Minaccia silente ed estorsione: applicabilità delle circostanze aggravanti di cui agli artt. 416-bis.1 e 628, comma 3, n. 3, c.p.
Cass. Pen., sez. I, 02/10/2023, n. 39386
Con la sentenza del 2 ottobre 2023, n. 39836, la Prima Sezione penale della Corte di cassazione si è pronunciata in tema di requisiti per l'applicazione al reato di estorsione delle circostanze aggravanti di cui agli artt. 628, comma 3, n. 3, c.p., e 416-bis.1 c.p.
Una panoramica sui capi di imputazione è utile al fine di comprendere al meglio i principi affermati dalla Suprema Corte.
Per quel che interessa in questa sede, a un imputato venivano contestati i reati di concorso esterno in associazione mafiosa, di cui agli artt. 110 e 416-bis c.p., e di estorsione, di cui all'art. 629 c.p., quest'ultimo commesso in concorso con altre persone, tra cui il reggente di un mandamento mafioso.
Alla condanna in primo grado per entrambi i citati reati era seguita in appello una pronuncia assolutoria per quello associativo. In relazione alla fattispecie estorsiva, la Corte di appello aveva ritenuto esistente la circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis.1 c.p., e insussistenti i presupposti di quella dell'art. 628, comma 3, n. 3, c.p. Infatti, secondo quanto ricostruito in appello, l'imputato non sarebbe stato un partecipe di un'associazione mafiosa, né tantomeno un concorrente esterno.
Tale situazione è stata ribaltata in sede di legittimità: confermata l'applicazione della circostanza aggravante dell'art. 628[1], esclusa quella di cui all'art. 416-bis.1 c.p. La complessità ermeneutica della normativa di riferimento ha indotto la Corte di cassazione a elaborare sul punto dei principi chiarificatori.
L'art. 628, comma 3, n. 3, c.p., prevede un aumento di pena qualora «la violenza o minaccia è posta in essere da persona che fa parte dell'associazione di cui all'articolo 416-bis». L'art. 416-bis.1 c.p., per l'ipotesi che interessa in questa sede, determina un aggravio sanzionatorio qualora il reato sia commesso «avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis».
Nel primo caso ciò che rileva è la semplice appartenenza di uno dei soggetti a un'associazione di stampo mafioso. In tale ipotesi, infatti, si vuole sanzionare il «surplus della capacità intimidatoria ricollegabile alla provenienza qualificata della condotta intimidatoria».
Nell'art. 416-bis.1 c.p., invece, si vuole sempre punire la maggiore valenza intimidatoria, ma quest'ultima è determinata dalla forza di intimidazione del vincolo associativo e dalla condizione di assoggettamento e di omertà, elementi che devono essere effettivamente utilizzati come fattore di semplificazione della condotta.
Perciò, la prima circostanza aggravante concerne la sola qualifica soggettiva del soggetto che ponga in essere la condotta intimidatoria; la seconda, invece, attiene alla sua modalità di estrinsecazione.
I due elementi circostanziali possono, peraltro, concorrere fra di loro, data l'assenza di rapporti di specialità fra le norme che ne consentirebbe un assorbimento ai sensi dell'art. 84 c.p.
Tuttavia, precisa la Prima Sezione, nei casi di minaccia silente viene integrata la sola ipotesi di cui all'art. 628, comma 3, n. 3, c.p., proprio perché il contenuto della condotta intimidatoria risiede nel solo avvalersi della propria qualifica di appartenente a scopo intimidatorio, senza che sia realizzata «una ulteriore esternazione funzionale alla semplificazione delle modalità commissive del reato».
Spetterà ai giudici di merito valutare, caso per caso, l'esistenza dei presupposti per l'applicazione delle citate circostanze aggravanti, con la sola certezza che, nel caso di minaccia silente da appartenente ad associazione mafiosa, sarà integrata la sola ipotesi di cui all'art. 628 c.p.
[1] In particolare, nel caso concreto il partecipe dell'associazione considerato ai fini dell'applicazione della circostanza aggravante di cui all'art. 628 c.p. il reggente del mandamento.