La disciplina delle dichiarazioni indizianti

20.12.2024

Le formalità previste per lo svolgimento dell'interrogatorio garantiscono l'attuazione del principio di presunzione di non colpevolezza previsto all'art. 27, comma 3, Cost. In effetti, gli avvisi previsti dall'art. 64, comma 3, c.p.p. e che devono essere rivolti alla persona indagata/imputata in un procedimento penale, sono finalizzati ad assicurare una chiara ponderazione delle scelte processuali in merito a se e che cosa dichiarare.

D'altronde, anche le eventuali affermazioni rese circa la responsabilità di terzi comportano un notevole mutamento di posizione del soggetto con possibilità di essere sentito in qualità di testimone assistito ex art. 197-bis c.p.p.

Presupposto affinché si debbano rivolgere gli avvisi è che il dichiarante sia effettivamente indagato e, cioè, che sia già stato raggiunto da indizi a suo carico.

La disposizione prevista dall'art. 63 c.p.p. si occupa del diverso caso in cui gli elementi indizianti emergano nel corso dell'assunzione delle informazioni. La norma impone, al fine di salvaguardare il dichiarante nelle sue scelte processuali, due specifici adempimenti: per un verso, che sia interrotto l'esame e, per altro verso, che si informi la persona che potrebbero essere avviate indagini a suo carico, invitandola contestualmente a nominare un difensore. In aggiunta, il legislatore si preoccupa di stabilire le sorti delle precedenti affermazioni, prevedendo che le stesse siano sottoposte a un regime di inutilizzabilità relativa.

Il secondo comma si occupa della diversa ipotesi più grave in cui nei confronti della persona escussa, pur dovendo la stessa essere sentita sin dall'inizio come indagato o imputato, non siano state assicurate le doverose formalità. Ciò comporta una inutilizzabilità di tipo assoluto, non potendo le dichiarazioni essere impiegate nei confronti di alcuno, indipendentemente dalla circostanza che l'omissione delle formalità sia dovuta a colpa o frutto di una deliberata scelta.

Nonostante la stringata e sintetica affermazione normativa che parrebbe essere chiara e limpida nella sua portata, in realtà la disposizione non contempla esplicitamente alcune possibili ipotesi, affatto secondarie.

Anzitutto, non si disciplina il caso in cui la persona escussa rende dichiarazioni autoindizianti e, ciononostante, l'esame non venga interrotto.

Sul punto si deve ritenere che l'interruzione dell'esame rappresenti una sorta di spartiacque nella realizzazione dell'atto processuale. Pertanto, le dichiarazioni che siano state rese prima della dovuta interruzione resterebbero sottoposte al regime di inutilizzabilità di cui all'art. 63, comma 1, c.p.p. mentre, per tutte quelle che siano state rese dopo che l'interruzione doverosa non è stata effettuata, trova applicazione il regime di cui all'art. 63, comma 2, c.p.p.[1].

Si deve quasi immaginare che nel momento in cui si interrompe l'escussione ne inizi una "nuova" e, pertanto, che nel corso di quest'ultima il soggetto debba essere sentito "sin dall'inizio" in qualità di indagato/imputato. Tale soluzione, inoltre, risulta coerente con quanto disciplinato dall'art. 64, comma 3-bis, c.p.p. e con il regime di inutilizzabilità assoluta per l'indagato che, nel corso dell'interrogatorio, non abbia ricevuto gli avvisi di cui ai commi che precedono.

Ulteriore aspetto non espressamente disciplinato attiene all'intensità degli indizi che devono attingere il dichiarante affinché possa ritenersi applicabile il disposto dell'art. 63 c.p.p.

Ebbene, se si ritenesse necessaria l'iscrizione come indagato del nominativo del dichiarante nel Registro delle notizie di reato per il fatto di reato in questione si finirebbe per attribuire agli inquirenti un potere che si sostanzia in un vero e proprio libero arbitrio. Invero, gli stessi potrebbero ritardare appositamente ogni obbligo di iscrizione con il solo fine di assumere informazioni dal soggetto senza la necessaria formulazione degli avvisi e senza soggiacere al regime di inutilizzabilità assoluta.

Contemporaneamente, non potrebbe neppure richiedersi la sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti, o comunque la gravità indiziaria presupposto dell'adozione di misure cautelari. Un requisito, questo, troppo rigido e, pertanto, incoerente con le logiche garantistiche delle norme di cui agli artt. 63 e 64 c.p.p.

Deve pertanto condividersi l'opzione secondo la quale, qualora sussistano indizi precisi e non equivoci a carico del dichiarante, devono trovare applicazione le garanzie a sua tutela[2].

Infine, ci si deve chiedere se l'art. 63 c.p.p. trovi applicazione per la sola ipotesi in cui il dichiarante sia indagato in quel procedimento penale o se, invece, possa rilevare la sua posizione anche in diverso procedimento penale.

Sul punto la giurisprudenza ha oramai chiarito che acquista rilevanza il caso in cui il soggetto sia indagato in procedimento connesso o collegato ai sensi, rispettivamente, dell'art. 12 e 371, comma 2, lett. b), c.p.p.[3] Diversamente, il soggetto assumerebbe la veste di un testimone, per così dire, "pieno" rispetto al processo, non essendo pertanto necessario tutelare la sua posizione mediante i predetti avvisi.

Da ultimo, a chiusura delle tematiche fin qui evidenziate, si è precisato che le dichiarazioni indizianti sottoposte al regime di inutilizzabilità relativa possano essere solo quelle relative a reati già commessi, e non quelli che siano realizzati mediante le stesse dichiarazioni. Si pensi al caso in cui il soggetto escusso renda dichiarazioni false o calunniose: in tale ipotesi le stesse sono comunque utilizzabili nei confronti del soggetto dichiarante[4]. 

Diversamente argomentando, si resterebbe privati dell'elemento di prova principale a carico del calunniatore o del falso dichiarante, ossia le stesse dichiarazioni mendaci.

La casistica fin qui riportata palesa la complessità che si cela dietro l'art. 63 c.p.p., una disposizione che, solo apparentemente chiara, ha spesso dato adito a dubbi interpretativi di non facile risoluzione.

Dott. Marco Misiti

[1] Così Cass. pen., Sez. II, 25 giugno 2020 n. 19216

[2] Cass. pen., Sez. U, 10 giugno 2009 n. 23868

[3] Si veda sul punto Cass. pen., Sez. III, 6 novembre 2020 n. 30922

[4] Cass. pen., Sez. II, 18 settembre 2009 n. 36284