Le diverse declinazioni del delitto di peculato
Il delitto di peculato viene collocato nel Titolo II del Libro II del Codice Penale, precisamente nel Capo I, dedicato ai delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione, cioè a quei soggetti che possiedono una determinata e ben specificata qualifica.
Esso, a seconda delle diverse sfaccettature, si declina in peculato (art. 314 comma 1 c.p.), peculato d'uso (art. 314 comma 2 c.p.) e peculato mediante profitto dell'errore altrui (art. 316 c.p.).
Partendo dall'analisi del peculato di cui all'art. 314 comma 1 c.p., è possibile affermare che (quantomeno per la dottrina e la giurisprudenza prevalenti) tale fattispecie rientra nella categoria dei c.d. reati plurioffensivi, in quanto, nel caso in cui venga commesso tale reato, risulterebbero lesi sia il regolare funzionamento e il prestigio della P.A., sia gli interessi patrimoniali facenti capo a quest'ultima, nonché gli interessi patrimoniali dei privati.
Secondo un indirizzo minoritario, l'unico interesse tutelato dalla predetta norma sarebbe il buon andamento della P.A, sebbene sia più credibile ritenere coinvolti anche eventuali interessi privati.
Il peculato è un reato proprio, ossia può essere commesso esclusivamente dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio, mentre il soggetto passivo può essere sia la P.A. che il privato cittadino.
La condotta criminosa consiste nell'appropriazione di denaro o di altra cosa mobile altrui, rientrando, dunque, nell'oggetto del reato sia il denaro che la cosa mobile altrui.
È opportuno evidenziare che con la Riforma del 1990 sono venuti meno alcuni dei requisiti che in passato erano considerati essenziali per caratterizzare il reato e, in particolare, sono venuti meno il requisito dell'appartenenza alla P.A. della cosa oggetto della condotta, il requisito del profitto proprio o altrui e il riferimento alla condotta distrattiva (precedentemente quest'ultima era condotta alternativa rispetto a quella appropriativa).
Con la modifica attinente alla condotta distrattiva, secondo la tesi maggioritaria, il legislatore avrebbe voluto rendere irrilevante la condotta distrattiva, facendola così rientrare nell'art. 323 c.p., mentre secondo la tesi minoritaria l'art. 314 comma 1 c.p. continuerebbe a ricomprendere anche la condotta distrattiva.
La condotta appropriativa, invece, si compone di due diversi momenti, ossia l'espropriazione del proprietario dal rapporto con la res e l'impropriazione della res da parte del soggetto attivo del peculato.
Il possesso o la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui sono presupposti della condotta di peculato: nel possesso risulta ricompreso sia quello immediato (disponibilità materiale della cosa) che quello mediato (disponibilità giuridica della cosa), nonché la disponibilità congiunta o il compossesso e, addirittura, il possesso determinato da consuetudini riconducibili all'ufficio o al servizio.
Ulteriore requisito della fattispecie in esame è l'altruità della cosa oggetto del reato, non potendo il bene appartenere a colui che decide di commettere il reato.
Il reato di peculato si consuma nel momento in cui si verifica la condotta appropriativa, rientrando tale reato nella categoria dei c.d. "reati istantanei", il cui luogo di commissione dello stesso – peraltro – coincide con il luogo in cui si verifica l'appropriazione del denaro o della cosa.
Si ritiene configurabile il tentativo, che si verifica nel momento in cui vengono compiuti atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere il delitto in esame, nel caso in cui però l'azione non si compia o l'evento non si verifichi.
L'elemento soggettivo tipico della fattispecie in esame è quello del dolo generico.
Il peculato rientra tra i reati procedibili d'ufficio e risulta competente il Tribunale in composizione collegiale.
Il delitto di peculato può certamente essere rapportato a quello di abuso d'ufficio: la Cassazione, difatti, ha rappresentato – nella pronuncia n. 19484/18 – che nel peculato c.d. "comune" (quello del primo comma dell'art. 314 c.p.) la condotta consiste nell'appropriarsi di denaro o di altra cosa mobile altrui, elementi questi ultimi di cui il responsabile debba avere il possesso o la disponibilità per ragioni del proprio ufficio, mentre nella fattispecie di cui all'art. 323 c.p. (abuso d'ufficio) la condotta si identifica con l'abuso funzionale, ossia con l'esercizio del potere o con l'utilizzo dei mezzi propri di una funzione pubblica per finalità diverse da quelle per le quali l'esercizio del potere è stato concesso.
