L’incompatibilità del rappresentante legale quale autore del reato presupposto della responsabilità dell'ente

19.02.2025

A cura di Dott. Marco Misiti

Il sistema relativo alla responsabilità amministrativa da reato degli enti è materia nota oramai alla quasi totalità degli operatori del diritto penale[1]. Il più delle volte l'interesse è stato rivolto agli aspetti sostanziali della normativa: la natura della responsabilità; la conformità a Costituzione dell'inversione dell'onere probatorio di cui all'art. 6 del d.lgs. n. 231/2001; le peculiarità del sistema sanzionatorio. Sono rimasti invece in penombra i profili relativi al procedimento di accertamento della responsabilità dell'ente.

L'attenzione rivolta verso tale materia è stata determinata in larga misura da singole problematiche emerse nella prassi, come avvenuto con riferimento all'applicabilità della sospensione del processo con messa alla prova[2]. Per poter comprendere le soluzioni delle singole questioni è necessario conoscere i principi generali che regolano il settore.

L'art. 34 del citato decreto prevede un duplice criterio per la individuazione delle norme processuali: da un lato, in forza del principio di specialità, si afferma la prevalenza delle disposizioni ivi previste rispetto a quelle generalmente contenute nel codice di rito; dall'altro lato, è stato stabilito un rinvio alla normativa del codice di procedura penale che, però, trova applicazione solo se compatibile. In analogia a quest'ultimo meccanismo, l'art. 35 stabilisce che all'ente si applichino le disposizioni processuali relative all'imputato, sempre se compatibili[3].

Una disciplina ad hoc, determinata proprio dalla sussistenza di una ipotesi di incompatibilità tra normative, attiene alle modalità di partecipazione processuale dell'ente. Infatti, tenuto conto che quest'ultimo presenta una natura diversa da quella della persona fisica, esso non può "personalmente" presenziare, ma deve avvalersi di un rappresentante legale che effettuerà le relative scelte processuali[4]. Tra queste rientra anche la strategia sul se partecipare o meno: l'ente può costituirsi in giudizio mediante un atto formale, oppure può decidere di non costituirsi, con conseguente applicazione della normativa sull'assenza.

La costituzione avviene mediante un'apposita dichiarazione in cui si indicano: la denominazione dell'ente e le generalità del legale rappresentante; i dati identificativi del difensore nominato[5], munito di procura; la sottoscrizione del difensore; la dichiarazione ed elezione di domicilio.

Ciò premesso, la distinzione ontologica tra l'ente destinatario della normativa 231 e il suo rappresentante legale può rappresentare il presupposto per la sussistenza di un conflitto di interessi tra gli stessi[6].

È il caso espressamente contemplato nell'art. 39 del d.lgs. n. 231/2001, in merito all'ipotesi in cui la responsabilità dell'ente derivi da un reato commesso dal suo rappresentante legale, soggetto apicale ai sensi dell'art. 5, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 231/2001. Infatti, per andare esente da responsabilità l'ente potrebbe adottare un ventaglio di strategie difensive, che vanno dal provare che il reato sia stato commesso dall'autore nell'interesse proprio o di terzi, o ancora di aver predisposto ogni possibile cautela e procedura per impedire che il reato venisse commesso, ma quest'ultimo è stato comunque realizzato mediante l'elusione fraudolenta dei modelli di organizzazione e gestione. Si verte pertanto in una contrapposizione di posizioni – quantomeno dal punto di vista dell'ente – che renderebbe illogico consentire al rappresentante legale di scegliere, oltre al proprio difensore nel procedimento penale, anche quello dell'ente nel procedimento sanzionatorio a carico di quest'ultimo[7].

Ciò vale a prescindere dalla scelta processuale dell'ente nel singolo caso concreto. Il legislatore ha infatti optato per una presunzione assoluta. Si deve inoltre tenere presente che si tratta di una ipotesi di difetto di legittimazione alla nomina rilevabile ex officio e che, pertanto, potrebbe essere sollevata per la prima anche in sede di legittimità pur se non dedotta dalle parti[8]. Qualora venisse rilevata tale incompatibilità, tutti gli atti compiuti dal rappresentante sono per ciò solo inefficaci[9].

Il legislatore non prevede quale sia il rimedio da adottare per risolvere l'incompatibilità. A livello pratico, nel caso in cui il rappresentante legale fosse indagato per il reato presupposto - e sempre che l'ente voglia effettivamente costituirsi in giudizio - si dovrà procedere alla nomina di un nuovo rappresentante legale o avvalersi di uno già nominato, ma diverso dall'autore del reato presupposto. Nulla esclude, in ogni caso, che si provveda alla nomina di un procuratore ad litem ai soli fini processuali, con la finalità di avvalersi a livello di esercizio dell'attività di impresa dello stesso rappresentante legale. Infine, si potrebbe anche ipotizzare l'inserimento nello statuto di una clausola che consenta la sostituzione automatica del rappresentante legale.

Quanto fin qui affermato presuppone, tuttavia, che l'ente sia a conoscenza di essere sottoposto a un procedimento a suo carico. Diversamente, come espressamente affermato dalla Corte di cassazione, non si realizzano le condizioni di incompatibilità contemplate dall'art. 39[10], finendosi così per gravare l'ente di conseguenze non prevedibili dallo stesso.

Il tema affrontato permette di comprendere come il procedimento sanzionatorio 231 a carico degli enti rappresenta un sistema a parte che non può essere trascurato. Infatti, come visto, pur richiamando in generale le norme del codice di procedura penale, presenta caratteristiche e problematiche proprie che, se ignorate, possono determinare anche gravi conseguenze giuridiche.


[1] Qualora si volesse approfondire il tema concernente la responsabilità amministrativa da reato degli enti, si veda E. Mezzetti, Diritto penale, Dottrina, casi e materiali, 2023, Zanichelli, 129 ss. Si veda anche M. Pelissero, Responsabilità degli enti, in F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari. Tomo II, 2022, 781 ss.

[2] La questione è stata risolta da Cass. pen., Sez. U, 6 aprile 2023, n. 14840.

[3] In merito si veda L. Camaldo, I principi generali del procedimento nei confronti delle persone giuridiche, in Diritto e procedura penale delle società, (a cura di) G. Canzio e L. L. Donati, 2022, Giuffré, 1191 ss.

[4] Così L. Camaldo, I principi, cit., 1223, il quale ìindica come esempi di partecipazione dell'ente al procedimento sanzionatorio 231 mediante rappresentante legale la scelta di sottoporsi a interrogatorio o rilasciare dichiarazioni spontanee.

[5] Per un approfondimento sul rapporto tra difesa tecnica e costituzione dell'ente nel procedimento 231, si rinvia a B. Ambrosio, La rappresentanza dell'ente nel processo, in Giurisprudenza penale web, 4/2018, 10 ss.

[6] Così L. Camaldo, I principi, cit., 1224, secondo il quale «il rappresentante legale […] è pur sempre un soggetto distinto e non completamente assimilabile alla persona giuridica».

[7] In tal senso si è espressa Cass. pen., Sez. V, 21 luglio 2022, n. 28963.

[8] Così parrebbe essere avvenuto nel provvedimento di Cass. pen., Sez. VI, 12 settembre 2024, n. 34476.

[9] Così Cass. pen., Sez. III, 23 ottobre 2024, n. 38890.

[10] Così Cass. pen., Sez. VI, 12 settembre 2024, n. 34476.