La cassazione si esprime sui limiti all’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni ai sensi dell’art. 270, comma 1-bis, c.p.p.
Cass. Pen., Sez. IV, 27 giugno 2024, n. 25401
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Massima: in tema di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni operate con captatore informatico per reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto autorizzativo, la previsione di cui all'art. 270, comma 1-bis, cod. proc. pen., nella parte in cui limita l'utilizzazione all'accertamento dei delitti indicati nell'art. 266, comma 2-bis, cod. proc. pen., è riferita alle sole intercettazioni tra presenti.
Con sentenza del 27 giugno 2024, n. 25401, la Quarta Sezione penale della Corte di cassazione ha individuato l'interpretazione ritenuta più corretta della previsione normativa contenuta nell'art. 270, comma 1-bis, c.p.p., ai sensi della quale «fermo restando quanto previsto dal comma 1», i risultati delle intercettazioni di conversazioni tra presenti mediante captatore informatico possono essere utilizzati anche per reati diversi rispetto a quelli per cui le captazioni sono state autorizzate, a condizione che gli stessi risultati appaiano indispensabili per l'accertamento dei reati richiamati dall'art. 266, comma 2-bis, del codice di rito.
In particolare, il giudice di legittimità ha ritenuto che la citata disposizione sottintenda la volontà del legislatore di inserire presupposti di applicazione più rigorosi per la circolazione del materiale intercettivo, escludendo che tale effetto possa verificarsi con riferimento a procedimenti diversi che abbiano ad oggetto reati per cui è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza.
Il caso all'attenzione della Corte di cassazione concerneva un'ordinanza del Tribunale di Catanzaro, emessa a seguito della proposizione di un atto di appello da parte del pubblico ministero, con la quale, in riforma dell'ordinanza di rigetto da parte del Giudice per le indagini preliminari, veniva disposta la custodia in carcere per l'ipotesi provvisoriamente contestata di aggravata detenzione di sostanza stupefacente.
Più nel dettaglio, il giudice di appello, a differenza di quanto ritenuto dal giudice dell'ordinanza genetica, riteneva integrato il presupposto della gravità indiziaria sulla base di intercettazioni autorizzate per l'ipotesi di tentato omicidio, ritenendo le stesse utilizzabili anche per la fattispecie prevista dall'art. 73, comma 4, del d.P.R. 309/90.
Avverso la predetta ordinanza ricorreva per cassazione la difesa dell'indagato, sostenendo l'erroneità delle argomentazioni addotte dal Tribunale. Secondo quanto esposto nell'atto di impugnazione, il giudicante avrebbe ritenuto che la clausola di salvaguardia contenuta nell'art. 270, comma 1-bis, c.p.p., consenta l'utilizzabilità dei risultati captativi in diverso procedimento anche nell'ipotesi di reati per i quali, seppur non indicati nell'art. 266, comma 2-bis del codice di rito, è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza. Tale interpretazione non sarebbe condivisibile, secondo la difesa, tenuto conto della formulazione letterale della disposizione che, invece, farebbe propendere per la tesi più restrittiva, per cui l'utilizzabilità andrebbe riconosciuta solo per l'accertamento dei reati di cui al menzionato comma dell'art. 266 c.p.p.
Secondo la Corte di cassazione, l'intenzione del legislatore con la riforma del 2019 sarebbe stata quella di prevedere un regime particolare per le intercettazioni effettuate mediante captatore, in ragione della particolare invasività che caratterizza questo mezzo di ricerca della prova. Pertanto, nonostante la non chiara formulazione della disposizione che avrebbe indotto il Tribunale a condividere la menzionata impostazione, «ove attraverso il captatore informatico si registrino conversazioni tra presenti, l'utilizzo di dette intercettazioni sarà consentito al di là dei limiti di autorizzazione del decreto che ha disposto l'intercettazione solo per l'accertamento dei più gravi delitti indicati dall'art. 266, comma 2-bis, c.p.p.».
La clausola di salvaguardia di cui all'incipit dell'art. 270, comma 1-bis, c.p.p., andrebbe interpretata nel senso che i requisiti più restrittivi previsti dalla citata disposizione trovino applicazione solo per l'ipotesi di intercettazione di conversazioni tra presenti eseguite mediante captatore informatico. Diversamente, qualora la conversazione sia a distanza o l'intercettazione sia avvenuta con modalità differenti, si ricade nella previsione di cui al primo comma dell'art. 270 c.p.p.
Alla luce di tali argomentazioni, la Corte di cassazione ha annullato con rinvio l'ordinanza impugnata, richiedendo al Tribunale di Catanzaro di valutare la natura dei risultati intercettivi e di escluderne l'inutilizzabilità qualora risultino ricollegati a intercettazioni tra presenti.