La truffa contrattuale: l'attività decettiva dalle trattative all'esecuzione del contratto
Cass. Pen., II Sez., 7 settembre 2021, n.34916
Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione penale ha ribadito alcuni principi fondamentali in tema di reato di truffa contrattuale.
Prima di passare all'analisi della pronuncia in questione soffermiamoci brevemente sulle caratteristiche specifiche della truffa per comprendere meglio le conseguenze logiche a cui giungono i giudici di legittimità in tema di truffa contrattuale.
Come sappiamo il reato di truffa previsto dall'art. 640 c.p. si configura laddove un soggetto con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procuri a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.
L'orientamento ormai consolidato ritiene che la truffa integri un'ipotesi di reato in contratto, per cui il legislatore non incrimina ex se la stipulazione del negozio (come accade nei reati-contratto, in cui si assiste ad un'immedesimazione tra accordo e reato), ma attribuisce rilevanza penale alla condotta di uno dei contraenti nel procedimento di formazione o nella fase di esecuzione del programma negoziale.
Non si tratta infatti di un reato plurisoggettivo proprio, al pari dei reati-contratto, ma costituisce una fattispecie a cooperazione artificiosa della vittima, la quale arreca un apporto necessario all'integrazione del delitto, ma privo di illiceità penale.
La fattispecie è ricompresa tra i reati a forma vincolata.
Il fulcro centrale dell'elemento materiale della norma penale si fonda sui concetti di artifizi e raggiri adoperati per produrre l'induzione in errore.
- Per artifizio si intende la simulazione o dissimulazione delle realtà esterna e cioè una finzione capace di far apparire come esistente un qualcosa che, in realtà, non lo è oppure, al contrario, inesistente qualcosa che, nella realtà, esiste.
- Per raggiro, invece, si intende ogni attività simulatrice sostenuta da argomentazioni atte a far scambiare il falso con il vero, operando direttamente sulla psiche del soggetto passivo.
Elementi costitutivi della fattispecie criminosa in esame sono, inoltre, l'ingiusto profitto proprio e di altri e il correlativo danno altrui.
Perdanno altrui si intende la deminutio patrimonii del soggetto passivo mentre il riferimento all'ingiusto profittodevi intendersi quale ingiusto vantaggio o utilità conseguita dal reo attraverso la sua condotta.
Il momento consumativo del delitto di truffa coincide con l'effettivo conseguimento dell'ingiusto profitto dipendente dagli artifizi e raggiri.
La truffa, infatti, è un reato a carattere istantaneo con effetti permanenti.
Riguardo il profilo soggettivo è richiesto il dolo generico; gli scopi perseguiti sono irrilevanti.
Chiariti questi aspetti passiamo all'analisi della c.d. truffa "contrattuale".
Tale fattispecie è stata oggetto di una lunga e laboriosa operazione interpretativa da parte della giurisprudenza, che ne ha forgiato uno statuto peculiare capace però di inserirsi nel modello di incriminazione di cui all'art. 640 c.p.
La truffa contrattuale sussiste nell'ipotesi in cui taluno dei contraenti attui artifici o raggiri diretti a sottacere o a dissimulare alla controparte fatti o circostanze che, qualora fossero stati conosciuti, l'avrebbero indotta ad astenersi dal concludere il contratto.
Il reato vieta, dunque, che un soggetto tragga profitto economico da un contratto che si sia perfezionato con l'inganno.
Il contratto nella truffa contrattuale assume nell'ottica penalistica una funzione polisemica: esso rappresenta in primo luogo il mezzo di esecuzione del reato, cioè lo strumento di sopraffazione della vittima; in secondo luogo, il contratto integra l'atto dispositivo del deceptus (contraente raggirato); infine, il contratto rappresenta altresì il presupposto del danno patrimoniale che può derivare direttamente da esso, o dalla sua esecuzione.
Si mira quindi a salvaguardare la libertà negoziale, come accade anche in ambito civilistico, pensiamo alla clausola generale prevista dall'art. 1337 c.c., secondo la quale le parti nel corso delle trattative sono tenute a comportarsi secondo buona fede.
