Il risarcimento del danno lungo latente da emotrasfusione

01.04.2023

Cass. Civ, Sez. III, n.25887/2022

"Il danno biologico non consiste nella semplice lesione dell'integrità psicofisica in sé e per sé considerata, bensì nelle conseguenze pregiudizievoli per la persona, sicché, in mancanza di dette conseguenze, difetta un danno risarcibile, altrimenti configurandosi un danno "in re ipsa", privo di accertamento sul nesso di causalità giuridica (necessario ex art. 1223 c.c.) tra evento ed effetti dannosi; ne consegue che, in caso di danno c.d. lungo latente (nella specie, contrazione di epatite B, asintomatica per più di venti anni, derivante da trasfusione), il risarcimento deve essere liquidato solo con riferimento al momento di manifestazione dei sintomi e non dalla contrazione dell'infezione."

Con la sentenza n.25887 del 2022, la Suprema Corte, è stata investita del problema circa l'individuazione del dies a quo, per il risarcimento del c.d., danno lungo latente.

Il ricorrente, nel 2010 conveniva in giudizio il Ministero della Salute, la USL 10 di Firenze e l'Arcispedale di Santa Nuova in quanto nel 1979 veniva sottoposto ad intervento chirurgico per coxartrosi, ove si richiedeva una emotrasfusione, a seguito della quale contraeva epatite HBV e HVC.

Adducendo a fondamento della propria pretesa risarcitoria, un cambiamento dello stile di vita quando, nel 1999, gli veniva diagnosticata la malattia, comportando una compromissione del proprio stile di vita, essendo egli costretto a sottoporsi a numerose visite mediche dalle quali risultava un quadro clinico ormai compromesso e senza possibilità di guarigione che generava in lui un forte stato di stress e depressione.

Il giudice di prime cure, riconosceva all'esito del giudizio, con la sentenza n.760/2015, la responsabilità del Ministero della salute condannando l'amministrazione al pagamento della somma di € 73.821,00 prendendo in considerazione, ai fini della decisione, che l'attore all'epoca della domanda d'indennizzo aveva 47 anni.

Nel 2019, tuttavia, la Corte d'Appello di Firenze, con la sentenza n.560/2019, accoglieva parzialmente l'appello incidentale promosso dal danneggiato precisando che il Tribunale di Firenze avrebbe dovuto ritenere che l'individuazione del parametro a cui riferirsi per la liquidazione del danno biologico dovesse essere l'età del ricorrente al momento della trasfusione e quindi, 25 anni. Contestualmente accoglieva, però, anche l'appello incidentale proposto dal Ministero della Salute, per calcolare le somme già percepite nonché quelle da percepire in futuro a titolo di indennizzo, per mezzo del criterio della capitalizzazione.

Contro la sentenza di secondo grado il Ministero della Salute ricorreva in Cassazione, e in quella sede lo stesso danneggiato proponeva ricorso incidentale resistendo contestualmente al ricorso.

Il Ministero lamentava, che in secondo grado, fosse stato errato individuare nell'età del danneggiato al momento dell'emotrasfusione, il parametro per il calcolo del risarcimento poiché lo stesso resistente aveva affermato di non aver mai avuto sintomi fino al 1999; al contrario, invece, il danneggiato, lamentava che la Corte di Appello aveva disposto la "compensatio lucri cum damno" tra il risarcimento liquidato e l'indennità percepita.

La Cassazione, sulla base dei due ricorsi riteneva fondato il ricorso principale addotto dal Ministero della Salute, ritenendo che il criterio da applicare non fosse quello dell'età al momento della trasfusione, bensì al momento della diagnosi, in quanto non conforme a diritto.

In tale sede venivano svolte due considerazioni dagli Ermellini, in merito alla stima del danno: "occorre considerare che: a) nel danno lungo latente, il nesso tra fatto lesivo e conseguenze pregiudizievoli non è sincrono ma diacronico, il che significa che il danno-conseguenza si <<esternalizza>> non già immediatamente, bensì dopo un certo lasso temporale, di durata variabile – e, a volte, anche a distanza di anni – dal fatto illecito; b) finché l'agente patogeno innescato dal fatto illecito non si manifesta, non si realizza alcun danno risarcibile in quanto solo il danno conseguenza non costituisce il parametro di determinazione del danno ingiusto".

Veniva altresì richiamata la nozione di danno biologico fornita dalla Giurisprudenza stessa, che va ad intenderlo come una conseguenza del pregiudizio subito, sul modo di essere e sullo stile di vita della persona danneggiata.

A tal fine, quindi, per ottenere il risarcimento non basta che venga identificato un effetto dannoso, ma è necessario che quest'ultimo abbia provocato delle menomazioni o delle compromissioni di una o più abilità del soggetto, che pertanto, è impossibilitato al compimento delle attività quotidiane che prima svolgeva serenamente.

Se così non fosse, si risarcirebbe semplicemente il danno senza il compimento di una valutazione sulla sussistenza o meno del nesso di causalità tra l'evento lesivo e le conseguenze dannose riportate, che invece è indispensabile ai sensi dell'art.1223 c.c..

In conclusione, quindi, ai fini della risarcibilità del danno lungo latente, è indispensabile che si verifichi la manifestazione della sintomatologia come conseguenza dell'evento dannoso, che sarà anche un riferimento per stimare il risarcimento del danno biologico.

Dott.ssa Martina Carosi