La Corte Costituzionale sull’appropriazione indebita: illegittima la pena minima di due anni di reclusione
Con la recentissima decisione assunta il 21/02/2024, depositata il 22/03/2024 (Sent. n. 46/2024), la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla questione sollevata dal Tribunale Ordinario di Firenze, I Sez. Penale, con Ordinanza del 06/03/2023 in riferimento all'art. 646, co. I c.p., modificato dall'art. dall'art. 1, co. I, lett. u), L. 9 gennaio 2019, n. 3 (Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici, c.d. "Legge Spazzacorrotti"), nella parte in cui punisce la condotta di appropriazione indebita con la "reclusione da due a cinque anni, oltre alla multa", in luogo della "reclusione da sei mesi a cinque anni, oltre alla multa", per violazione degli artt. 3 e 27, III co. Cost.
La Corte, in accoglimento della suesposta questione, ha ritenuto costituzionalmente illegittima la cornice edittale modificata con la L. 3/2019, ritenendo "privo di qualsiasi plausibile giustificazione il brusco innalzamento della pena minima da quindici giorni a due anni di reclusione"[1].
Il giudizio a quo vedeva imputato un agente immobiliare per un'appropriazione indebita (con l'aggravante dell'abuso di prestazione d'opera) del valore di Euro 200,00, avendo lo stesso restituito al cliente solo una parte della cauzione corrisposta per un contratto di locazione non giunto a conclusione.
Nulla quaestio circa la configurabilità del delitto contestato, essendo emerso pacificamente il vincolo di destinazione del denaro consegnato all'intermediario immobiliare, a nulla rilevando la parziale riconsegna del credito[2].
Tuttavia, alla luce della contenuta gravità del fatto e della concessione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, a parere del Giudicante la pena da irrogare avrebbe dovuto attenersi sui minimi edittali, ritenuti di dubbia legittimità costituzionale.
Invero, la modifica normativa del 2019 è stata introdotta in un quadro di riforma più ampio, volto a combattere in modo più efficace la corruzione.
Tuttavia, se la ratio di tale Legge la si comprende in relazione a quelle condotte prodromiche a fenomeni corruttivi, di maggior disvalore sociale, al contrario appare manifestamente sproporzionata rispetto a quelle attività che nulla hanno a che fare con simili delitti e che sono produttive di un lieve danno patrimoniale (come, ad esempio nel caso de quo di Euro 200,00).
Del pari, risulterebbe eccessiva anche operando un confronto con altre fattispecie che tutelano l'integrità patrimoniale – quali il furto o la truffa – che prevedono un minimo edittale di sei mesi di reclusione, con il paradosso che in alcune ipotesi, in applicazione dell'attuale formulazione del reato di appropriazione indebita, verrebbero punite più gravemente condotte con cui l'agente si è "limitato" a distrarre le somme dalla destinazione pattuita tra le parti, rispetto a quelle consumate altresì mediante artifizi e raggiri al fine di indurre la vittima alla dazione di denaro, così realizzando un'irragionevole disparità di trattamento.
Non si comprendono, dunque, le ragioni che hanno indotto il legislatore ad innalzare a due anni la pena minima, che dal 1931 al 2019 corrispondeva a giorni quindici di reclusione.
L'irragionevole inasprimento sanzionatorio non potrebbe essere giustificato neppure ricorrendo a strumenti di riduzione della pena, quali le circostanze attenuanti generiche o i riti speciali, essendo rimessa alla facoltà del Giudice e dell'imputato, rispettivamente, quello di mitigare la condanna al ricorrere di precisi presupposti ovvero di rinunciare a parte delle garanzie difensive tipiche del dibattimento in ragione di uno sconto di pena.
La Consulta, nel ritenere le anzidette questioni fondate, ha ribadito l'ampia discrezionalità riconosciuta al Legislatore nelle scelte di politica criminale, tanto nella determinazione della pena che nell'individuazione delle condotte penalmente rilevanti (ex multis, Sentenze n. 207 del 2023 e n. 117 del 2021); "Discrezionalità, tuttavia, non equivale ad arbitrio"[3].
In virtù dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, ogni previsione legislativa da cui discende una compressione dei diritti fondamentali della persona deve potersi "razionalmente giustificare in relazione a una o più finalità perseguite dal legislatore; e i mezzi prescelti dal legislatore non devono risultare manifestamente sproporzionali rispetto a quelle pur legittime finalità"[4].
E spetta alla Corte stessa il controllo sul rispetto di tali limiti, tanto più intenso quanto più la legge coinvolga i diritti fondamentali della persona.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte Costituzionale ha ritenuto necessaria la dichiarazione di illegittimità costituzionale della pena minima di due anni di reclusione di cui al comma I dell'art. 646 c.p.
Di conseguenza, l'ablazione dell'inciso "da due" a cinque anni comporta l'applicazione della regola generale di cui all'art. 23 c.p. che fissa in quindici giorni la durata minima della reclusione ove non diversamente stabilita dal legislatore, con l'effetto che la cornice edittale dell'appropriazione indebita dovrà intendersi "da quindici giorni fino a cinque anni di reclusione".
Ancora una volta si è ravvisato necessario l'intervento della Corte Costituzionale al fine di fornire alle Camere i criteri guida per l'esercizio della discrezionalità normativa coerentemente ai principi ed ai valori impressi nella Carta Fondamentale.
[1] Comunicato Corte Costituzionale del 22 marzo 2024.
[2] Ragione che ha indotto il remittente ad escludere sia la particolare tenuità del fatto ex 131-bis c.p. – anche tenendo conto delle condizioni economiche e familiari del conduttore – sia della causa estintiva di cui all'art. 162-ter c.p. – non avendo l'imputato corrisposto gli interessi sulla somma restituita, né risarcito il danno alla persona offesa.
[3] Corte Cost., sentenza n. 46/2024, pag. 6, punto 3.1 del Considerato in diritto.
[4] Corte Cost., sentenza n. 46/2024, pag. 6 punto 3.1 del Considerato in diritto.