Le varie funzioni del recesso
Ai sensi dell'art. 1372 c.c., il contratto imprime tra le parti un vincolo la cui forza si spiega per il principio pacta sunt servanda, ragion per cui, di regola, esso non è né modificabile né risolvibile per volontà del singolo contraente.
A questa regola corrispondono, tuttavia, delle eccezioni.
Lo stesso art. 1372 c.c., infatti, prevede la possibilità che il contratto si possa sciogliere non solo per mutuo consenso, ma anche negli altri casi ammessi dalla legge.
Tra i casi previsti ex lege figura il recesso, di cui all'art. 1373 c.c.; tale istituto consiste nella facoltà in capo a una parte, attribuita dalla legge o dal contratto, di porre fine al rapporto negoziale per il tramite di una decisione unilaterale.
Il soggetto che dispone della suddetta facoltà è titolare di un diritto potestativo, il quale viene esercitato con un atto recettizio nella stessa forma imposta per il negozio su cui incide.
Il recesso, agendo sul rapporto, può produrre sia effetti ex nunc, che ex tunc, in ciò distinguendosi dalla revoca.
Preso in considerazione come l'istituto sia contemplato nella disciplina di numerosi contratti tipici e di come in sede giurisprudenziale ne sia ammessa una pattuizione convenzionale, una dottrina, a dir vero minoritaria, smentisce quell'orientamento giurisprudenziale, comunque maggioritario, secondo cui trattasi di un istituto eccezionale.
A detta di tale dottrina, dunque, il recesso è uno strumento fisiologico di regolamentazione degli interessi.
Come detto, il diritto di recesso può essere attribuito per volontà delle parti, l'art. 1373 c.c. ne detta una disciplina, dispositiva, differenziandone l'operatività a seconda del tipo di contratto a cui tale diritto accede.
In ipotesi di contratto a esecuzione istantanea, la parte legittimata potrà recedere entro l'inizio dell'esecuzione della prestazione. Con tale previsione, il legislatore ha inteso far coincidere il sorgere dell'affidamento nella controparte con il principio di esecuzione, attribuendo a questa la funzione di implicita rinuncia al diritto di recesso.
Per quanto riguarda, invece, i contratti a esecuzione continuata e periodica, c.d. di durata, il rapporto contrattuale si sviluppa e perdura nel tempo, per tale motivo il recesso è consentito anche in un momento successivo rispetto all'inizio dell'esecuzione.
La norma fa salvi gli adempimenti pregressi, prevedendo la generale efficacia ex nunc del recesso, in ragione del fatto che l'interesse alla prestazione viene meno per il futuro, non già per il passato.
Nei casi di recesso legale, invece, è lo stesso legislatore ad attribuire tale facoltà allo scopo di perseguire una determinata funzione.
Tra quelle possibili, la prima che l'attribuzione ex lege di un potere di recesso può perseguire è quella determinativa.
Tale funzione costituisce applicazione concreta del principio generale di necessaria temporaneità dei vincoli giuridici, secondo cui, a detta di un orientamento, un vincolo perpetuo sarebbe addirittura illecito per contrarietà all'ordine pubblico.
Per altro orientamento, invece, la funzione svolta dal recesso determinativo sarebbe più basilare, integrando il contratto e individuando il termine finale di efficacia omesso in sede di stipula.
A detta di tale ultima impostazione, il recesso legale si configura come contrarius actus al pari di quello convenzionale.
Quando la legge, o la volontà delle parti, ricollega all'esercizio del diritto un onere di comunicazione di preavviso si producono due conseguenze, il recesso così manifestato diviene irretrattabile e produce i suoi effetti finali non al momento della comunicazione, bensì alla scadenza del termine previsto dal preavviso stesso.
Altra funzione che può essere assolta dal recesso è quella di sciogliere il vincolo contrattuale in presenza di difetti genetici o funzionali del contratto, ovvero ancora in ipotesi di modifiche unilaterali del contratto.
A detta di una giurisprudenza, in ragione della sua funzione deflattiva e per via della sua elasticità, il recesso con funzione impugnativa si considera contemplato per tutti i contratti tipici.
Si oppone a tale orientamento che, per via dell'assenza di una disciplina sistematica e unitaria, e, soprattutto, in ragione del generale divieto di autotutela, le ipotesi di recesso-impugnazione operano solo laddove tipicamente previste ex lege, non essendo passibili di applicazione analogica.
Un esempio di tale figura lo si ritrova all'art. 1385, 2° co. c.c., per cui, a fronte dell'inadempimento, la parte non inadempiente potrà ritenere la caparra confirmatoria che abbia ricevuto in luogo dell'azionare i rimedi giurisdizionali previsti.
Infine, una terza funzione assolvibile dall'istituto del recesso legale è quella penitenziale.
Si definisce come recesso di pentimento quella protezione attribuita dalla legge alla parte che possa, all'interno di un rapporto contrattuale, liberarsi una volta che il vincolo non le sia più gradito.
L'istituto è particolarmente adoperato nei contratti riconducibili allo schema della locatio operis, ma, in tempi più recenti, ha avuto un notevole sviluppo nelle discipline di settore finalizzate alla tutela del contraente debole.
Rispetto alle ipotesi codicistiche di recesso penitenziale, la differenza principale risiede nel fatto che, mentre per esse il recedente è tenuto al risarcimento del danno provocato o comunque all'indennizzo della controparte, nel recesso di cui alla disciplina speciale esso è normalmente gratuito, proprio alla luce del fine di protezione.