La disciplina del concorso anomalo di persone
Per concorso anomalo si intende quel particolare istituto regolato dall'articolo 116 del codice penale, cioè la responsabilità del partecipe per un reato diverso da quello voluto.
Infatti, il codice Rocco contempla la possibilità che, nell'ambito del concorso di persone nella commissione di un reato, chi possiede il dominio finalistico dell'azione realizzi, al posto dell'azione concordata con il concorrente, un fatto che integri un diverso tipo di reato.
Si pensi, ad esempio, al caso di Tizio che accetta di fare il "palo" per agevolare Caio a commettere un furto, ma quest'ultimo, imbattutosi in un guardiano, compie una rapina.
Ai sensi dell'art. 116 c.p., anche qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l'evento è conseguenza della sua azione od omissione. Tuttavia, se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave.
Innanzitutto, occorre precisare l'ambito di applicabilità dell'art. 116 c.p., che richiede come requisito impredicibile la realizzazione dolosa del fatto «diverso» da parte dell'esecutore.
Se, infatti, l'evento diverso da quello voluto è realizzato dall'esecutore per colpa, ovvero rientri nello schema del delitto preterintenzionale, la soluzione va cercata in altre disposizioni (in particolare, nel caso di responsabilità per colpa, nell'art. 83 c.p. che regola la aberratio delicti, per cui «… se per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un'altra causa, si cagiona un evento diverso da quello voluto, il colpevole risponde, a titolo di colpa, dell'evento non voluto, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo»).
Allo stesso modo, non si è nell'ambito dell'art. 116 c.p. nel caso in cui l'esecutore del reato in concorso abbia agito sulla scorta di un mandato alternativo o indifferenziato (come "uccidere o ferire"), perché in tal caso il concorrente mandante versa comunque in dolo eventuale.
Fatta questa premessa, la disciplina codicistica pone il problema di stabilire entro quali limiti è possibile attribuire al concorrente il reato diverso rispetto a quello voluto.
A prima lettura l'art.116 c.p. sembra costituire una ipotesi di responsabilità oggettiva in contrasto con il principio della colpevolezza di cui all'art. 27 della Costituzione, nella misura in cui nella condotta del partecipe manca, per definizione, il dolo del reato diverso e spesso non è neppure riscontrabile un atteggiamento riconducibile alla colpa.
Pertanto, per un verso la dottrina ha sempre ritenuto che l'art. 116 c.p. costituisse prova della estraneità dell'elemento psicologico alla struttura del concorso di persone, il cui contributo sarebbe, viceversa, determinato dal rapporto di causalità fra la condotta del partecipe e l'evento che concreta il reato «diverso».
Tuttavia, questa interpretazione dell'art. 116 c.p. che riflette la concezione «causale» del concorso non risolve l'anomalia che contrassegna la responsabilità del partecipe che non volle il reato diverso, motivo per il quale la giurisprudenza, per l'applicabilità dell'art. 116 c.p., richiede qualcosa in più del mero nesso causale, cioè un «rapporto di causalità psichica» fra le azioni dei partecipi, che in passato poteva sostanziarsi anche nella generica prevedibilità del verificarsi del reato diverso da parte del concorrente, sulla base di una astratta relazione tra le fattispecie del reato voluto e di quello realizzato. Dal 2013 (cfr. Cass., Sez. V, 18-6-2013, n. 34036), gli Ermellini hanno aderito all'orientamento ancora più radicale secondo il quale, per l'affermazione di una responsabilità ex art. 116 c.p. è richiesta la concreta possibilità per il partecipe di rappresentarsi un'evoluzione dei fatti diversa da come voluta e inizialmente concordata.
A tal proposito, la Corte Costituzionale, chiamata a esprimersi sulla questione e anticipando il punto di vista sancito nella sentenza n. 364/88, affermò che, per farsi luogo alla responsabilità del partecipe per il reato diverso, è necessario che esso potesse «rappresentarsi alla psiche dell'agente, nell'ordinario svolgersi dei fatti umani, come uno sviluppo logico prevedibile di quello voluto, affermandosi in tal modo la necessaria presenza anche di un coefficiente di colpevolezza», pur auspicando al riguardo un intervento chiarificatore del legislatore, tutt'ora non pervenuto.
Quanto alle soluzioni offerte sul tema dalla dottrina, alcuni assurgono che nelle ipotesi dell'art. 116 c.p. il partecipe agisca in realtà con dolo, dato che l'affidarsi volontariamente ad altri per l'esecuzione del reato implica un'accettazione del suo operato così come in concreto verrà ad atteggiarsi.
Tuttavia, a questa tesi si può obiettare che il partecipe, rispondendo al reato diverso a titolo di dolo eventuale, non risponderebbe in tal caso ai sensi dell'art. 116 c.p., ma per concorso pieno ex art. 110 c.p.