La pedopornografia virtuale

12.06.2024

La pedopornografia virtuale, disciplinata dall'art. 600-quater.1 c.p., estende la punibilità delle condotte aventi ad oggetto materiale pedopornografico a tutte quelle ipotesi in cui le immagini sono "virtuali", ossia in parte o totalmente artificiali.

Il contributo si prefigge di approfondire le principali criticità dell'istituto in esame, analizzando le critiche dottrinarie e le posizioni assunte dalla giurisprudenza.

All'interno del Titolo XII, Capo III, del Codice penale sono disciplinate varie ipotesi delittuose relative a condotte che coinvolgono minori nel compimento di atti sessuali o, in ogni caso, rappresentazioni avente contenuto sessualmente esplicito in cui figurano come protagonisti i minori stessi.

In particolare, i vari reati ivi considerati, dall'art. 600-bis c.p. in poi, spaziano da condotte afferenti ad attività di prostituzione minorile a quegli atti che implicano rappresentazioni dei minori con finalità erotiche[1]. Tutte queste fattispecie sono legate dalla medesima ratio: tutelare l'integrità psico-fisica del minore e, in particolare, assicurare la corretta e libera formazione della sua sfera sessuale[2].

In questa sostanziale ottica parrebbe, d'altronde, essersi posta la Corte di Cassazione, con la sentenza emessa a Sezioni unite 9 febbraio 2022 n. 18, nella parte in cui ha ritenuto che il consenso del minore possa escludere solamente la fattispecie di produzione di materiale pedopornografico, ma non anche quella di diffusione, commercializzazione, divulgazione ecc. dello stesso.

Secondo la Suprema Corte, infatti, il consenso del minore, che potrebbe escludere l'elemento costitutivo della sua «utilizzazione» nella fase della produzione – ossia, ai sensi del primo comma n. 1) – non potrebbe invece avere alcuna valenza per le condotte comportanti la divulgazione delle immagini a contenuto erotico. In altri termini, per questi ultimi comportamenti il minore risulterebbe sempre essere "utilizzato" e oggetto di mercimonio, così ledendo il bene giuridico tutelato dalla fattispecie, ossia l'integrità sessuale del minore direttamente coinvolto[3].

Si pone in distonia con il menzionato file rouge l'ipotesi di cui all'art. 600-quater.1 c.p. Già la rubrica della disposizione, denominata "Pornografia virtuale", risulta sintomatica della rottura dell'impianto complessivo fin qui rappresentato, laddove si riferisce ad un contenuto necessariamente artificiale.

Il comma 1 della citata disposizione prevede che le disposizioni di cui all'art. 600-ter e 600-quater c.p. possano applicarsi anche se «il materiale pornografico rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando minori degli anni diciotto o parti di esse». Il secondo comma specifica che per immagini virtuali debbano intendersi «immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali».

La disposizione, pertanto, comporta una vera e propria estensione[4] della portata delle precedenti fattispecie incriminatrici alle condotte concernenti materiale "virtuale", con la sola differenza (per il vero dalla limitata rilevanza) di determinare l'applicazione di una diminuzione di pena di un terzo.

Una certa continuità con i delitti previsti agli artt. 600-ter e 600-quater c.p. la si potrebbe individuare tutte le volte in cui il materiale pedopornografico, pur virtuale, si ispiri a persone effettivamente esistenti: in tale ipotesi potrebbe ritenersi lesa la corretta formazione della sfera di intimità del singolo minorenne "virtualmente rappresentato".

A diverse conclusioni parrebbe opportuno pervenire qualora si facesse riferimento alle altre ipotesi astrattamente desumibili dall'art. 600-quater.1 c.p.: materiale a contenuto pornografico prodotto mediante elaborazioni grafiche che non si riferisce ad alcuna persona o situazione reale.

In tale ipotesi, infatti, mancherebbe l'effettiva esistenza di un minore che possa essere ritenuto titolare del bene giuridico generalmente tutelato dagli "ordinari" delitti di pedopornografia. Qualora si ritenesse che anche situazioni totalmente artificiali fossero ricomprese nella portata dell'art. 600-quater.1 c.p., l'estensione acquisterebbe necessariamente lo scopo – in assenza di un minore "reale" – di assicurare il rispetto di un interesse collettivo, quale l'integrità sessuale di tutti i minori, se non addirittura un concetto assai vago e altamente soggettivo quale quello di "pudore".

