Lavori di pubblica utilità e riparto di competenze: l’onere di dare inizio all’esecuzione

02.08.2024

Cass. pen., Sez. I, Sent., 09/04/2024, n. 14670 

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I lavori di pubblica utilità (LPU) consistono in prestazioni lavorative non retribuite in favore della collettività, presso Enti o Associazioni, concessi in sostituzione di una sanzione ovvero al fine di ottenere benefici in sede penale.

Possono essere espletati sia da soggetti detenuti che da imputati liberi; all'interno di quest'ultima categoria si registra il più alto numero di ricorsi all'istituto in esame, disciplinato dal D.M. del 26 marzo 2001, applicato con sentenza. Quanto ai LPU cui possono accedere detenuti ed internati, la normativa di riferimento è quella di cui agli artt. 20-ter (che richiama le modalità di cui al decreto appena citato) e 21, co. IV O.P.

Le attività previste con l'applicazione della misura dei LPU sono svolte all'interno degli Enti che hanno sottoscritto con il Ministro le apposite convenzioni ex art. 47, co. I, D.P.R. n. 230/2000; quanto alle modalità di svolgimento del lavoro e del raccordo con le Autorità incaricate della vigilanza, la disciplina è collocata all'interno dell'art. 2, comma I, D.M. del 26/03/2001.

L'ambito di applicazione è stato ampliato negli anni, essendo stato esteso l'accesso ai LPU a diverse fattispecie penali, configurando inoltre tale misura una modalità di riparazione del danno e di restituzione alla collettività.

Nell'attuale spettro, il lavoro di pubblica utilità trova applicazione, fra gli altri (che ai fini della presente trattazione non rilevano), nei casi di violazione del Codice della Strada. In particolare, gli artt. 186, comma 9-bis e 187, comma 8-bis del D.Lgs. 285/1992 prevedono la possibilità di sostituire, mediante decreto penale di condanna o sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p., le pene dell'arresto e quella dell'ammenda con i lavori di pubblica utilità, ove vi siano i presupposti, con possibilità di indicare anche specifiche modalità di svolgimento dell'attività alternativa e demandandone l'esecuzione all'UEPE.

Proprio in relazione a tale fattispecie, è opportuno esplicitare le ragioni che hanno condotto la Suprema Corte, I Sez. Penale, a ritenere che "In tema di guida in stato di ebbrezza, ove sia stata operata la sostituzione della pena principale con il lavoro di pubblica utilità, è onere dell'autorità giudiziaria - e non del condannato - l'avvio del procedimento finalizzato allo svolgimento dell'attività lavorativa individuata".

Invero, al fine di consentire all'UEPE – cui spetta la verifica del corretto svolgimento delle prescrizioni disposte dal Giudice della Cognizione – di effettuare le attività di controllo e verifica, "deve essere informato sia dell'inizio dell'esecuzione della sanzione sostitutiva, sia delle sue concrete modalità, ed il condannato non è, pertanto, tenuto ad iniziare direttamente tale esecuzione senza l'impulso dell'autorità, bensì è onere dell'UEPE convocare l'interessato e concordare con lui, e con l'ente di riferimento, lo svolgimento del lavoro"[1]. A tali conclusioni si addiviene stante la natura della misura alternativa de qua, che rimette in capo al Giudice l'onere di determinare le modalità esecutive, non prevedendo alcun obbligo per il condannato, che non è tenuto ad indicare l'ente o la struttura presso cui svolgerla.

Dunque, a parere della Corte, è irrilevante che il Giudice abbia già stabilito le modalità di svolgimento del lavoro sostitutivo, "avendo egli esercitato il potere conferitogli dalla norma, che non incide, però, sugli oneri che possono essere attribuiti al condannato".

In conclusione, "non può, in assenza di una disposizione normativa, essere attribuito al condannato l'onere di dare inizio all'esecuzione della sentenza, anche perché tale onere contrasterebbe con l'iter procedurale che il codice di rito stabilisce per la fase esecutiva di ogni provvedimento di condanna, che ha sempre inizio dietro impulso del pubblico ministero, e quindi dell'autorità giudiziaria. È, infatti, il pubblico ministero che, ai sensi dell'art. 655 cod. proc. pen., cura l'esecuzione dei provvedimenti di condanna, ed è il pubblico ministero che, ai sensi dell'art. 5 del decreto del Ministero della Giustizia del 26 marzo 2001 (che ha stabilito le norme per determinare le modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità applicato in base al D.Lgs. n. 274/2000), ha il compito di eseguire la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità".

Conseguentemente, non può essere valutato come inottemperante il comportamento del soggetto condannato alla pena sostitutiva ex art. 186, co. IX C.d.S. solo in ragione dell'inerzia nel dare inizio al lavoro sostitutivo, equivalendo tale decisione all'attribuzione, a suo carico, di un onere insussistente.

Dott.ssa Simona Ciaffone

[1] Motivazione Sent. n. 14670/2024, Cass. Pen., Sez. IV.