta truffaldina abbia natura vessatoria secondo le forme descritte dall'art. 640, comma 2, n. 2, c.p.
In tal caso, due sono gli interrogativi da porsi per sciogliere il dilemma tra le due fattispecie: a) se il male rappresentato sia reale o immaginario; b) se la prospettazione di tale male derivi da una manipolazione della volontà attraverso l'induzione in errore o una coazione della volontà.
Sulla questione è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza in commento.
Il Supremo Giudice ha dovuto decidere sul ricorso presentato dalla difesa dell'imputato, il quale era stato riconosciuto colpevole del reato di estorsione.
Secondo la prospettazione difensiva, i giudici di merito avevano erroneamente qualificato il fatto come estorsione e non come truffa aggravata poiché ne avevano valorizzato gli effetti derivanti dalla condotta, ossia la serietà del pericolo minacciato, soprattutto su un soggetto facilmente suggestionabile.
Di diverso avviso è stata la Cassazione, secondo la quale ai fini del corretto inquadramento del fatto rileva "se la reazione sia riconducibile ad una condotta fraudolenta, piuttosto che ad una irresistibile coartazione", tradotto: se la volontà della vittima risulti manipolata o coartata.
Sebbene entrambe le condotte incidano sul processo volitivo della persona offesa, solo l'azione violenta è quella che incide in maniera irresistibile sulla volontà del soggetto passivo.
Seguendo il percorso argomentativo della Cassazione, l'elemento che differenzia le due figure di reato risiede dunque nella modalità della condotta stessa.
In tal caso il giudice deve valutare in concreto la serietà della azione minacciosa, anche rispetto alla effettiva resistenza della vittima, attraverso un giudizio ex ante. Il giudice deve quindi porsi nella medesima situazione in cui la vittima ha subito le condotte violente e valutare la forza coercitiva o meno di queste.
Pertanto, potrà qualificarsi come truffaldina quella condotta che generi nella persona offesa un "pericolo immaginario" o "inesistente", che non ha quindi riscontro nella realtà poiché indotto nella psiche della vittima quale risultato degli artifici o raggiri.
Diversamente, si qualificherà come estorsiva l'azione "se connotata dalla minaccia di un male concretamente realizzabile ad opera dello stesso agente ed altresì idonea a coartare la volontà della vittima, ponendola di fronte al bivio di sottostare al ricatto o subire le conseguenze dannose del male minacciato".