La clausola di flessibilità
L'art. 352 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) rappresenta uno strumento normativo di grande portata e flessibilità, dal momento che consente l'ampliamento delle competenze dell'Unione senza ricorrere alla lunga e complessa procedura di revisione.
La "clausola di flessibilità" di cui all'art. 352 del TFUE prevede una formale procedura per l'ampliamento dei poteri non attribuiti all'Unione europea, nel caso in cui appaia necessario, nel quadro delle politiche definite dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati.
Questa clausola ha inizialmente e comprensibilmente sollevato critiche e scetticismo da parte di coloro i quali temevano un'erosione della sovranità statale e, soprattutto, del potere dei Parlamenti nazionali, con conseguente diminuzione della democraticità del processo di integrazione europea.
L' impasse è stato superato grazie alle garanzie offerte dalla procedura ex art. 352 TFUE. È infatti previsto che i poteri di azione in capo all'Unione Europea siano attivabili solo nel caso in cui il Consiglio deliberi all'unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, secondo una procedura legislativa speciale, che è ulteriormente rafforzata dal ruolo di controllo affidato ai Parlamenti nazionali, nel caso in cui il potere di azione sia esercitato in una materia di competenza concorrente. Inoltre, il ricorso a tale disciplina come base giuridica di un atto è ammesso solo come extrema ratio, dunque nel caso in cui nessuna altra disposizione dei trattati attribuisca alle istituzioni UE la competenza per l'emanazione dell'atto stesso. Condizione di operatività della clausola di flessibilità è il rispetto dei principi di attribuzione delle competenze, sussidiarietà e proporzionalità, come precisato nella Dichiarazione n. 42, secondo un consolidato orientamento della Corte di Giustizia[1].
In buona sostanza, questa clausola non può ampliare la sfera dei poteri assegnati all'UE nella misura in cui attribuiscano nuovi compiti e azioni all'Europa, dunque una modifica dei Trattati, senza ricorrere alla procedura prevista a tal fine, così come non si può ricorrere alla disciplina ex art. 352 TFUE per alterare il delicato riparto di competenze tra Unione e Stati membri.
La clausola di flessibilità va intesa come uno strumento normativo non solo proporzionato, ma anche necessario, per realizzare uno degli obiettivi previsti dalle politiche sancite nei trattati, secondo l'ampia discrezionalità concessa al Consiglio, purché non sia strumento per attuare l'armonizzazione nelle materie espressamente escluse dai Trattati o per legiferare in politica estera e sicurezza comune.
A contrario, il Consiglio può anche sceglier di non ricorrere all'attribuzione di competenze nonostante un'azione dell'Unione non prevista sarebbe necessaria al raggiungimento degli obiettivi europei. Quando fa uso della clausola di flessibilità, il Consiglio può adottare gli atti vincolanti di cui all'art. 288 TFUE in maniera coerente e razionale con l'obiettivo da perseguire, come spetta supervisionare alla Corte di Giustizia, a cui compete assicurarsi soprattutto che l'uso della disciplina di cui all'art. 352 TFUE non alteri l'equilibrio di sistemi e valori di cui all'art. 2 TUE, i diritti e le libertà di cui alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, che si ritrovano anche nella CEDU, e i principi giurisprudenziali della Corte di Giustizia, quali il legittimo affidamento, la certezza del diritto e l'effetto utile.
Nonostante alla base giuridica di cui all'art. 352 TFUE debba ricorrersi con estrema cautela e in via eccezionale, essa ha costituito una grande risorsa e chiave di svolta della politica dell'Unione Europea nel corso della sua storia. Basti pensare che alla clausola di flessibilità si ricorse già nel lontano 1972 durante il Vertice dei Capi di Stato o di governo svoltosi a Parigi, con cui si sancì l'Unione economica e monetaria, e negli anni il suo utilizzo è diventata prassi applicativa in materie quali la politica regionale e dell'ambiente, la politica industriale e del consumatore, quella energetica e del turismo, che hanno poi avuto un formale riconoscimento attraverso le modifiche apportate all'Atto unico europeo dal Trattato di Maastricht e dal Trattato di Lisbona.
Per concludere, l'apporto maggiore che ha dato la clausola di flessibilità alle competenze UE è stata nel campo degli strumenti, poteri e diritti nuovi all'interno delle competenze materiali già attribuite all'Europa, ad esempio per quanto riguarda il funzionamento del mercato unico.
Bibliografia
G. TESAURO, Manuale di diritto dell'Unione
Europea (a cura di P. De Pasquale e F. Ferraro), Editoriale scientifica,
2018, pp. 46
[1] Corte giust. parere 28 marzo 1996, 2/94.