La notizia di reato e le condizioni di procedibilità
Nell'ordinamento giuridico penale la notizia di reato e le condizioni di procedibilità costituiscono due istituti giuridici differenti anche se strettamente connessi.
La prima consiste in una informazione che consente alla polizia giudiziaria e al pubblico ministero di venire a conoscenza di un illecito penale.
La seconda, pur contenendo l'informativa su di un fatto di reato, contiene altresì la manifestazione di volontà di procedere contro l'autore dello stesso. Sono condizioni di procedibilità, poiché l'assenza di questi elementi, impedisce al pubblico ministero (il titolare delle indagini) di esercitare l'azione penale (per intenderci, la richiesta di rinvio a giudizio, mentre la citazione diretta a giudizio in caso di procedimento davanti al tribunale monocratico).
Il codice di procedura penale disciplina espressamente due notizie di reato: la denuncia e il referto.
La denuncia (art. 330 e ss. c.p.p.)
La denuncia può essere presentata da qualsiasi persona che abbia avuto notizia di un reato. Può essere presentata in forma scritta od orale, ad un ufficiale di polizia giudiziaria o direttamente al pubblico ministero.
La notizia di reato in questione deve contenere l'esposizione degli elementi essenziali del fatto, una indicazione del giorno in cui è stata acquisita la notizia di reato, le fonti di prova già note e se possibile le generalità dell'autore del fatto e della persona offesa nonché delle persone che possano riferire circostanze utili a ricostruire il fatto.
Di
regola, la denuncia per il cittadino è facoltativa in quanto rimessa al suo
senso civico; tuttavia, vi sono determinati casi in cui è fatto obbligo al
privato di denunciare.
Si tratta dei casi di:
a) omessa denuncia da parte del cittadino che abbia
conoscenza di un delitto contro la personalità dello Stato per il quale la
legge prevede la pena dell'ergastolo (art. 364 c.p.);
b) omessa
denuncia di cose provenienti da delitto (art. 709 c.p.);
c) omessa
denunce di materie esplodenti (art. 679 c.p.);
d) omessa
denuncia di smarrimento o di furto di armi o di parte di esse o di esplosivi
(art. 20 commi 3 e 4 l. n. 110/1975);
e) omessa denuncia del rinvenimento di armi o di parte di
esse o di esplosivi (art. 20 commi 5, 6 e 7 l. n. 110/1975);
f) omessa o tardiva denuncia in ordine a fatti o circostanze relative a sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 3 comma 1 d.l. n. 8/1991).
Con
riferimento alle denunce anonime, l'art. 333, comma 3, c.p.p., ne stabilisce
il divieto di utilizzo.
Tuttavia, due sono le eccezioni contemplate dal codice all'utilizzo delle denunce anonime: la prima si ha quando il documento configuri corpo del reato a norma dell'art. 240 c.p.p., la seconda qualora il documento risulti comunque provenire dall'imputato, in quanto autore o in quanto lo abbia ricevuto da terzi.
Ai sensi dell'art.
331 c.p.p., i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico
servizio hanno l'obbligo di presentare denuncia quando, nell'esercizio o a
causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno avuto notizia di un reato
perseguibile di ufficio.
In tal caso, la denuncia deve essere fatta per iscritto e presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria. Mentre, se nel corso di un procedimento civile o amministrativo emerge un fatto di reato perseguibile di ufficio, l'autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero.
Con riferimento agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziari, questi sono tenuti ad informare il pubblico ministero di tutti i reati procedibili d'ufficio che sono venuti in ogni caso a conoscenza, e quindi anche al di fuori del servizio svolto.
Da sottolineare come per il difensore e i suoi ausiliari non vi sia un obbligo di denuncia, neppure nel caso in cui siano venuti a conoscenza di reati nel corso di svolgimento di attività investigative (il difensore è comunque tenuto al segreto professionale).
Il referto (art. 334 c.p.p.)
Diversamente dalla denuncia che può essere presentata da chiunque, il referto consiste in una notizia di reato che grava sui sanitari e la cui omissione è penalmente sanzionata (art. 365 c.p.).
Segnatamente, tale disposizione descrive una forma di denuncia obbligatoria in relazione a quei fatti che possano presentare caratteri di delitti procedibili d'ufficio ed in relazione ai quali il sanitario è venuto a conoscenza prestando la propria opera o assistenza.
A titolo esemplificativo, sono tenuti al referto i medici, i veterinari, i farmacisti e gli infermieri, non invece gli ottici, gli odontotecnici o i meccanici ortopedici.
Tuttavia, il sanitario è esonerato dal referto se ciò esporrebbe la persona assistita a procedimento penale (art. 365, comma 2, c.p.).
Con riferimento alle modalità, il referto può essere:
- scritto o orale;
- deve essere inviato entro 48 ore o se vi è pericolo nel ritardo, immediatamente al pubblico ministero o a qualsiasi ufficiale di polizia giudiziaria del luogo in cui il sanitario ha prestato la propria opera o assistenza ovvero, in loro mancanza, all'ufficiale di polizia giudiziaria più vicino.
