L’ ascolto del minore vittima di abusi e maltrattamenti
La necessità di tutelare il soggetto minore di età è nata in ambito Europeo ed internazionale in tempi molto recenti; come dimostrato dalle numerose Convenzioni e Dichiarazioni in cui vengono riconosciuti e sanciti sempre più diritti, specialmente quelli fondamentali e inviolabili, in capo a persone minorenni la cui tutela e salvaguardia è necessaria e indispensabile per far sì che la loro personalità si sviluppi serenamente.
La Carta di Noto (1996) ha individuato le linee guida per l'indagine e l'esame psicologico del minore presunto vittima di abuso sessuale e le modalità di raccolta delle dichiarazioni. Si vanno così a delineare le migliori prassi a cui l'esperto deve attenersi per la raccolta della testimonianza di un minore, per la valutazione della sua capacità a renderla, ponendosi l'obiettivo di non traumatizzarlo e garantire la genuinità delle prove raccolte.
L'idoneità a rendere testimonianza implica la capacità del soggetto di determinarsi liberamente e coscientemente e la capacità nel comprendere le domande e rispondere in maniera adeguata e coerente, cercando di appurare se il testimone è in grado di rendersi conto dei comportamenti subiti e se è in grado di riferirli senza influenze.
La sola minore età del soggetto abusato non costituisce, in re ipsa,circostanza che esclude la capacità a deporre dello stesso. Il minore degli anni quattordici può essere sentito, ai sensi dell'art. 196 c.p.p., in qualità di testimone in ordine ai fatti del procedimento penale, il divieto di cui all'art. 120 c.p.p. si applica solo alla testimonianza ad atti del procedimento.
La norma, con l'avverbio "può", rileva che non sussiste l'obbligo per il Giudice di procedere all'accertamento, ma la giurisprudenza e le Linee Guida lo ritengono necessario nel caso in cui il testimone o la vittima sia minore d'età.
Gli accertamenti possono compiersi in ogni fase del procedimento e, a discrezione del Giudice, si possono compiere sia con perizia ed esperimento giudiziale che con test 'qualificati'.
Tra questi, quello più utilizzato è il Rorschach che, non costituisce prova decisiva, ma svolge un indagine psicologica sulla personalità del minorenne per stimarne la sua maturità psichica e la sua capacità a testimoniare. La Suprema Corte sostiene che i test psicologici proiettivi non possono essere utilizzati per la valutazione specifica dell'abuso sessuale, perché non mettono in luce le differenze che contraddistinguono i bambini abusati da quelli non abusati[1].
La capacità a testimoniare e l'attendibilità delle dichiarazione fatte da un bambino in tenera età vittima di abusi sessuali, vanno accertate mediante perizia disposta dal Giudice, a norma dei protocolli convalidati dalla comunità scientifica, in mancanza si darà valore ad altri elementi di prova o riscontri oggettivi fornendone adeguata e puntuale motivazione.
Le linee guida sono regole essenziali applicabili solo all'ascolto del minore testimone, tali protocolli, sono meri suggerimenti il cui obiettivo è garantire l'attendibilità delle dichiarazioni e la protezione psicologia del minore, la loro inosservanza non va a determinare né nullità né inutilizzabilità della prova.
Il Giudice, nonostante non sia vincolato, nel momento in cui assume e valuta la prova, deve attenersi alle linee suggerite dalla Carta di Noto e dovrà motivare il perché, secondo il suo libero convincimento, ritenga non attendibile la prova dichiarativa assunta in violazione di tale metodiche, dovendo adempiere ad un onere motivazionale tanto più stringente quanto più grave sia stato lo scostamento dalle linee guida.
I bambini sono considerati testimoni fragili in considerazione del fatto che sono stati educati a non contraddire gli adulti e, vista la loro tenera età, non sono sempre consapevoli delle conseguenze delle loro dichiarazioni. Hanno una propensione a confermare una domanda di contenuto implicito, ad asserire ciò che suppongono sia desiderato dall'interrogante e sono facilmente suggestionabili.
L'ascolto del minore deve avvenire in contraddittorio e il più presto possibile in modo da non alterare il ricordo, tenendo conto che i bambini "ricordano raccontando", cioè costruiscono il ricordo attraverso la narrazione che, fino ai sei anni, avviene in collaborazione con un adulto, il quale può influenzare il contenuto.
Le procedure d'intervista devono essere adeguate allo sviluppo cognitivo ed emotivo del minorenne e devono essere svolte da un esperto diverso da quello incaricato della verifica dell'idoneità a testimoniare che valuta sia le capacità generiche del minore, ossia le funzioni cognitive come: memoria, attenzione, capacità di comprensione, di espressione linguistica, la capacità di discriminare la fantasia con la realtà, il livello di suggestionabilità e di maturità psico-affettiva, ma anche le sue capacità specifiche, ossia la sua abilità ad organizzare e riferire del ricordo in relazione alla complessità di quello che si suppone sia avvenuto e l'eventuale presenza di influenze suggestive che possono aver inficiato il racconto, ma non po' accertare la veridicità e la validità del racconto. Nella valutazione si dovrà considerare la distanza temporale, la complessità, la qualità dell'evento, la complessità delle domande poste, considerando che i bambini possono avere una percezione emotiva diversa dell'evento dovuta da una limitata comprensione della qualità e della significatività del fatto, e non aver ancora maturato un giudizio morale adulto rispetto ad esso, senza dimenticare che non esistono segnali psicologici, emotivi e comportamentali validamente assumibili come rilevatori o "indicatori" di una vittimizzazione. Scientificamente, non si possono identificare dei quadri clinici che riconducono ad una esperienza di abuso né si possono individuare dei sintomi che provino che l'abuso ci sia stato.
Le "Linee guida nazionali sull'ascolto del minore testimone", sono ritenute dalla giurisprudenza indispensabili ai fini della tutela del minorenne.
Per l'acquisizione delle dichiarazioni del minore si predilige la fase dell'incidente probatorio in quanto così si va a limitare sia il fenomeno della vittimizzazione secondaria, ossia la sofferenza aggiuntiva che la vittima di un reato subisce a causa dell'iter giudiziario, sia quello di rielaborazione/contaminazione del ricordo da tutti quegli eventi vissuti.
Si va ad adottare una prospettiva che consideri il reato oltre che come fatto socialmente dannoso anche e soprattutto come violazione dei diritti individuali delle vittime, stabilendo che la tutela prevista venga sempre garantita.
Avv. Giulia Nazzicone
[1]Cass., sez. III, 26.4.2016, n. 48571 e cfr. Cass., sez. III, n. 23202/2018.