Insider trading e ne bis in idem in caso di archiviazione
CA di Milano, 6 luglio 2023, Prima Sezione Civile
Può il provvedimento di archiviazione (ex artt. 409, 410 c.p.p.) precludere – in conformità al principio del ne bis in idem – l'irrogazione di sanzioni amministrative previste dal TUF (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) per i medesimi fatti e nei confronti della stessa persona?
Con sentenza del 6 luglio 2023, la Corte d'appello di Milano, Prima Sezione Civile, ha risposto positivamente al quesito affrontando nuovamente il tema del rapporto tra giudizio penale e procedimento sanzionatorio Consob in materia di c.d. market abuse.
In sede amministrativa, la Consob contestava ad un insider la violazione dell' art. 187 bis comma 1 lettera b) del D.lgs. 58/1998 per l'asserita rivelazione a terzi di informazioni price sensitive relative ad una futura e ipotetica offerta pubblica di acquisto di azioni di una Società quotata in borsa, irrogando, all'esito del procedimento amministrativo, sanzioni interdittive e pecuniarie che l'incolpato impugnava di fronte alla Corte di Appello civile.
Per gli stessi fatti, veniva avviato un procedimento penale su sollecitazione dell'Autorità di vigilanza. Il GIP, respingendo l'opposizione promossa dalla Consob, accoglieva la richiesta di archiviazione formulata dal PM per infondatezza della notitia criminis a carico dell'indagato.
La Corte di Appello civile, in sede di impugnazione della delibera sanzionatoria Consob, forniva una lettura estensiva del ne bis in idem, già fatta propria dalla Suprema Corte, dalla Corte costituzionale e, ancora più apertamente, dalle Corti europee.
Tale principio di natura processuale – che a livello interno trova riferimento normativo nell'art.649 c.p.p. – fa divieto di (ri)procedere penalmente una seconda volta (id est, di aprire un nuovo procedimento o di proseguire un procedimento già aperto) rispetto al medesimo fatto già giudicato in maniera definitiva.
Dunque, laddove letteralmente inteso, la citata norma sembra impedire un secondo giudizio solo su un fatto già accertato da un provvedimento "irrevocabile" e tale non potrebbe definirsi l'ordinanza di archiviazione.
In realtà, secondo una giurisprudenza ormai consolidata, la preclusione del principio in questione opera anche in presenza di provvedimenti decisori diversi da quelli indicati nell'art.649 c.p.p., come il decreto di archiviazione seguito dalla riapertura delle indagini da parte dello stesso pubblico ministero senza l'autorizzazione del giudice prescritta dall'art.414 c.p.p.[1]; la sentenza di non luogo a procedere in assenza del provvedimento di revoca ex art.434 c.p.p.; nonché relativamente alle ordinanze cautelari, pur avendo essere carattere provvisorio, e nelle misure di prevenzione.
"L'attributo di "irrevocabile" – argomenta la Corte - è divenuto sempre più sinonimo di "non più impugnabile" ed una procedura mediante la quale il pubblico ministero, legittimato ad amministrare la giustizia dell'ordinamento giuridico nazionale competente, decida di chiudere i procedimenti penali a carico dell'imputato per infondatezza della notizia di reato, ben può essere considerata "definitiva" – per esigenze logico sistematiche – quanto meno fino a quando non intervengano fatti nuovi che giustifichino la riapertura delle indagini. Dunque, in assenza di nuove prove".
L'ordinanza di archiviazione ben può considerarsi un provvedimento "definitivo" in quanto reso all'esito di un'istruttoria approfondita e permanendo l'assenza di nuove prove; ciò sembra esserebastevole "per l'applicazione del ne bis in idem quale diritto umano fondamentale riconosciuta dalla CEDU".
I giudici dell'appello ritengono, difatti, oggettivamente paradossale che l'indagato – ai fini degli effettivi preclusivi del ne bis in idem – possa avvalersi di una pronuncia favorevole solo se resa con sentenza passata in giudicato, piuttosto che invocare tale principio nel caso in cui il giudice investito della notizia di reato non abbia neppure ritenuto di proseguire l'azione penale nei suoi confronti per insussistenza degli indizi di colpevolezza.
Un siffatto impianto condurrebbe all'assurdo che l'incolpato debba preferire e reclamare sé stesso la celebrazione di un processo che conduca ad un provvedimento definitivo (recte irrevocabile) di assoluzione.
Per contro, negando rilievo al decreto di archiviazione residuerebbe un provvedimento eternamente in vana attesa di definizione giudiziale.
Infine, chiarisce la Corte, che "il principio del ne bis in idem, al di là delle sue indubbie connotazioni di garanzia per l'incolpato, risponde anche alla non trascurabile esigenza di evitare il dispendio di risorse giurisdizionali, oltreché di scongiurare un possibile contrasto tra giudicati, laddove sul medesimo fatto siano chiamate ad indagare più Autorità, con pesanti ricadute sulla tenuta (e coerenza) complessiva del sistema. E come esso poggi, indefettibilmente, sulla reciproca fiducia negli organi giudicanti".
Dott.ssa Francesca Saveria Sofia
[1] Corte Costituzionale, 19 gennaio 1995, n.27; Cass. Sez. Un. 22 marzo 2000