Nel referto devono essere indicate:
- le generalità della persona alla quale è prestata opera o assistenza, ove possibile, o quanto valga ad identificarlo;
- il tempo e il luogo e le altre circostanze dell'intervento;
- le circostanze dei fatti, i mezzi con i quali è stato commesso e gli effetti prodotti.
Le condizioni di procedibilità
Il codice indica espressamente quando un reato è procedibile d'ufficio (non è necessaria la querela, ma è sufficiente la notizia di reato) o procedibile a querela.
Le condizioni di procedibilità sono atti necessari affinché possa essere esercitata l'azione penale.
Oltre la querela, sono condizioni di procedibilità: l'istanza (341 c.p.p.), la richiesta di procedimento (art. 342 c.p.p.) e l'autorizzazione a procedere (art. 343 c.p.p.).
La querela (art. 336 c.p.p.)
Tale atto consente alla persona offesa da reato di manifestare la propria volontà di perseguire penalmente il fatto di reato che ha subito, indipendentemente dall'autore di questo (noto o ignoto).
La querela si compone di due elementi: la notizia di reato e la manifestazione di volontà di procedere penalmente in ordine al medesimo.
La querela, che si propone con le forme previste per la denuncia, può essere presentata entro tre mesi (NON 90 GIORNI!) dal giorno in cui la persona offesa ha avuto notizia del reato (si pensi per es. al reato di truffa in cui la conoscenza non è immediata).
Tale termine, tuttavia, non è uguale per tutti i reati. Infatti, nei reati contro la libertà sessuale il termine è di sei mesi, mentre per i delitti di violenza sessuale (artt. 609 bis e 609 ter c.p.) è di dodici mesi.
La querela può essere oggetto di rinuncia (art. 339 c.p.) o di remissione (art. 340 c.p.).
Nel primo caso, la persona offesa può rinunciare a proporre querela soltanto dopo che ha subito il reato. Con la rinuncia, la persona offesa decide di non esercitare il proprio diritto di querela, con un atto irrevocabile, incondizionato e che può essere espresso o tacito.
Nel
secondo caso, invece, la querela dopo essere stata proposta, può essere
revocata.
La remissione di querela costituisce una causa di estinzione del
reato, poiché viene meno la condizione di procedibilità.
La remissione può essere espressa o tacita, può essere effettuata personalmente o a mezzo di procuratore speciale. La remissione di querela in caso di più indagati/imputati nei confronti di tutti, salvo particolari limitazioni che devono essere comunque espresse all'atto di revoca della querela. La remissione non produce effetto se il querelato non ha accettato la remissione tacitamente o esplicitamente. Occorre sottolineare che per alcuni reati la querela non può essere rimessa; infatti, nel delitto di "atti persecutori" ex art. 612 bis, ultimo comma, c.p.: "La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all'articolo 612, secondo comma. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio".
L'istanza (art. 341 c.p.)
È un atto con il quale la persona offesa chiede che si proceda penalmente per un reato commesso all'estero e che in Italia sarebbe procedibile d'ufficio.
La richiesta di procedimento (art. 342 c.p.p.)
Questa consiste in un atto amministrativo irrevocabile di natura discrezionale con cui un'autorità pubblica (di regola il ministro della giustizia) chiede al pubblico ministero di procedere per un determinato reato commesso all'estero o per particolari reati. Tra i reati perseguibili a richiesta del Ministro della Giustizia ci sono ad esempio i delitti politici (non compresi tra quelli contro la personalità dello Stato) commessi all'estero dal cittadino italiano o dallo straniero; i reati commessi all'estero dal cittadino italiano o dallo straniero; i delitti punibili a querela dell'offeso commessi ai danni del Presidente della Repubblica.
L'autorizzazione a procedere (art. 343 c.p.p.)
Consiste in atto irrevocabile e discrezionale che viene emanato da un organo dello Stato, ma che si differenzia dalle altre condizioni di procedibilità, poiché è il pubblico ministero che richiede ad un organo estraneo alla amministrazione giudiziaria l'autorizzazione a procedere penalmente nei confronti di un determinato soggetto.
Le ipotesi di autorizzazioni a procedere previste dal nostro ordinamento si riconducono a quattro ipotesi:
- per i delitti contemplati dall'art. 313 c.p., a tutela della personalità dello Stato o di interessi sovranazionali: competente a decidere è il ministro di Giustizia (fatta eccezione per vilipendio alle assemblee legislative e alla Corte Costituzionale per le quali è competente lo stesso organo collegiale che ha subito l'offesa).
- per i reati commessi dai giudici della Corte Costituzionale
- per i reati commessi dai parlamentari
- per i reati commessi dai ministri nell'esercizio delle loro funzioni.
Di queste, solo la prima ipotesi costituisce un'autorizzazione a procedere in senso stretto: in mancanza di questa le indagini preliminari non possono essere iniziate né continuate.
Avv. Elia Francesco Dispenza