Pertanto, si comprendono le ragioni per cui parte della dottrina si è posta la questione della compatibilità di tale disposizione con il principio di necessaria offensività. Conformità che potrebbe ritenersi assicurata, secondo una parte della dottrina, solamente se si accoglie una interpretazione restrittiva dell'art. 600-quater.1 c.p., volta a ritenere la clausola di equivalenza applicabile nei soli casi in cui il materiale virtuale sia prodotto utilizzando immagini raffiguranti, almeno in parte, un minore degli anni diciotto, o che comunque consenta di risalire alla identità di un soggetto effettivamente esistente[5].

Tali considerazioni, però, non sono state ritenute condivisibili dalla giurisprudenza, la quale ha ritenuto configurabile il reato di detenzione di cui all'art. 600-quater c.p., per esempio, in relazione a materiale fumettistico[6].

Un'equiparazione, in conclusione, che a tratti parrebbe porsi in distonia rispetto al sistema, modellato dal diritto vivente, degli "ordinari" reati di produzione e cessione di materiale pedopornografico.

D'altronde, un minore "reale" può consentire alla produzione di materiale pedopornografico. Al contrario, in relazione a un minore "virtuale", né quest'ultimo può acconsentire alla creazione del prodotto finale – data la sua inesistenza –, né tantomeno potrebbe farlo la "collettività" dei minori, in ipotesi lesi da quella desensibilizzazione della loro sfera intima. A maggior ragione non potrebbe farlo una platea ancor più vasta, come quella della società generalmente intesa alla quale parametrare l'onore e il buon costume.

Una disposizione, quella di cui all'art. 600-quater.1 c.p., che, in conclusione, crea senza alcun dubbio qualche frizione con i principi generali del diritto penale, tanto da ingenerare in alcuni Autori un dubbio: che si stia ritornando a un diritto penale dell'autore[7]?

Dott. Marco Misiti


[1] Tra questi resta invece escluso, nonostante la collocazione, la fattispecie di cui all'art. 600-octies c.p., la quale non implica il coinvolgimento del minore in atti sessuali, ma in quei comportamenti che conducono il minore a prestarsi ad attività di accattonaggio.

[2] In tal senso si veda F. Caringella, A. Salerno, A. Trinci, Manuale ragionato di diritto penale. Parte speciale, Dike Giuridica, 2022, 386 ss. Si veda altresì L. Delpino, R. Pezzano, Manuale di Diritto penale Parte speciale, Simone, 2023, 559, secondo il quale però in alcune ipotesi, come quella relativa al divieto di commercializzazione del materiale pedopornografico, verrebbe in gioco il diverso interesse superindividuale del pudore.

[3] Si deve però precisare che è la stessa Corte di Cassazione a sottolineare che l'intenzione del legislatore è altresì quella di tutelare l'interesse collettivo «di tutti i minori, anche non direttamente coinvolti» e, in particolare, «scongiurare, infatti, che i minori siano ridotti a mero strumento di soddisfazione sessuale subendo un processo trainante di avvicinamento ad un fenomeno degradante anche per effetto della desensibilizzazione prodotta dalla visione delle immagini poste in circolazione».

[4] In tal senso si può vedere Cass. pen., Sez. III, 8 giugno 2010, n. 21613.

[5] Si veda F. Caringella, A. Salerno, A. Trinci, Manuale, cit. 401 s. Si veda altresì M. Bianchi, I confini della repressione penale della pornografia minorile. La tutela dell'immagine sessuale del minore fra esigenze di protezione e istanze di autonomia, Giappichelli, 2019, 114 ss., in cui l'Autrice espone le tesi che sostengono la punibilità delle immagini totalmente e parzialmente virtuali.

[6] Da ultimo, si veda Cass. pen. Sez. III, 24 novembre 2023, n. 47187.

[7] In tal senso L. Brizi, La nozione di "pornografia virtuale": verso un dominio della pericolosità sul fatto?, in Cassazione penale, 11/2017, 4044 ss.