La salute come diritto fondamentale
Il diritto alla salute, nonché all'integrità psicofisica è inteso come una garanzia dell'inviolabilità fisica della persona, da rinvenire nel suo referente costituzionale ovvero l'art. 32 il quale enuncia che "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana".
Tale diritto potremmo ricondurlo alla categoria dei diritti inviolabili sanciti dall'Art 2, in quanto coinvolge l'integrità psichica e fisica dell'individuo a tutela di ogni minaccia o pericolo proveniente dall'ambiente esterno. Competenza dello Stato sociale è garantire a tutti l'accesso ai diritti fondamentali, mettere nelle condizioni tutti di poterne fruire in eguale misura e tutelare i soggetti deboli e marginali. È considerato uno dei più importanti diritti sociali, in quanto consente di ridurre ed eliminare la disparità di trattamento di ordine economico e sociale a tutela degli individui per rendere effettivo l'esercizio della libertà.
È evidente come lo Stato, per garantire ai cittadini il diritto alla salute, deve servirsi di un Servizio sanitario pubblico in grado di assicurare a tutti i membri della comunità delle prestazioni sanitarie e farmaceutiche necessarie a salvaguardare il loro benessere.
A tal proposito, con la L. 833 del 1978 è stato istituito il servizio sanitario nazionale. Con essa venne sancito il concetto di salute inteso come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività ma oltre che servizi essenziali e alla portata di tutti, ha prodotto anche complicanze negative, eppure quel 1978 permise davvero di elevare il concetto di salute verso obiettivi alti e raggiungibili da tutti i cittadini, italiani e non solo. Lo Stato italiano con tale legge assicurò una gratuita, o semigratuita, prestazione assistenziale attraverso i ticket, indistintamente per tutta la popolazione.
Nel nostro ordinamento si ha un vero e proprio principio all'autodeterminazione terapeutica, che ha posto rilevanti problemi sui limiti di tale diritto e se sia consentito ad un soggetto, in particolari condizioni, di decidere il momento terminale della propria vita. L'Art. 5 del Codice Civile che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo quando cagionino una diminuzione permanente dell'integrità fisica, o quando siano contrati alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume, ha come referente proprio l'Art.2 della Costituzione.
Nel dicembre del 2017, con la L. la legge n. 219/2017 sul "fine vita", per la prima volta nel nostro paese si è parlato di disposizioni anticipate di trattamento.
L'Art. 1 prevede il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute, di essere informati sulla diagnosi patologica, sulla prognosi, sui benefici di determinate terapie anche alternative, permettendo al paziente di rifiutare di ricevere tali trattamenti o informazioni, anche delegando una persona di sua fiducia per esprimere il consenso in sua vece.
Le persone capaci di agire hanno diritto a rifiutare in tutto o in parte tali trattamenti come la nutrizione o l'idratazione artificiale su prescrizione medica, rendendo esente da responsabilità civile o penale il medico. [1]
Si parla tanto di DAT (Disposizioni Anticipate di Trattamento) mediante le quali ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un'eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo aver acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte può esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari.
Le DAT devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, consegnata anche personalmente al disponente presso l'ufficio dello stato civile del comune di residenza. Le DAT possono anche essere espresse per videoregistrazione ed in caso di emergenza possono anche essere revocate con una dichiarazione verbale o videoregistrata da un medico alla presenza di due testimoni.
Il secondo comma dell'Art. 32 della nostra Costituzione prevede, poi, che un determinato trattamento sanitario può essere imposto al malato esclusivamente nei casi eccezionali previsti dalla legge per preservare non solo la salute del soggetto, ma anche degli altri membri della collettività al fine di evitare, ad esempio, la diffusione di epidemie.
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 e il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966 definiscono il diritto alla salute come diritto umano, rispettivamente agli articoli 25 e 12.
La Conferenza Internazionale della Sanità (New York, 1946) e l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) hanno definito la salute come "uno stato di completo benessere fisico, mentale, sociale e non consiste soltanto nell'assenza di malattie o infermità. Il possesso del migliore stato di sanità che si possa raggiungere costituisce uno dei diritti fondamentali di ciascun essere umano, qualunque sia la sua razza, la sua religione, le sue opinioni politiche, la sua condizione economica e sociale. I Governi hanno la responsabilità della sanità dei loro popoli: essi per farvi parte devono prendere le misure sanitarie e sociali appropriate."
Da questa definizione si delinea come compito di ogni Stato facente parte della comunità internazionale debba prevenire e limitare situazioni di non-benessere, che possono impedire al soggetto una vita dignitosa.
Il diritto alla salute rappresenta, quindi, uno dei diritti fondamentali della persona, diritto che ne riconosce la dignità, che deve essere salvaguardato anche attraverso l'azione dei pubblici poteri.
Dott.ssa Veronica Riggi
[1] Per il minore, il consenso informato è espresso dai genitori/tutori che hanno come scopo la tutela psico-fisica del minore, nel pieno rispetto della sua dignità.