
La liquidazione giudiziale
A cura di Avv. Laura Giusti
La liquidazione giudiziale ha preso il posto del Fallimento. Essa è connotata dai seguenti caratteri:
1. Concorsualità: si intende che il patrimonio dell'imprenditore in crisi o insolvente, attraverso la procedura di gestione della crisi o dell'insolvenza, è messo a disposizione di tutti i suoi creditori, che su di esso soddisfano le proprie ragioni;
2. Universalità: impone che tutti i beni e i diritti, che fanno parte dell'imprenditore insolvente, sono attinti dalla procedura di liquidazione giudiziale, per effetto della quale si dice che l'imprenditore subisce lo spossessamento dei propri beni, venendo privato del potere di compiere atti di amministrazione degli stessi;
3. Ufficiosità: fa sì che, in ragione degli interessi non solo privatistici dei singoli creditori, ma anche pubblicistici sottesi alla procedura di liquidazione giudiziale, anche lo Stato, attraverso il PM, possa prendere l'iniziativa per l'apertura di tale procedura;
4. Residualità: oggi la procedura di liquidazione giudiziale rappresenta l'alternativa ultima per l'imprenditore.
L'art. 121 del Codice della Crisi e dell'Insolvenza delimita l'ambito di applicazione della liquidazione, dedicata all'imprenditore commerciale, sia esso persona fisica, giuridica o ente collettivo, che non dimostri il possesso congiunto dei requisiti propri della c.d. impresa minore, come individuati dall'art. 2 comma 1 lett. d), che prevede le soglie il cui superamento, anche di una sola di esse, comporta l'assoggettabilità a liquidazione giudiziale.
Tali soglie sono le seguenti:
A) attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad € 300,000,00 nei 3 esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore;
B) ricavi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad € 200,000,00 nei 3 esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore;
C) debiti anche non scaduti non superiori ad € 500.000,00.
Requisito oggettivo per accedere a tale procedura è lo stato di insolvenza.
Dopo la cessazione dell'attività imprenditoriale, l'imprenditore è assoggettabile a liquidazione giudiziale per il periodo di 1 anno.
Gli organi della procedura sono:
1. Tribunale concorsuale: organo collegiale, che dichiara aperta la procedura, nonché nomina, revoca e sostituisce gli altri organi della procedura; vigila sull'andamento della stessa; decide sulle controversie relative, ossia che derivano dalla procedura.
2. Giudice Delegato: nominato dal Tribunale con il provvedimento che dichiara aperta la procedura. Ha funzioni di vigilanza e controllo.
3. Curatore: nominato con la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, o in caso di sostituzione o di revoca, con decreto del Tribunale. Egli amministra l'intero patrimonio del debitore; è il vero dominus della procedura. Egli, entro 30 giorni dalla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, presenta al Giudice Delegato un'informativa sugli accertamenti compiuti e relazione a questi periodicamente, mediante il deposito, con cadenza semestrale, di un rapporto riepilogativo delle attività svolte e delle informazioni raccolte.
4. Comitato dei creditori: è nominato dal Giudice Delegato entro 30 giorni dalla sentenza che ha aperto la liquidazione giudiziale, sulla base delle risultanze documentali, sentiti il curatore e i creditori. È un organo collegiale, composto da 3 o 5 membri scelti tra i creditori. Ha funzioni gestorie, consultive, autorizzatorie, ispettive.
Gli effetti della liquidazione giudiziale si producono:
- nei confronti del debitore, tra cui lo spossessamento dei beni, la cui gestione spetta al curatore;
- nei confronti dei creditori, tra cui il divieto di intraprendere o proseguire azioni esecutive individuali e il diritto di avanzare domanda di insinuazione al passivo;
- sugli atti pregiudizievoli ai creditori con riferimento alle azioni revocatorie ordinarie e fallimentari. Presupposti per l'esperimento dell'azione revocatoria ordinaria sono l'esistenza di un valido rapporto di credito tra il creditore che agisce in revocatoria e il debitore disponente; l'eventus damni, inteso come lesività dell'atto dispositivo posto in essere dal debitore, rispetto al creditore; la scientia fraudis, intesa come consapevolezza del pregiudizio che l'atto dispositivo comporta alle ragioni creditorie. Ove ci si trovi di fronte ad atti a titolo gratuito, tale consapevolezza deve ricorrere solo in capo al debitore, viceversa, ove si tratti di atti a titolo oneroso, occorre la partecipatio fraudis del terzo, intesa come conoscenza o conoscibilità da parte dell'acquirente, in base all'ordinaria diligenza, del fatto che a mezzo dell'atto dispositivo vengono sottratte o diminuite le garanzie patrimoniali del creditore. L'azione revocatoria fallimentare, invece, viene esperita dal curatore nell'interesse di tutti i creditori per tutti gli atti posti in essere prima del fallimento, in un periodo di tempo c.d. sospetto, stabilito dalla legge e che varia da 6 mesi a 2 anni, a seconda dell'atto da revocare. Presupposti per l'esperimento dell'azione revocatoria fallimentare sono l'iniziativa da parte del curatore; l'aver posto in essere un atto dispositivo nel c.d. periodo di sospetto, in cui cioè l'imprenditore già versava in uno stato di insolvenza, anche se il fallimento non era stato ancora dichiarato; la conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo;
- sui rapporti giuridici preesistenti, con riguardo alle scelte del curatore in ordine alla prosecuzione, sospensione o recesso dai rapporti giuridici del debitore in liquidazione.
