I reati ambientali: i delitti introdotti con la l. 68/2015 e la difficoltà nei rapporti co i reati di cui al d.l.vo 152/06
L'ambiente è un aspetto della nostra vita quotidiana difficile da perimetrare date le sue innumerevoli sfaccettature e la sua dimensione illecita in ragione della potenza espansiva dei suoi illeciti e della loro capacità di colpire un numero indeterminato di persone.
Risulta difficile fornire una definizione condivisa di ambiente, mancando in materia un riferimento normativo in merito. Ad una nozione più ristretta riferita alle sole componenti della biosfera quali acqua, aria e suolo e fauna e flora, si contrappone una concezione più ampia che estende il concetto di ambiente al territorio inteso come assetto urbanistico, paesaggio e beni culturali.
Se venisse inteso solo in senso naturale, il bene giuridico tutelato sarebbe estremamente scarso.
L'ambiente è diventato oggetto di studio e di interesse in un periodo relativamente recente e cioè quando l'opinione pubblica si è iniziata ad interessare ai pericoli e ai danni che potevano derivare dalla lesione del bene ambiente.
L'ambiente deve intendersi come un diritto della personalità e costituisce quindi un diritto fondamentale dell'uomo.
Esso ha assunto col tempo la qualifica di bene giuridico grazie ad interventi legislativi come il d.lgs. 152/2006 e la l. 68/2015 che hanno collocato alcune fattispecie di danno ambientale nel codice penale.
Con la progressiva presa di coscienza della gravità dei rischi per l'ambiente derivanti da uno sviluppo tecnologico e scientifico indiscriminato si è invocata la predisposizione di una risposta punitiva ad eventuali danni arrecati all'ambiente, capaci di danneggiare intere aree geografiche in maniera irreversibile. La mancanza di normative adeguate ha comportato un frequente intervento della giurisprudenza che si è progressivamente sostituita al legislatore. In tale contesto la legge 68/2015 ha costituito una svolta per il diritto penale ambientale che ha contribuito in parte a colmare il vulnus presente nell'ordinamento.
Analizzando la l. 152/2006, in particolar modo l'art. 242, si afferma che "al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell'inquinamento mette in opera entro 24 ore le misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata comunicazione ai sensi dell'art. 304".
Se un soggetto deve comunicare un inquinamento, cioè il reato di inquinamento, introdotto successivamente dalla l.68/2015 senza alcuna disposizione di coordinamento, si pone il dubbio che la notifica dell'art. 242 si concretizzi come un'autodenuncia andando così in contrasto con l'art. 24 Cost. che, nell'esplicare il diritto di difesa, esclude l'obbligo di autodenunciarsi, principio sancito dalla locuzione latina nemo tenetur se detegere che esprime il principio di diritto processuale penale in forza del quale nessuno può essere obbligato ad affermare la propria responsabilità penale (auto-incriminazione).
Questa problematica deriva da un mancato coordinamento tra le due discipline.
Andando avanti con la lettura delle due leggi, suscita perplessità il fatto che l'OMESSA BONIFICA venga punita sia a norma del dlgs 152/2006 come contravvenzione che della legge 68/2015 come delitto. In questo caso è evidente il conflitto e non si riesce a capire quale delle due norme debba essere applicata.
Nessun dubbio esiste circa l'applicazione del nuovo delitto in seguito ad una sentenza di condanna o di patteggiamento per uno dei nuovi delitti, se vi è inottemperanza all'ordine del giudice di ripristino o recupero dello stato dei luoghi ai sensi del nuovo art. 452 duodecies.
L'ipotesi contravvenzionale si applica solo se non ricorre quella più grave del delitto di omessa bonifica, e cioè solo quando vi sia una omessa bonifica secondo progetto.
Di conseguenza, il responsabile dell'inquinamento risponderà della contravvenzione se provvede alla bonifica ma in difformità del progetto, risponderà di delitto quando ometterà del tutto di dare esecuzione al progetto di bonifica approvato.
Ed è a questo punto che si fermano i primi commentatori della l. 68/2015 ma in realtà c'è ben altro da dire.
Basta rileggere il dlgs 152/2006 per verificare che obblighi di bonifica, ripristino o recupero dello stato dei luoghi sono frequenti e non si limitano alle sole bonifiche come sembra ritenere il legislatore.
Ad esempio, l'art. 192 stabilisce che "chiunque abbandona rifiuti di modo incontrollato è tenuto a procedere alla sua rimozione e al ripristino dei luoghi in solido con il proprietario o con il titolare dei diritti reali o personali di godimento. Il sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie e il termine entro cui provvedere.
A questo punto sorge un problema di coordinamento di norme penali perché l'inottemperanza a tale obbligo è già fornito di sanzione penale: l'art 255 sancisce che chiunque non ottemperi all'ordinanza del sindaco è punito con l'arresto fino ad un anno. E allora in caso di inottemperanza all'obbligo di ripristino si applicherà l'art. 192 del dlgs 152/2006, l'art. 255 o il nuovo delitto dell'art. 452 terdecies della l.68/2015?
A nostro avviso, in mancanza di altri criteri forniti dal legislatore, la soluzione è quella prospettata dall'art. 15 c.p. della prevalenza della norma speciale su quella generale da verificarsi caso per caso.
Come fin qui analizzato, appare evidente che la nuova riforma introdotta dalla l.68/2015 ha fallito il suo obiettivo: una tecnica normativa non perfetta frutto di una legge a lungo attesa ma elaborata frettolosamente ha portato all'elaborazione di fattispecie incriminatrici dai confini incerti e indefiniti destinate ad una infelice applicazione.
Avv. Danila D'onofrio