Maternità surrogata: un reato universale!

27.11.2024

La maternità surrogata consiste nella pratica procreativa attraverso la quale una donna si impegna contrattualmente a portare avanti la gestazione per un'altra donna. 

La creazione dell'embrione può avvenire attraverso l'unione dei gameti della coppia che desidera avere un figlio, oppure utilizzando il contributo genetico di un donatore esterno. 

La maternità surrogata può essere commerciale o solidaristica, ciò dipende dal fatto che la donna che si presta a portare avanti la gravidanza lo faccia con o senza una remunerazione economica.

L'elemento distintivo tra tale pratica e la fecondazione eterologa, anch'essa appartenente al novero delle tecniche procreative, è rappresentato dal fatto che la gravidanza, nel caso della maternità surrogata, è sempre posta in essere da una donna esterna alla coppia, la quale presta il proprio corpo per portare avanti la gravidanza altrui.

La fecondazione eterologa, invece, concerne la pratica attraverso la quale un embrione, generato attraverso l'unione di uno o due gameti esterni alla coppia, viene impiantato nell'utero della madre che porterà avanti la gravidanza.

In Italia, inizialmente, la fecondazione eterologa era preclusa a tutte le coppie; ad oggi, invece, grazie all'intervento della Corte Costituzionale,[1] è stata resa lecita per le unioni eterosessuali, esclusivamente però nell'ipotesi in cui sia stata diagnosticata un'infertilità assoluta ed irreversibile, affliggente la coppia stessa.

Proprio in ragione del fatto che, in un caso la gravidanza viene portata avanti da una donna estranea alla coppia e nell'altro caso no, il legislatore prescrive conseguenze diverse con riguardo alle due pratiche.

Nello specifico, nel caso in cui vengano utilizzati gameti esterni alla coppia per svolgere la fecondazione eterologa, pur non trovandosi nella situazione descritta dalla l. n. 40 del 2004, si è puniti con una sanzione amministrativa pecuniaria da 300.000 a 600.000 euro, (art. 12 comma I l. n. 40 del 2004).

Nel caso in cui, invece, venga posta in essere la c.d. gestazione per altri, sia che i gameti appartengano alla coppia, sia che provengano da un donatore esterno, la pena è della reclusione da tre mesi a due anni e della multa da 600.000 a un milione di euro, così come normato dall'art. 12 comma VI, l. n. 40 del 2004.

La maternità surrogata e la fecondazione eterologa, quest'ultima laddove posta in essere in assenza dei requisiti previsti dalla legge italiana, sono delle pratiche che spesso vengono eseguite all'estero, proprio in ragione delle siffatte sanzioni penali vigenti in Italia.

Tra le problematiche in cui possono incorrere le coppie che decidono di svolgere tali pratiche all'estero, vi è il riconoscimento del legame tra il genitore intenzionale e il figlio, nato attraverso queste modalità, nel caso di rientro della coppia e del nascituro nel paese italiano. Nello specifico, il primo ostacolo riguarda il riconoscimento del genitore intenzionale che non compare nell'atto di nascita quale genitore biologico, non avendo quest'ultimo alcun legame genetico con il nato. L'indirizzo giurisprudenziale ormai cristallizzatosi, concede, come unica soluzione, al genitore intenzionale, il ricorso all'adozione in casi particolari, disciplinata dall'art. 44 della legge n. 184/1983. Questo è, invero, l'unico rimedio offerto dalla giurisprudenza affinché il genitore intenzionale possa assumere il medesimo status, per la legge italiana, del genitore biologico.

Ultimamente, la Corte costituzionale si è pronunciata più volte sulla maternità surrogata, esprimendo preoccupazioni riguardo alla tutela dei diritti del bambino e le implicazioni giuridiche legate alla pratica. Nello specifico, la Corte costituzionale ha affermato che una pratica siffatta: "offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, assecondando un'inaccettabile mercificazione del corpo, spesso a scapito delle donne maggiormente vulnerabili sul piano economico e sociale."[2].

Sebbene la Corte abbia espresso dei dubbi in merito alla "gestazione per altri", le decisioni giuridiche continuano a riflettere la complessità del bilanciamento tra i diritti degli individui e la tutela delle donne e dei bambini.