È chiaro, quindi, che l'obbligo di tenere un contegno informato al canone della correttezza, debba sempre ispirare la fase che precede la stipulazione di un accordo negoziale.
Comportamenti contrari alla buona fede fanno sorgere infatti i rimedi e le sanzioni previste dal Codice civile (risarcimento e/o annullamento del contratto) o dal Codice penale (configurazione del reato di truffa).
La ratio, quindi, sottesa alla punibilità della truffa non risiede nel solo interesse patrimoniale del singolo, quanto piuttosto nell'interesse pubblicistico affinché non sia intaccata la libertà di scelta dei contraenti e non venga pregiudicata l'attività economica costituzionalmente riconosciuta ex art 41 Cost.
Emerge qui quella linea sottile, ben nota ai civilisti, che traccia la distinzione tra dolus bonus e dolus malus, da cui dipende l'esistenza di un vizio del consenso capace di invalidare il contratto (il dolus malus a differenza del dolus bonus, infatti, costituisce causa di annullabilità del negozio per l'idoneità dell'inganno ad incidere sulla volontà del deceptus, al punto da indurlo a concludere un contratto che non avrebbe concluso in assenza del raggiro)
Proprio questa tipologia di dolo determina la rilevanza penale della condotta del contraente.
L'esigenza di salvaguardare la libertà del consenso non può però prescindere del tutto da una lesione del patrimonio della vittima e, infatti, il legislatore, con la previsione della procedibilità a querela del reato di truffa ha ritenuto di affidare alla persona offesa la valutazione di interesse individuale di scongiurare o meno il processo.
Ai fini della configurabilità del reato di truffa contrattuale, non è sufficiente la mera violazione del dovere di buona fede, ma è necessario quel quid pluris capace di consolidare la circostanza ingannevole in cui versa il soggetto passivo.
Tuttavia uno dei temi maggiormente dibattuti tanto in dottrina quanto in giurisprudenza in ordine al reato di truffa contrattuale riguarda il momento consumativo della stessa.
Sul punto la giurisprudenza ha, infatti, ritenuto che il reato di truffa contrattuale si perfezioni nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell'autore faccia seguito la deminutio patrimonii del soggetto passivo; e, dunque, esso si concretizza non già allorquando il soggetto passivo assume, per effetto di artifizi e raggiri, l'obbligazione quanto piuttosto nel momento in cui viene a concretarsi l'effettivo conseguimento del vantaggio da parte del soggetto contraente attivo e la definitiva perdita di tipo patrimoniale del cosiddetto contraente raggirato.
Dobbiamo però chiederci: gli artifici e raggiri possono configurarsi solo nella fase delle trattative contrattuali?
Proprio su questa tematica si sofferma la Cassazione con la pronuncia del 2021 con la quale ribadisce principi già precedentemente enunciati in materia e specifica che nei contratti sottoposti a condizione o in quelli ad esecuzione differita o che non si esauriscono in un'unica prestazione, è configurabile il reato di truffa nel caso in cui gli artifici e i raggiri siano posti in essere anche dopo la stipula del contratto e durante la fase di esecuzione di esso, al fine di conseguire una prestazione altrimenti non dovuta o di far apparire verificata la condizione che in realtà non si è verificata.
Quindi gli artifizi e i raggiri si possono realizzare da parte di uno dei contraenti in danno dell'altro anche in una fase successiva alla stipula del contratto.
I giudici di legittimità hanno da tempo affermato infatti il principio secondo il quale in materia di truffa contrattuale il mancato rispetto da parte di uno dei contraenti delle modalità di esecuzione del contratto, rispetto a quelle inizialmente concordate con l'altra parte, con l'utilizzo di condotte artificiose idonee a generare un danno con correlativo ingiusto profitto, integra l'elemento degli artifici e raggiri richiesti per la sussistenza del reato di cui all'art. 640 c.p. (Cass. pen., sez. II, 5 ottobre 2004, n. 41073)
Questo perché la dinamica negoziale vive anche della sua esecuzione non si esaurisce con la stipulazione del contratto, ma si protrae sino all'esaurimento della fase esecutiva; si apre quinsi un'ampia finestra temporale in cui possono realizzarsi le condotte truffaldine.
