Le cause di giustificazione dell’illecito penale
Per l'esistenza di un reato non è sufficiente la sussistenza di un comportamento umano cosciente e volontario conforme alla norma incriminatrice, ma occorre anche che non sussistano cause soggettive e oggettive di esclusione del reato.
Si tratta di situazioni in presenza delle quali un fatto, che normalmente costituisce reato, viene considerato lecito da una norma dell'ordinamento che lo autorizza o lo impone.
Ricorrendo tali "cause di giustificazione", un fatto conforme alla fattispecie astratta rimane esente da pena: ad esempio, se il cagionare la morte di un uomo costituisce un illecito penale, non lo è in caso di legittima difesa.
Ma quale è il fondamento logico-giuridico?
Tradizionalmente, il fondamento delle cause di giustificazione viene individuato nel cosiddetto "principio di non contraddizione", ovvero uno stesso ordinamento giuridico non può nello stesso tempo vietare e consentire il medesimo fatto.
Le scriminanti, infatti, presuppongono un conflitto di interessi il cui bilanciamento si risolve con la prevalenza di un determinato interesse, con l'equivalenza di interessi che hanno pari valore oppure in base alla mancanza di interesse da tutelare a causa della rinuncia del titolare alla conservazione del proprio bene giuridico.
Nella parte generale del codice penale vengono tipizzate e quindi disciplinate, come autonome, le seguenti scriminanti:
- il consenso dell'avente diritto (art. 50 c.p.), secondo cui "non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto con il consenso della persona che può validamente disporne". Pertanto, il consenso del titolare del bene o del diritto esclude la illiceità di un fatto che normalmente arreca offesa a quel bene o a quel diritto. Il consenso: deve avere ad oggetto un diritto disponibile; deve essere prestato validamente dal soggetto capace e titolare di tale diritto; deve essere attuale, libero e lecito; deve essere consapevole e specifico ovvero manifestato in relazione a condotte specifiche.
- l'esercizio di un diritto e l'adempimento di un dovere (art. 51 c.p.) che, imposti da una norma giuridica o da un ordine legittimo della Pubblica Autorità, escludono la punibilità. Esempio di esercizio di un diritto è il giornalista che riferisce obbiettivamente fatti che ledono la reputazione di una persona, nel rispetto di determinati limiti: lo stesso non commette reato di diffamazione perché esercita un diritto riconosciuto dalla legge.
Un tipico esempio di adempimento di un dovere, invece, è quello dell'agente di polizia che procede ad un arresto in flagranza privando taluno della libertà personale.
- la legittima difesa (art. 52 c.p.), secondo cui "non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa".
L'oggetto della difesa deve essere un diritto, l'offesa deve essere ingiusta mentre il pericolo deve essere attuale e non determinato volontariamente dall'agente.
Merita, a questo proposito, di essere presa in considerazione la cosiddetta "legittima difesa domiciliare", introdotta dalla L. 59/2006 e modificata da ultimo con la L. 36/2019: presupposto della scriminante è la sussistenza di una violazione di domicilio, cui viene espressamente equiparata l'introduzione in altri luoghi dove è esercitata attività commerciale, professionale o imprenditoriale. Devono sussistere, però, alcune condizioni, oltre a quelle già previste dall'art. 52 comma 1:
- la legittima presenza all'interno dei luoghi del soggetto che si difende (ad esempio il proprietario);
- la legittima detenzione dell'arma utilizzata.
- l'uso legittimo delle armi (art. 53 c.p.), per cui "non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio fa uso ovvero ordina di fare uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all'Autorità e comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, naufragio, sommersione, rapina a mano armata e sequestro di persona".
Presupposti della scriminante sono il fine di adempiere un dovere di ufficio, la necessità di respingere una violenza oppure vincere una resistenza.
La scriminante in parola
ha, inoltre, carattere sussidiario nel senso che la stessa è applicabile
laddove il fatto non sia già giustificato dall'adempimento di un dovere o dalla
legittima difesa.
Sul punto leggi anche:
- lo stato di necessità (art. 54 c.p.), secondo cui "non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo".
Perché ricorra lo stato di necessità, è necessaria:
- l'esistenza di una situazione di pericolo attuale;
- un'azione lesiva necessaria per salvarsi e proporzionata al pericolo.
La dottrina si è sempre posta un problema: le cause di giustificazione devono considerarsi un numero chiuso oppure sono in qualche modo ammissibili anche le cosiddette "scriminanti non codificate"?