Recentemente, la maternità surrogata è stata qualificata nel novero dei "reati universali". Invero, il 16 ottobre 2024 è stato approvato al Senato il decreto attraverso il quale si statuisce la perseguibilità anche all'estero della condotta concernente la c.d. gestazione per altri. Tale reato, infatti, è stato inserito tra le condotte perseguibile in base all'art. 7 c.p., il quale elenca una serie di fattispecie criminose punibili in Italia anche se commesse al di fuori dello Stato. Nello specifico, le condotte che appartengono al novero dei crimini elencati in suddetto articolo sono perseguibili incondizionatamente, a differenza, invece, dei delitti previsti dagli artt. 8 e 9 c.p., la cui punibilità è subordinata alla richiesta espressa del Ministro della giustizia. Secondo parte della dottrina il termine "reato universale" è stato usato impropriamente, in quanto non ha alcun fondamento nella terminologia giuridica tradizionale. Sarebbe, infatti, più corretto parlare di "giurisdizione universale".

La giurisdizione universale è, infatti, una disciplina ad hoc che rappresenta certamente una deroga al principio di territorialità statuito dall'art. 6 c.p., il quale espressamente prevede che: "chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana". L'adozione di una simile disciplina trova giustificazione nella gravità dei reati perseguibili anche al di fuori dei confini nazionali; in particolare, nella storia del diritto italiano, essa è stata impiegata per garantire una lotta sistematica contro determinate condotte caratterizzate da una gravità rilevante e ampiamente riconosciuta a livello internazionale. Infatti, solitamente è stata utilizzata al fine di punire condotte criminose per le quali il legislatore italiano prevede una pena di una certa gravità; gravità, peraltro, riconosciuta dalla quasi totalità della comunità internazionale, a differenza della surrogazione di maternità che, oltre ad essere considerata lecita in diversi Paesi, è punita in Italia con una pena notevolmente inferiore rispetto a quella prevista per i delitti elencati dall'art. 7 c.p.

Secondo parte della dottrina, inoltre, tale novella normativa avrà una scarsa applicazione pratica nelle corti italiane. Invero, il principale problema riguarda la necessità che vi sia la c.d. "doppia incriminazione" ossia che il fatto, per essere punito in Italia, debba trovare una sanzione penale anche nel paese estero in cui è stato effettivamente commesso. La doppia incriminazione è, invero, il requisito principale per chiedere la c.d. "estradizione"; nello specifico, ai sensi dell'art. 13 comma 2 c.p.: "L'estradizione non è ammessa, se il fatto che forma oggetto della domanda di estradizione, non è preveduto come reato dalla legge italiana e dalla legge straniera".

Tale elemento avrà certamente delle importanti implicazioni con riguardo all'effettiva applicabilità di un reato di tal specie: invero, le coppie che intendono svolgere tale pratica, nella maggior parte dei casi, se non in tutti, sono solite recarsi in paesi in cui la procreazione attraverso tali modalità è legalmente regolamentata e riconosciuta.

In assenza di una doppia incriminazione, quindi, si paventa il rischio che lo Stato italiano, arrogandosi il diritto di imporre la propria disciplina, nel caso in cui venga posto in essere un reato siffatto, possa violare la sovranità di un'altra nazione.

Un ulteriore profilo critico sollevato con riferimento a tale nuova incriminazione riguarda la possibile violazione dell'interesse primario del nato, il quale potrebbe essere indirettamente vittimizzato. Non sarebbe rispettato il c.d. "best interest of the child" che, come più volte ribadito dalle corti nazionali ed internazionali, deve essere tenuto in primaria considerazione.

Per tali motivi, il dibattito sulla complessa questione bioetica della maternità surrogata, che ha suscitato un acceso confronto pubblico, politico e giuridico, non appare aver trovato, con l'introduzione di tale reato, una soluzione adeguata e conforme alla delicatezza intrinseca della problematica.

Dott.ssa Roberta Noè

[1] Corte Costituzionale, sentenza 9 aprile 2014 n. 162

[2] Corte costituzionale, sentenza 22 novembre 2017 n. 272