La legittimazione a ricorrere delle autorità amministrative indipendenti
All'interno del nostro ordinamento, il legislatore regola espressamente il potere di alcune tra le Autorità indipendenti di ricorrere innanzi all'autorità giudiziaria.
Innanzitutto, viene in rilievo l'art. 21 bis co. 1, legge n. 287 del 1990 (come introdotto dall'art. 35 del d.l. n. 201 del 2011), il quale prevede che "l'Autorità garante della concorrenza e del mercato è legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato".
Tale potere, ai sensi del 2° co., è esercitabile al rispetto di una condizione di procedibilità: l'Autorità è tenuta a emanare un parere motivato in merito alle violazioni rilevate che, se non ottemperato, legittima all'azione processuale.
Ai giudizi così instaurati si applica lo speciale rito di cui al Titolo V del Libro IV del codice del processo amministrativo.
Dalla lettura della norma sorgono due problemi.
Il primo attiene alla nozione di "amministrazione pubblica" di cui al 1° comma.
La giurisprudenza più recente ne fornisce una interpretazione estensiva, ricomprendendo, tra le altre, le società che seguono le procedure di evidenza pubblica previste dal codice appalti.
Il secondo problema, invece, riguarda la funzione del parere reso ai sensi del2° comma.
La giurisprudenza è concorde nel riconoscergliene una duplice; la prima è quella di sollecitare la P.A. destinataria ad agire in autotutela, la seconda è quella deflattiva del contenzioso.
Ulteriore Autorità a cui la legge riconosce legittimazione processuale attiva è l'Autorità di regolazione dei trasporti, la quale, ex art. 37 del d.l. n. 201 del 2011, può ricorrere, in materia di servizio di trasporto su taxi, al T.A.R. Lazio contro i provvedimenti lesivi del diritto di mobilità.
Uno stesso potere di impugnazione è attribuito alla Banca d'Italia e alla CONSOB, le quali sono legittimate a impugnare innanzi al giudice ordinario le deliberazioni o gli atti delle società vigilate alle condizioni di cui al d. lgs. n. 58 del 1998 (Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria).
Alla luce dei, plurimi, interventi legislativi, il problema teorico più rilevante riguarda la natura della legittimazione processuale attribuita.
Un primo orientamento ravvisa in tale potere un'ipotesi di giurisdizione oggettiva.
A sostegno, si richiama il fatto che l'azione viene proposta a tutela di un interesse generale di cui l'Autorità non è direttamente titolare.
Nello stesso senso, si effettua un parallelismo con il processo penale, in cui il Pubblico Ministero agisce nell'interesse della legge e della collettività.
Tale impostazione, dunque, ritiene che si tratti di un'azione pubblica nell'interesse della legge.
A contrario, la giurisprudenza maggioritaria propende per la qualifica di una giurisdizione di tipo soggettivo.
Difatti, le Autorità investite del suddetto potere assumono una peculiare posizione di rappresentanza processuale, sono portatrici un interesse particolare e differenziato, diverso dal semplice rispetto della legalità.
Tale impostazione adduce a sostegno motivazioni di ordine costituzionale e sistematico-processuale.
In primo luogo, richiama l'art. 103 Cost., il quale qualifica in maniera implicita la giurisdizione amministrativa come soggettiva. La norma, infatti, prevede espressamente che sia garantita la tutela di diritti soggettivi e interessi legittimi.
In secondo luogo, procede al confronto tra l'azione proposta dall'AGCM e quelle dalla Banca d'Italia e dalla CONSOB, e osserva come la prima sia soggetta alla giurisdizione amministrativa, mentre le seconde alla cognizione del giudice ordinario.
In virtù dell'art. 39 c.p.a., il quale rimanda alle "disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali", e poiché la giurisdizione ordinaria civile è pacificamente di diritto soggettivo, sarebbe incoerente ritenere oggettiva quella innanzi al giudice amministrativo solo perché instaurata da un ricorso presentato da un'Autorità indipendente.
Ulteriori valutazioni sono state effettuate in riferimento alla legittimazione dell'AGCM.
Trattasi di un'Autorità preposta alla tutela del bene giuridico della concorrenza; tale bene, per la sua rilevanza, non rileva come semplice interesse diffuso, anzi, è un interesse pubblico, generale e differenziato, teso alla promozione delle dinamiche competitive per il benessere sociale.
Questi aspetti, tuttavia, non consentono un indiscriminato potere di agire, l'Autorità deve ricorrere per un motivo specifico, deve censurare la violazione di norme a tutela della concorrenza, e il ricorso stesso deve fondarsi sulla constatazione della lesione di un interesse determinato.
La presenza dei requisiti delineati fa si che sia rispettata la condizione processuale dell'interesse ad agire, ex art. 100 c.p.c.
La legittimazione, in tal modo, si spiega alla luce della necessità di affidare a un ente esponenziale la cura di un interesse altrimenti sostanzialmente adespota.
La stessa Corte Costituzionale ha circoscritto il potere alla più completa tutela degli specifici interessi per cui l'Autorità è stata istituita, e ha negato che si tratti di un nuovo e generalizzato controllo di legittimità.
La natura delle Autorità amministrative indipendenti è quella di organi amministrativi, non si tratta, come pure è stato prospettato, di organi para-giurisdizionali.
Mancano, infatti, i requisiti dell'indifferenza e della terzietà; quando operano in sede di risoluzione delle controversie, lo fanno come soggetto interessato, e quando agiscono in sede giurisdizionale, lo fanno come parte del processo.
Tale posizione impedisce loro di poter sollevare questioni di legittimità costituzionale in via incidentale, potere che l'ordinamento attribuisce alla sola autorità giudiziaria.
Le parti di un giudizio, infatti, non possono adire direttamente la Corte costituzionale, ma possono solamente presentare apposita istanza al giudice della causa che, se lo ritiene opportuno, provvederà alla sospensione del giudizio e alla remissione della questione alla Corte costituzionale.
Circa la legittimazione ad agire in capo alle authorities, si segnala, infine, un interessante spunto.
Per un orientamento, tradizionalista, tale potere deve essere esercitato nel rispetto del principio di legalità, per cui è essenziale una disposizione di legge che legittimi la singola Autorità a proporre ricorso.
Per una diversa impostazione, invece, l'attribuzione della titolarità di un interesse generale contiene al suo interno il potere di apprestarvi tutela non solo via amministrativa, ma anche in sede giurisdizionale.
E infatti, a riguardo delle Autorità amministrative indipendenti, l'ordinamento ammette delle ipotesi di deroga al principio di legalità in senso sostanziale in ragione della necessità di assicurare il perseguimento dei fini a cui le stesse sono preposte.
Tali deroghe fondano la categoria dei c.d. poteri "impliciti", i quali sono oggi pacificamente ammessi a condizione che la legge indichi gli obiettivi che devono essere perseguiti e siano rafforzate le garanzie procedimentali.