Per "cause di giustificazione non codificate" o "tacite" si intendono quelle scriminanti non previste espressamente dalla legge e che hanno come effetto quello di rendere lecite talune condotte, astrattamente costituenti reato, pur in assenza di una norma giustificatrice che le consenta o le autorizzi.
A
questa domanda, la maggior parte della dottrina risponde che le cause di giustificazione
atipiche possano trovare spazio nel nostro ordinamento in quanto il divieto di
analogia opera solo per l'analogia in malam partem e non per quella a
favore del reo (come affermato da alcuni Autori, le stesse "non sono
fattispecie che ridondino ai danni del reo"[1]).
Ne sono un esempio i fatti astrattamente conformi ad ipotesi di reato commessi nello svolgimento dell'attività terapeutica (come le lesioni personali, la morte etc.) diretta al recupero della salute del paziente, in presenza di determinati presupposti di liceità (come il consenso del paziente) e l'uso di una certa forza fisica utilizzata in molte attività sportive che può cagionare lesioni personali agli altri competitori. Si pensi, ad esempio, al pugilato e al rugby dove l'uso della violenza costituisce la caratteristica principale del gioco.
Le cause di giustificazione sono soggette all'applicazione di alcuni principi generali contenuti negli artt. 55 e 59 c.p., da cui si evince che le stesse operano su un piano oggettivo, ovvero esplicano il loro effetto scriminante per il solo fatto di esistere e a prescindere dalla consapevolezza della loro ricorrenza che ne abbia l'agente. Infatti, secondo il primo comma dell'art. 59 c.p., le cause di giustificazione "sono valutate a favore dell'agente anche se da lui non conosciute o da lui per errore ritenute inesistenti".
Il terzo comma stabilisce che "se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui." È la cosiddetta scriminante putativa, che non esiste nella realtà ma è solo supposta dal soggetto agente.
Facciamo un esempio: Tizio, per errore di percezione, crede di essere aggredito da Caio con una pistola per cui reagisce e lo uccide: se l'errore non è stato determinato da colpa, Tizio andrà esente da pena.
Tuttavia, si osservi come "se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa quando il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo". Nell'esempio precedente, pertanto, se Tizio ha sparato troppo precipitosamente, quando poteva rendersi conto che Caio non lo stava effettivamente aggredendo, sarà chiamato a rispondere di omicidio colposo poiché il delitto di omicidio è previsto dalla legge anche nella sua forma colposa[2].
Infine, è necessario prendere in considerazione un'altra norma di fondamentale importanza: ai sensi dell'art. 55 comma 1 "quando, nel commettere alcuno dei fatti previsti dagli artt. 51,52,53 e 54, si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall'ordine dell'Autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo". L'istituto in oggetto segna il limite entro cui la scriminante svolge il proprio ruolo: si pensi al caso di Tizio che, aggredito da Caio con un frustino, lo scambi per un'arma da taglio e si difenda a sua volta con un coltello, ferendo Caio. In questo caso, Tizio arreca un'offesa più grave all'aggressore a seguito di un errore di valutazione sui limiti dell'aggressione pertanto sussisterà eccesso colposo e non potrà andare esente da pena.
Nel corpus dell'art. 55 c.p. è stato, poi, introdotto un inedito secondo comma secondo il quale, in presenza dei presupposti della legittima difesa domiciliare, si escluda la punibilità "per chi abbia commesso un fatto penalmente rilevante per tutelare la propria o altrui incolumità, purché abbia agito in condizioni di minorata difesa oppure in stato di grave turbamento connesso al pericolo in atto".
Le disposizioni di parte generale del codice riguardanti le scriminanti devono necessariamente essere trasposte sul piano processuale: infatti, secondo l'art. 187 c.p.p. "sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all'imputazione, alla punibilità, alla determinazione della pena e della misura di sicurezza". Dato che le cause di giustificazione, reali o putative, attengono al profilo della punibilità dell'agente, la prova della loro esistenza deve essere piena. Non sarà possibile, infatti, pervenire ad una sentenza di assoluzione se la prova inerente alla scriminante invocata non sia stata raggiunta.
[1] Solo per queste norme penali in senso stretto che è vietata l'analogia (che in tale caso sarebbe in malam partem); vedi Antolisei F., Manuale di diritto penale-parte generale., Giuffrè, pag. 97 ss.
[2] Gli esempi sono tratti da Delpino L, Pezzano R., Manuale di diritto penale parte generale, Edizioni Simone 2022.