Il campo di applicazione dell’istituto della finzione di avveramento della condizione di cui all’art. 1359 c.c.
Cass. civ, Sez. II, del 18 ottobre 2024, n. 27124
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A cura del Dott. Gennaro Ferraioli
La sentenza in esame delinea in maniera chiara e precisa le differenze che intercorrono tra le varie ipotesi interne all'istituto della condizione, nonché la sfera di applicabilità dell'art. 1359 c.c.
In primo luogo, la Suprema Corte si pronuncia sul modus operandi della fictio.
L'art. 1359 c.c. prevede che, nel caso in cui il mancato avveramento della condizione sia imputabile alla parte avente interesse contrario al suo avveramento, essa si considera comunque avverata.
La finzione si connota per operare sia come sanzione verso la parte che adotti un comportamento in mala fede, sia come rimedio risarcitorio in forma specifica diretto a riparare le conseguenze dannose.
A detta della tradizionale giurisprudenza, inoltre, si ammette anche il risarcimento danni per equivalente.
Tra le condizioni di operatività, la norma richiede che il mancato avveramento dell'evento dedotto sia riconducibile a una condotta soggettivamente e obiettivamente imputabile alla parte che aveva interesse contrario.
L'interesse viene qualificato avuto riguardo alla natura del negozio e alla posizione in concreto assunta dal contraente, sicché non ne è consentita una valutazione in termini astratti.
Non solo, la Suprema Corte specifica come il comportamento della parte debba essere attivo, salvo che costituisca violazione di un obbligo di agire imposto dalla legge o dal contratto.
Sul piano processuale, poiché il contratto condizionato è valido e già perfezionato, la violazione dell'obbligo di buona fede dà luogo a responsabilità contrattuale.
Consegue che anche nell'ipotesi della fictio, la parte che agisca per l'esatto adempimento o, in alternativa, per la risoluzione e il risarcimento del danno, deve solo provare la fonte del diritto, gravando in capo al debitore la prova dell'aver tenuto un comportamento secondo buona fede.
La Corte, in secondo luogo, passa in rassegna le varie figure di condizione che non sopportano la finzione di avveramento, in primis quella potestativa.
Si qualifica come potestativa quella condizione in cui il potere di incidere sull'efficacia del negozio viene rimesso alla libertà di azione di una delle parti.
La libertà in questione non è libera, ma si estrinseca in una condotta impegnativa parametrata alle regole di comune correttezza, di correttezza professionale, di equità, di ragionevolezza ecc.
La scelta, dunque, è valutabile sulla base di ragioni obiettive, dipendenti anche dal concorso di fattori estrinseci.
Viene ricondotta all'interno di tale categoria la figura specifica della "condizione di adempimento", in cui l'efficacia del contratto è ricollegata all'esito di una ponderazione di vantaggi e svantaggi operanti sul piano economico.
È, invece, distinta da quella meramente potestativa, in cui la determinazione della volontà è legata al semplice arbitrio della parte; una condizione sospensiva di tal fatta cagiona la nullità dell'operazione negoziale ex art. 1355 c.c.
La natura potestativa della condizione, dunque, rimette l'efficacia del contratto alla volontà obiettivata di un singolo contraente, ragion per cui non si presta all'applicazione della fictio.
Nello specifico, la Suprema Corte afferma che "un'eventuale limitazione alla discrezionalità del contraente importerebbe una contraddizione in termini sul piano giuridico, poiché non è giustificabile, da un lato, concedere libertà di agire al fine di determinare l'avveramento dell'evento futuro e incerto e, dall'altro, circoscrivere tale libertà, prevedendo la finzione di avveramento nel caso in cui la parte non adotti quel contegno".
Corollario di quanto sinora osservato, la finzione di avveramento non si applica neppure al segmento delle condizioni miste riconducibili all'elemento potestativo.
La condizione mista si connota per il fatto dedotto al proprio interno, il quale dipende sia dalla volontà di una parte, che da fattori esterni ed estranei all'elemento volitivo.
Allo stesso modo, specifica la Suprema Corte, la fictio ex art. 1359 c.c. non si applica neppure alle condizioni improprie.
È impropria la condizione in cui l'evento dedotto non è futuro, ma è passato o contestuale alla stipula negoziale.
La giurisprudenza maggioritaria ammette la configurabilità di tale tipologia di condizione in virtù dell'incertezza soggettiva che la caratterizza.
Viene osservato che le parti intendono ricollegare gli effetti del contratto condizionato ad una situazione che non ricomprende l'incertezza dell'evento dedotto, e non l'evento in sé, ciò al fine di non farne ricadere il rischio in capo ad alcuno dei contraenti.
Sulla base di tale impostazione, la giurisprudenza sottolinea come elemento centrale dell'istituto della condizione sia l'incertezza, sia essa solo soggettiva.
Per altra impostazione, la figura è ammissibile, ma non può essere qualificata come condizione, bensì come semplice requisito attuale di efficacia del contratto.
La Suprema Corte individua, infine, un'ultima tipologia di condizioni che non ammettono l'applicazione della fictio in esame: quelle bilaterali.
È definibile come bilaterale quella ipotesi in cui la parte tenuta all'esecuzione condizionata presenti un proprio interesse all'avveramento dell'evento, i.e. all'adempimento stesso.
Si ammette, così, che operi la finzione di avveramento solo laddove la condizione sia stata apposta nell'interesse di una sola parte; l'interesse è deducibile dal giudice in virtù di clausola espressa o di elementi che inducano a ritenere in tal senso.