La tendenza a delinquere non è indicativa dell’unicità del disegno criminoso
Cass. pen., sez III, 13 Marzo 2023, n. 10372
Con la sentenza 10372 del 2023 i giudici di legittimità hanno stabilito che la tendenza a delinquere non può essere valutata come elemento indicativo della volontà di attuare un disegno criminoso.
Nello specifico, la Cassazione è stata chiamata ad esprimersi circa un ricorso di un uomo condannato ai sensi dell'art. 10-ter del D.Igs. 74/2000 dalla corte d'appello di Milano, perché, in qualità di rappresentante legale di una Coop in liquidazione, ometteva di versare nei termini previsti l'acconto Iva per un ammontare di oltre 400mila euro.
Il ricorso presentato dal condannato si basava sull'eccezione circa il difetto di allegazione di elementi probatori da cui desumere l'unicità del disegno criminoso e sul vizio di motivazione relativamente alla sussistenza dell'univocità del disegno criminoso, evidenziando che i due reati contestati sono stati commessi quando egli rivestiva la medesima carica sociale.
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile dai giudici della Cassazione, i quali hanno ritenuto che la Corte d'appello abbia correttamente valutato, ai fini dell'applicazione dell'istituto della continuazione nel reato, tre essenziali fattori quali: la credibilità intrinseca, sotto il profilo logico, dell'asserita esistenza di un unico, originario programma criminoso; i singoli comportamenti incriminati per individuare le particolari, specifiche finalità che appaiono perseguite dall'agente; le modalità dei comportamenti criminosi. Infatti, sotto questo ultimo profilo, va valutato se le circostanze in cui si sono manifestati i singoli reati, per lo spirito con cui sono stati commessi, per le finalità alle quali erano preordinati, "possano considerarsi, valutata anche la natura dei beni aggrediti, come l'esecuzione, diluita nel tempo, del prospettato, originario, unico disegno criminoso" (cfr. Cass. 22/04/1992).
Proprio tale accertamento "costituisce giudizio di merito, non sindacabile in sede di legittimità, se immune da vizi di motivazione" (cfr. Cass 28/05/1990; Cass. n. 25097/2007).
La decisione del giudice di II grado, alla luce di questa operazione valutativa, è stata considerata dalla Cassazione insindacabile in considerazione della mancata soddisfazione dell'onere probatorio da parte del ricorrente, che, dunque, è stato costretto a pagare le spese processuali a favore della Cassa delle ammende per aver presentato il ricorso inammissibile. In ogni caso, gli Ermellini hanno chiarito come nel caso di specie il vincolo continuativo tra i reati contestati difettasse "in quanto la commissione di reati diversi in tempi diversi da parte del medesimo autore non è elemento sufficiente a dare prova, sotto il profilo soggettivo, della rappresentazione anticipata di ciascun reato e dell'unicità del disegno criminoso".
Ancora, la Cassazione ha ribadito che "la sussistenza del medesimo disegno criminoso, quale elemento unificatore, sotto il profilo soggettivo, del concorso materiale di reati, (…) richiede che le singole violazioni siano state deliberate - quanto meno nelle linee essenziali - sin dal momento dell'esecuzione della prima violazione, a cui si aggiunge l'elemento volitivo necessario per l'attuazione del programma medesimo". Data per assodata questa constatazione, si arriva all'aspetto più interessante della sentenza in esame, cioè la differenza tra la volizione di un disegno criminoso, presupposto per l'applicazione del cumulo giuridico della pena in caso di reato continuato, e la tendenza a delinquere, ex art. 108 c.p., istituto valutabile ai sensi dell'art. 133 c.p. e per la dichiarazione di pericolosità sociale, tipizzata. Si tratta di una disciplina risalente, che ha la sua ratio in un maldestro compromesso tra gli orientamenti penalistici della Scuola positiva e i convincimenti della Scuola classica sulla predisposizione al delitto, l'habitus delinquendi, di lombrosiana[1] paternità.
Infatti, i giudici di legittimità hanno precisato che "la semplice tendenza a delinquere del soggetto, ovvero la presenza di un programma generico di attività criminose, espressione di un costume di vita deviante, correlato al bisogno economico, non è di per sè indicativa della esistenza della identità di un disegno criminoso, indispensabile per la riduzione ad unità delle diverse violazioni; è viceversa necessario che, sin dall'inizio, i singoli reati siano previsti e preordinati quali episodi attuativi di un unico programma delinquenziale" (cfr. Cass. n. 5101/1999; n. 5618/1993; n. 8898/2000).
[1] Da Cesare Lombroso (Verona, 1835 -Torino, 1909), considerato il padre della criminologia moderna e della antropologia criminale, oltre che esponente del positivismo. Il suo lavoro è stato fortemente influenzato dalla fisiognomica, dal darwinismo sociale e dalla frenologia. Le teorie lombrosiane si basano sul concetto del "criminale per nascita", secondo cui l'origine del comportamento criminale sarebbe insita nelle caratteristiche anatomiche del criminale, persona fisicamente differente dall'uomo normale, con anomalie ed atavismi che ne determinavano il comportamento socialmente deviante. Di conseguenza, secondo Lombroso, l'inclinazione al crimine è una patologia ereditaria da curare con un approccio clinico-terapeutico. Solo nell'ultima parte della sua vita Lombroso prese in considerazione anche i fattori ambientali, educativi e sociali come concorrenti a quelli fisici nella determinazione del comportamento criminale. (fonte: Wikipedia)