Diritto alla bigenitorialità
Cass. Civ. sez. I, 6
luglio 2022, n. 21425
Il diritto alla bigenitorialità, al contrario di quello che si potrebbe pensare, non è un diritto dei genitori, ma dei figli.
Si tratta, più nello specifico, del diritto del figlio minore di crescere e vivere la propria vita insieme ad entrambi i genitori.
Al fine di garantire il suo effettivo esercizio, la legge attribuisce al tribunale il potere di adottare gli opportuni provvedimenti che devono tener conto del prioritario interesse del minore, piuttosto che quello dei rispettivi genitori.
Accade molto spesso che, nello stabilire le condizioni riguardo alla gestione del rapporto con la prole, ciascun genitore prenda delle decisioni che siano il più possibile confacenti alle proprie esigenze, piuttosto che guardare a ciò che è meglio per i figli.
Per tale ragione, anche quando i coniugi siano riusciti a raggiungere un accordo sulla gestione del rapporto con i figli, il giudice deve sempre valutare che detto accordo non sia contrario all'interesse della prole.
In caso di disaccordo, il giudice valuta prima di tutto la possibilità che i figli vengano affidati a entrambi i genitori, disponendo il cosiddetto affido condiviso, che costituisce ormai la regola nella prassi. Oppure, stabilisce a quale dei due genitori i minori vengono affidati.
In entrambi i casi, devono essere stabiliti i tempi e le modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore, nonché la misura e il modo con cui entrambi i genitori dovranno contribuire al mantenimento, all'istruzione e all'educazione della prole.
Il diritto alla bigenitorialità, se guardato dal punto di vista dei genitori, significa anche diritto/dovere di ciascuno di essi di esercitare in modo paritetico la responsabilità genitoriale, ossia la comune assunzione di tutte le attenzioni e responsabilità in ordine alla crescita, all'educazione e alle azioni dei figli.
I genitori sono, inoltre, chiamati a prendere le decisioni più importanti riguardo ai figli minori relativamente alla scuola, alla salute, alla scelta della residenza abituale nel rispetto delle loro aspirazioni, delle capacità e dell'inclinazione naturale, prevedendo, in caso di disaccordo, che dette decisioni siano rimesse al giudice.
Quanto alle decisioni relative all'ordinaria amministrazione, come può essere la scelta del vestiario o lo svolgimento di uno sport, il giudice può stabilire un esercizio separato della responsabilità genitoriale.
La Suprema Corte di Cassazione, in una recente pronuncia ( Cass. Ord. 06/07/2022 n. 21425) ha spiegato bene che cosa significa diritto alla bigenitorialità e ha chiarito le implicazioni per le coppie separate e divorziate e anche per i figli di coppie non sposate.
Nei casi di affidamento condiviso la responsabilità genitoriale viene attribuita ad entrambi i genitori, però si deve sempre individuare con quale dei due andranno a vivere i figli dopo la separazione o il divorzio della coppia.
Di solito si predilige la madre, perché nella maggior parte dei casi la donna diventa assegnataria dell'ex casa coniugale per consentire ai figli di continuare a vivere nello stesso ambiente dove stavano crescendo, evitandogli il trauma di uno spostamento e allontanamento dai luoghi conosciuti e dagli amici frequentati.
Il genitore non convivente potrà vedere i figli nei periodi stabiliti, individuati d'intesa tra gli ex coniugi in caso di separazione consensuale, oppure decisi dal giudice se il contrasto di coppia richiede la separazione giudiziale.
Il calendario degli incontri deve essere intervallato con contatti frequenti e costanti, in modo da garantire il corretto esercizio del diritto alla bigenitorialità, che comporta una parità esclusivamente tendenziale e non perfetta.
Il bilanciamento dei tempi di frequentazione del figlio con il genitore non collocatario non deve essere sempre uguale.
Ad esempio, un bambino molto piccolo che deve essere allattato e trascorrerà molto più tempo con la madre.
L'importante è che non venga alterato il "rapporto equilibrato e continuativo del figlio minore con ognuno dei genitori" (Cass. sent. n. 17222/2021 e ord. n. 3652/2020).
Anche in caso di affidamento condiviso la frequentazione tra genitori e figli viene regolamentata in base alle rispettive esigenze, anche di carattere pratico, come avviene quando un genitore separato si trasferisce in una località molto distante e questo rende difficoltoso incontrare i bambini con la frequenza di prima.
L'ultima pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, dunque, ha sostenuto che il principio di bigenitorialità si deve intendere come presenza comune dei genitori nella vita del figlio idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi.
In questa prospettiva, neanche il contrasto che esiste tra i genitori, come ad esempio le frequenti liti, che si potrebbero ripercuotere in odo negativo sui figli, permette di derogare al regime preferenziale dell'affidamento condiviso, dove si mantenga nei limiti di un tollerabile disagio per la prole, e non alteri mettendolo in serio pericolo l'equilibrio e lo sviluppo psicofisico dei figli.
Il giudice dovrà sempre privilegiare la soluzione che sembri più idonea a ridurre al massimo i danni che derivano dalla disgregazione del nucleo familiare e assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore nella sua esclusiva tutela.