È difficile, quindi, pensare che nella fase dell'esecuzione si ravvisi una sorta di insensibilità a qualsiasi condotta artificiosa che generi danno con correlativo ingiusto profitto.
Il problema tuttalpiù potrebbe riguardare la ricerca di una definizione, con il rigore richiesto dal diritto penale, di cosa debba intendersi per "esecuzione del contratto".
In linea generale le coordinate civilistiche ci insegnano che per "esecuzione del contratto" si intende quello spazio temporale e comportamentale che va dalla conclusione dell'accordo all'esaurimento dei suoi effetti; l'esecuzione coincide con l'efficacia del contratto, intesa come idoneità attuale e perdurante alla produzione di effetti.
Trasportando tali considerazioni nell'ambito dell'art. 640 c.p., si può allora affermare che la truffa contrattuale può configurarsi finché il contratto sia in esecuzione, ovvero finché sia efficace, ovvero finché i suoi effetti siano in attuale manifestazione.
Le regole in tema di elemento psicologico della truffa, artifici e raggiri, ingiusto profitto, danno patrimoniale e momento consumato del reato non possono riguardare soltanto una condotta che si collochi nella fase precontrattuale, ma devono interessare anche il momento della esecuzione del contratto, allorché l'attività di una o di entrambe le parti sia necessaria perché il contratto medesimo esplichi tutti i suoi effetti.
Ci sono infatti come sappiamo una variegata tipologia di contratti in cui la prestazione di una delle parti non è contestuale alla conclusione del negozio.
Non sarebbe sostenibile ritenere che solo la trattativa possa essere oggetto di artifici e raggiri
Può, infatti, accadere che anche nel corso del rapporto una parte, in modo fraudolento, miri ad ottenere dall'altra prestazioni che questa non avrebbe effettuato se non fosse rimasta vittima di attività fraudolenta.
La fraudolenza nella fase esecutiva di un rapporto contrattuale, infatti, non esclude affatto la consumazione del reato di truffa, ma ovviamente il raggiro deve comunque estrinsecarsi in un comportamento attivo dell'agente tale da indurre la vittima in errore e determinarla, mediante una falsa rappresentazione della realtà, all'atto di disposizione patrimoniale.
L'errore, cagionato mediante mezzi fraudolenti finalizzati all'indebito profitto, può riferirsi poi non solo al momento della conclusione del contratto, ma anche al momento della sua esecuzione.
Quanto al rilievo del silenzio nella fase esecutiva, si evidenzia che la Corte di Cassazione che ha ravvisato l'ipotesi della truffa contrattuale nella fase di esecuzione del contratto in fattispecie inerente l'esistenza di un rapporto locatizio avente a oggetto un alloggio dell'Istituto Autonomo per le Case Popolari, rapporto in cui l'autore/conduttore aveva omesso di comunicare a detto Istituto di essersi procurato l'abitazione altrove e che l'immobile, nel frattempo, veniva utilizzato da un parente.
In conclusione, si può affermare che la truffa contrattuale rappresenti un'ipotesi specializzante del reato previsto dall'art. 640 del codice penale; si caratterizza per il fatto che l'azione criminosa si svolge all'interno del rapporto negoziale, indipendentemente dalla natura (compravendita, locazione, mediazione ecc.); l'inganno, ossia l'artificio o il raggiro, può realizzarsi sia in forma commissiva che omissiva.
Il reato si perfeziona, in genere, non con la stipulazione, ma nel momento in cui si verifica il danno patrimoniale in capo alla persona offesa e il correlativo arricchimento dell'agente; ciò può avvenire sia nelle fase delle trattative che nella fase esecutiva del contratto.