La donazione di beni altrui alla luce della pronuncia delle Sezioni Unite
Cass., SS.UU., 15 marzo 2016, n. 5068
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L'articolo 771 c.c. vieta la donazione di beni futuri, in deroga all'articolo 1472 c.c. che, invece, disciplina espressamente la vendita di cosa futura.
Il tema dei negozi aventi ad oggetto beni futuri prevede la tradizionale distinzione della futuritas del bene: in futuritas oggettiva e futuritas soggettiva.
Se il bene esiste in rerum natura, ma non è presente nel patrimonio del disponente si ha la cd. futuritas soggettiva, invece, se il bene non esiste al momento della pattuizione, si ha la cd. futuritas oggettiva.
Il legislatore nel codice civile ha distinto la vendita di cosa futura dalla vendita di cosa altrui, senza riprendere la siffatta distinzione con riferimento alla donazione.
L'articolo 771 c.c., infatti, sancisce con la nullità la donazione di beni futuri, lasciando all'interprete l'annosa questione sulla sorte della donazione di beni altrui.
Il silenzio serbato dal legislatore storico ha comportato una serie di ricostruzioni ermeneutiche tra di loro diverse, che hanno condotta la Corte di Cassazione a rimettere la questione alle Sezioni Unite.
Prima di addivenire alla soluzione prospettata dal Supremo Consesso, è opportuno analizzare le varie tesi proposte dall'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.
L'orientamento seguito dalla giurisprudenza maggioritaria ha sempre considerato nullo il contratto di donazione di beni altrui facendo una applicazione analogica dell'articolo 771 c.c., in base alla generale considerazione che le donazioni aventi ad oggetto beni non esistenti nel patrimonio del disponente devono essere dichiarate nulle.
La ratio del divieto di cui all'articolo 771 c.c. è quella di porre un freno alla eccessiva prodigalità del donante e, secondo questo indirizzo, va estesa anche alla donazione di beni altrui.
Questa tesi è stata, però, criticata da chi ha evidenziato come le ipotesi di nullità sono tassative e, che la nullità individuata dall'articolo 771 c.c. è una nullità testuale e, per tale motivo, non estendibile al di là delle ipotesi tassativamente individuate.
Oltre a questa ricostruzione, che è stata a lungo quella maggioritaria, ve ne sono altre.
Un orientamento giurisprudenziale ha qualificato il contratto in esame come un preliminare di donazione, considerandolo nullo in quanto con esso si viene a costituire a carico del promittente un vincolo giuridico a donare, che si pone in contrasto con il principio secondo cui nella donazione l'arricchimento del donatario deve sempre avvenire per spirito di liberalità.
Infine, un altro indirizzo ermeneutico ha ritenuto che la donazione di beni altrui sia soltanto inefficace e idonea ai fini dell'usucapione abbreviata ai sensi dell'articolo 1159 c.c.
Il divieto posto dall'articolo 771 c.c. è eccezionale e, come tale, non suscettibile di estensione analogica, mentre la validità di un contratto avente ad oggetto la disposizione di beni altrui deve ricavarsi dalle norme in tema di vendita, in particolar modo dagli articoli 1478 e 1479 c.c.
La donazione di beni altrui è valida ed idonea nell'immediato a produrre effetti obbligatori, come previsto dalla seconda parte dell'articolo 769 c.c.
L'unico vizio è rappresentato dalla mancanza di titolarità del diritto di disporne legittimamente in capo al donante, difformità che dà luogo solo ad inefficacia.
Se la giurisprudenza ha sempre predicato la non produttività di effetti dell'istituto in esame ricorrendo o alla nullità per analogia ai sensi dell'articolo 771 c.c., o alla nullità del preliminare di donazione o all'inefficacia, invece, la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha offerto una soluzione diversa che rifugge dalle tesi prima esaminate.
Secondo la Corte, l'assenza di una espressa previsione per la donazione di beni altrui e la sua sorte deve essere ricercata all'interno della struttura del contratto di donazione, senza invocare la sanzione della nullità per violazione di norma imperativa.
L'animus donandi ha rilievo causale e deve essere delineato nell'atto pubblico, infatti, se manca la causa della donazione viene frustrata dal fatto che il donante non assume l'obbligazione di procurare l'acquisto del bene dal terzo, ma non dall'altruità del diritto.
La lettura dell'articolo 769 c.c. evidenzia come la donazione debba distinguersi in traslativa e obbligatoria, quest'ultima sussistente quando il donante assume nei confronti del donatario l'obbligo di acquistare il bene altrui.
Mentre la donazione traslativa è affetta da nullità (in base al combinato disposto degli articoli 769 c.c., 1325 c.c. e 1418 co. 2 c.c.), perché l'appartenenza del bene oggetto di donazione al donante è un elemento essenziale del contratto, invece, la seconda è valida e ha carattere obbligatorio.
Va, inoltre, precisato come per questa soluzione, la donazione di cosa altrui ad effetti obbligatori, non può costituire la base per una usucapione abbreviata ai sensi dell'articolo 1159 c.c., che fa riferimento ad un titolo astrattamente idoneo a far acquistare a titolo derivativo la proprietà o altro diritto reale di godimento, che sia debitamente trascritto.
La soluzione sposata dalle Sezioni Unite, non solo ha posto fine all'annoso dibattito sulla corretta qualificazione del contratto di donazione di beni altrui e sulla sua validità, ma ha sicuramente avuto il merito di esaltare l'autonomia contrattuale.
Dott.ssa Michela Falcone