Con la Riforma del 1990 è stato introdotto nell'art. 314 c.p. un secondo comma, il quale disciplina il peculato d'uso, che ha caratteristiche per lo più similari al peculato di cui al comma primo dell'anzidetta norma, tuttavia non perfettamente uguali.
Quanto alla natura giuridica, la dottrina e la giurisprudenza prevalenti ritengono che tale tipologia di reato sia del tutto autonoma rispetto al peculato previsto dal primo comma dell'art. 314 c.p., essendo presente un elemento specializzante da rinvenirsi nell'elemento soggettivo, caratterizzato dal dolo specifico, consistente nello scopo di utilizzare temporaneamente la cosa sottratta.
Per quanto riguarda la condotta punibile, la norma rinvia tacitamente alla condotta prevista nel primo comma della disposizione in esame, prevedendo l'applicazione di una pena inferiore rispetto a quella prevista dal primo comma, considerato che il reo avrebbe agito al solo scopo di utilizzare momentaneamente la res, restituendola subito dopo.
Sul punto la Suprema Corte ha chiarito che l'uso momentaneo della cosa debba pregiudicare in modo apprezzabile i beni giuridici protetti, non potendo in caso contrario considerarsi integrato il reato di peculato d'uso, per difetto di concreta offensività (Cass. pen. n. 1248/14).
Il peculato d'uso si consuma nel momento e nel luogo in cui la condotta appropriativa viene posta in essere, con la riserva mentale, comunque, di restituire la cosa sottratta.
Parte della dottrina ritiene ammissibile il tentativo riguardo il reato in esame, tuttavia la giurisprudenza è contraria a questa teoria, considerando che, con l'appropriazione e la conseguente mancata restituzione della res, risulta consumato il delitto di peculato di cui al comma primo dell'art. 314 c.p.
L'elemento soggettivo consiste nel dolo specifico, cioè nell'intenzione di utilizzare temporaneamente dei beni.
Ulteriore declinazione del delitto di peculato risulta la fattispecie di cui all'art. 316 c.p., ossia il peculato mediante profitto dell'errore altrui, sebbene la dottrina prevalente ritenga non corretta la scelta di utilizzare il termine "peculato" in questa fattispecie di reato, dato che, per la configurabilità del fatto, non è richiesto il previo possesso della cosa altrui.
Questo delitto può essere così tratteggiato:
- i beni giuridici tutelati dalla disposizione anzidetta consistono nel buon andamento e nell'imparzialità della P.A;
- soggetto agente del reato può essere sia un pubblico ufficiale che un incaricato di pubblico servizio nell'esercizio delle funzioni e del servizio (c.d. reato proprio);
- la persona offesa dal reato è soltanto la P.A., mentre il soggetto che concretamente subisce la condotta criminosa altrui è un mero danneggiato;
- il fatto tipico consiste nella ricezione o nella ritenzione di denaro altrui o di altra utilità;
- il terzo deve essere erroneamente convinto di dover versare una somma o un'altra utilità nelle mani del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, i quali la ritengono, sfruttando l'errore altrui;
- il reato si consuma nel momento in cui il soggetto agente riceve consapevolmente l'indebito ovvero trattiene la res o il denaro senza restituirlo;
- il tentativo risulta ammissibile per questa fattispecie di reato;
- l'elemento soggettivo richiesto è il dolo generico, il quale ricomprende anche l'intenzione di trarre giovamento dall'errore di altri;
- il reato è procedibile d'ufficio e la competenza è del Tribunale in composizione collegiale.
Alla luce di quanto anzidetto, è possibile trarre le seguenti conclusioni: il delitto di peculato, tra i delitti contro la P.A., è non solo molto approfondito a livello dottrinale e giurisprudenziale, stante anche la sua ampia trattazione nelle aule di udienza, ma si presenta anche come un reato declinabile in vario modo, ossia nella sua forma più grave, punita con una pena maggiore, di cui all'art. 314 comma 1 c.p. (peculato comune), nonché nelle forme più tenui di cui all'art. 314 comma 2 c.p. (peculato d'uso) e 316 c.p. (peculato mediante profitto dell'errore altrui), sebbene tutte queste fattispecie siano legate dal possedere, temporaneamente o per un tempo prolungato, una res di proprietà altrui.