Le fasi della procedura si distinguono in: custodia e amministrazione dei beni; accertamento del passivo; liquidazione dell'attivo.
Custodia e amministrazione dei beni: dichiarata aperta la liquidazione giudiziale, il curatore procede alla ricognizione dei beni e, se necessario, all'apposizione dei sigilli sui beni che si trovano nella sede principale dell'impresa e sugli altri beni del debitore. Devono, inoltre, essere consegnati al curatore, senza apposizione dei sigilli, il denaro contante, le cambiali e gli altri titoli, compresi quelli scaduti, le scritture contabili. Il curatore nel più breve tempo possibile, presenti o avvisati il debitore e il comitato dei creditori, redige l'inventario dei beni, così realizzando il c.d. spossessamento.
Accertamento del passivo: il curatore redige l'elenco dei creditori, con l'indicazione dei rispettivi crediti e diritti di prelazione; predispone un elenco dei titolari di diritti reali e personali, mobiliari e immobiliari, sui beni della procedura. I creditori devono presentare (con ricorso da depositare presso la cancelleria del tribunale almeno 30 giorni prima dell'udienza fissata per l'esame dello stato passivo) la domanda di ammissione al passivo. Il curatore esamina le domande presentate e predispone un progetto di stato passivo; all'udienza fissata per l'esame dello stato passivo, la cui data è indicata nella sentenza di apertura della procedura di liquidazione giudiziale, il giudice delegato, anche in assenza delle parti, con decreto succintamente motivato, decide su ciascuna domanda di ammissione al passivo (accogliendola in tutto o in parte, respingendola ovvero dichiarandola inammissibile), nei limiti delle conclusioni formulate e avuto riguardo alle eccezioni del curatore, a quelle rilevabili di ufficio e a quelle formulate dagli altri interessati. Terminato l'esame delle domande, il giudice delegato forma lo stato passivo e lo rende esecutivo con decreto depositato in cancelleria (contro tale decreto è possibile opporsi).
Liquidazione dell'attivo: converte in denaro i beni appresi alla procedura di liquidazione mediante redazione del programma di liquidazione, predisposto dal curatore. Quanto alla vendita dei beni appresi, sono previsti 3 tentativi di vendita all'anno con modalità telematiche, tramite il portale delle vendite pubbliche, istituito presso il Ministero della Giustizia. Le somme ottenute vanno ripartite tra i creditori. I creditori possono fare reclamo al giudice delegato avverso il progetto di riparto nel termine di 15 giorni dalla ricezione della comunicazione. Decorso tale termine, il giudice delegato, su richiesta del curatore e in assenza di contestazioni, dichiara esecutivo il progetto di ripartizione. Se sono proposti reclami, il progetto di ripartizione è dichiarato esecutivo con accantonamento delle somme corrispondenti ai crediti oggetto di contestazione. Le somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo sono distribuite secondo le modalità previste nel piano di ripartizione, secondo l'ordine tassativo stabilito dal Legislatore (crediti prededucibili, crediti con prelazione, crediti chirografari). Ai riparti parziali segue il riparto finale delle somme ricavate dalla liquidazione giudiziale, previa approvazione del rendiconto presentato dal curatore, in cui quest'ultimo dà atto analiticamente delle operazioni contabili e delle attività di gestione della procedura. Tale conto viene depositato in cancelleria e approvato dal giudice delegato o dal tribunale, a seconda che sullo stesso sorgano o meno contestazioni. Approvato il conto di gestione e liquidato il compenso al curatore, il giudice delegato ordina il riparto finale, con cui si distribuiscono anche gli eventuali accantonamenti.
La procedura di liquidazione giudiziale si chiude se il passivo è insussistente, se vengono pagati i debiti e le spese della procedura, se l'attivo è insufficiente. La chiusura della procedura è dichiarata con decreto motivato dal tribunale, su istanza del debitore o del curatore o di ufficio.