Il matrimonio per “prova”
Cass.civ., sez. III, 5 novembre 2024, n. 28390
A cura di Dott.ssa Veronica Riggi
Il procedimento riguardava una coppia di coniugi dove, la moglie, dopo sei mesi dalle nozze avviava una causa presso il Tribunale ecclesiastico per ottenere la nullità del matrimonio.
La donna afferma di non aver mai creduto nella indissolubilità del legame matrimoniale e che si era sposata "per prova". Il Tribunale ecclesiastico dichiarava nullo il matrimonio con sentenza e in seguito la donna avviava diversi procedimenti nei confronti del marito, compresi un procedimento penale e la separazione, opponendosi alla richiesta di dividere i beni in comunione e di divorziare.
L'ex marito agiva in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni morali e materiali provocati dalla condotta della moglie ed il Tribunale respingeva la domanda e condannava l'uomo per responsabilità aggravata.
Decisione confermata anche in sede d'appello per poi giungere in Cassazione.
Nell'ordinanza in esame gli Ermellini hanno spiegato che:
Più in particolare la Corte di Cassazione nel rigettare il ricorso ha precisato che nel caso di specie mancava un comportamento produttivo di un danno ingiusto o in grado di configurare una responsabilità pre-negoziale, stante che il ricorrente denunciava, come produttiva di danno, la mancata comunicazione da parte dell'ex moglie, prima della celebrazione del matrimonio, della propria riserva mentale.
La donna aveva affermato di essersi voluta sposare per "prova" e che era incerta sulla possibilità della futura insorgenza di fatti capaci di rendere intollerabile la convivenza.
Il Tribunale Ecclesiastico aveva dichiarato sì nullo il matrimonio ma in sede civile però la Corte di appello non aveva accolto la domanda di riconoscimento della sentenza ecclesiastica giacché contraria all'ordine pubblico "derivante dalla necessità di protezione dell'affidamento incolpevole del coniuge ignaro della riserva mentale, la quale è estranea al regime della nullità del matrimonio previsto dall'ordinamento civile."
Proprio l'assenza di una nullità rilevante per l'ordinamento civile ha "passato" la responsabilità dell'ex moglie in malafede.
Per cui, hanno concluso i giudici, "la presenza di un dubbio tale da spingere la donna a contrarre matrimonio per "prova" non genera una responsabilità risarcitoria a carico della stessa."