Sull’interesse ad impugnare la sospensione condizionale della pena concessa ex officio

23.06.2023

Cass. Pen., Sez. I, 22 settembre 2022, n. 35315 

Con la sentenza n. 35315 de 22 settembre 2022, la Prima Sezione penale della Corte di cassazione si è pronunciata sull'ammissibilità della concessione ex officio del beneficio della sospensione condizionale della pena e della configurabilità di un interesse a impugnare qualora la pena sospesa sia di tipo pecuniario.

Nel caso concreto, l'imputato era stato condannato alla sola ammenda di mille euro per il reato di porto di oggetti atti ad offendere, ai sensi dell'art. 4, comma 2, legge n. 110 del 1975, con il riconoscimento della circostanza attenuante della lieve entità. Il Tribunale aveva deciso di sospendere la citata pena ai sensi dell'art. 163 c.p. l'assenza di una esplicita richiesta difensiva in merito.

Sul punto proponeva ricorso per cassazione la difesa dell'imputato, lamentando che, nel caso concreto, la sospensione condizionale della pena pecuniaria non avrebbe rappresentato per il ricorrente un beneficio, bensì un pregiudizio. Infatti, secondo la prospettazione difensiva, se la pena non fosse stata sospesa, l'imputato avrebbe potuto ottenere una più rapida fuoriuscita dal circuito penale, tenuto conto della diversa individuazione del dies a quo in relazione al termine decennale per ottenere la cancellazione della condanna dal Casellario giudiziale.

In parole povere, il ricorrente sosteneva che la sospensione condizionale della pena nel caso concreto avrebbe comportato una posticipazione della citata cancellazione, poiché il termine decennale avrebbe iniziato a decorrere dal momento di estinzione della pena. Se il beneficio non fosse stato concesso, l'imputato avrebbe potuto pagare immediatamente la pena, con contestuale e immediato decorso del citato termine.

La sentenza ora in commento ha optato per l'orientamento secondo il quale sarebbe possibile immaginare che, nel caso concreto, la concessione ex officio della sospensione condizionale della pena rappresenti per l'imputato più un pregiudizio che un beneficio. Tale situazione comporterebbe la sussistenza di un interesse a impugnare la statuizione sul punto al fine di ottenerne la revoca.

È però necessario, prosegue il giudice di legittimità, che l'impugnazione sia sorretta da «interessi giuridicamente apprezzabili», in particolare concernenti la «reintegrazione sociale del condannato», e che le doglianze difensive non si risolvano in «motivi di mera opportunità, come quello di riservare il beneficio per eventuali condanne a pene più gravi».

Applicando nel caso concreto i principi ermeneutici appena richiamati, il giudice di legittimità ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto poiché riteneva non sussistente l'interesse alla impugnazione della sentenza e alla revoca della sospensione condizionale della pena, interesse individuato dal ricorrente nella «possibilità di ottenere un lavoro».

Se tale era l'interesse del ricorrente ­ precisa il collegio ­, lo stesso sarebbe comunque soddisfatto dalla circostanza che nel certificato del Casellario giudiziale non viene fatta menzione della condanna relativa a reati estinti a norma dell'art. 167, comma 1, c.p. Perciò, decorso il termine relativo alla pena sospesa, individuato per l'ipotesi contravvenzionale in due anni, la citata condanna sarebbe rimasta iscritta nel Casellario giudiziale, ma non ne sarebbe stata fatta menzione nel relativo certificato eventualmente richiesto.

In conclusione, il giudice di legittimità ha dato atto che a volte, dietro a un formale beneficio, possa nascondersi un pregiudizio per l'imputato. Tuttavia, lo stesso giudice ha stabilito il principio secondo il quale la difesa deve dimostrare la sussistenza di tali pregiudizi, non invece limitarsi ad allegare ragioni di mera opportunità o ad asserire l'esistenza di un danno per l'imputato non meglio precisato.

Dott. Marco Misiti