Le obbligazioni pecuniarie e la differenza tra debiti di valore e debiti di valuta

25.03.2024

Tra le obbligazioni di dare, particolare importanza rivestono le obbligazioni pecuniarie, ove la prestazione ha ad oggetto una somma di denaro, il cui adempimento ha effetto liberatorio per il debitore.

L'art 1277 c.c. codifica il principio nominalistico, principio cardine delle obbligazioni pecuniarie, in virtù del quale i debiti che hanno ad oggetto una somma di denaro, si estinguono con il pagamento con moneta avente valore legale al momento del pagamento e per il suo valore nominale.

Quanto al luogo dell'adempimento, il c.d. al locus destinatae solutionis, di regola viene indicato nel titolo o è determinato dagli usi o dalla natura della prestazione. Il legislatore ha previsto inoltre delle regole suppletive: l'art. 1182 c.c. comma 3, prevede che le obbligazioni pecuniarie vadano adempiute al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza. Questa obbligazione si dice "portable". Il comma 4 del medesimo articolo stabilisce poi che in tutti gli altri casi l'obbligazione deve essere adempiuta al domicilio del debitore. Si parla di obbligazione "querable" in quanto il debitore può chiedere al creditore di presentarsi presso di lui per ricevere il pagamento del suo domicilio.

Con l'interessante sentenza n. 17989 del 13 settembre 2016, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha chiarito la controversa nozione di "obbligazione pecuniaria portabile".

Un primo e tradizionale orientamento riteneva che, laddove la somma di denaro oggetto dell'obbligazione dovesse essere ancora determinata dalle parti ovvero liquidata, in loro sostituzione, dal giudice mediante operazioni diverse da un semplice calcolo aritmetico, trovasse applicazione il comma 4 dell'art. 1182 c.c., secondo cui l'obbligazione deve essere adempiuta presso il domicilio del debitore (c.d. obbligazione querable).

Un secondo orientamento, invece, affermava che il forum destinatae solutionis di cui al comma 3 dell'art. 1182 c.c., fosse applicabile tutte le volte in cui oggetto dell'obbligazione fosse una somma di denaro, ancorché autodeterminata dall'attore stesso nella domanda, non incidendo sulla individuazione della competenza territoriale la maggiore o minore complessità dell'indagine sull'ammontare effettivo del credito, che attiene esclusivamente alla successiva fase di merito.

È certo nella giurisprudenza di legittimità che le obbligazioni pecuniarie "portabili" siano soltanto quelle liquide, e cioè quelle derivanti da titolo convenzionale o giudiziale, che ne abbia stabilito la misura, ovvero il cui ammontare risulti da un mero calcolo aritmetico svolto dal giudice, secondo criteri stringenti indicati dal titolo stesso, dai quali la somma risultante sia necessariamente una ed una sola. La nozione di obbligazione portabile, di cui al comma 3 dell'art. 1182 c.c., non rileva solo ai fini del forum destinatae solutionis, ma anche ai fini della mora ex re, che scatta automaticamente alla scadenza del termine, senza necessaria intimazione per iscritto (ex art. 1219 comma 2 n.3 c.c.). La mora ex re non si verifica per le obbligazioni illiquide, in quanto, all'operare automatico della stessa, il debitore si vedrebbe costituito in mora anche se la sua prestazione risulti ancora di ammontare incerto. Pertanto, quando l'obbligazione è chiedibile è necessaria la richiesta fatta per iscritto (c.d. mora ex persona).

Sulla base di tali considerazioni le Sezioni Unite hanno enunciato il seguente principio di diritto: "la obbligazioni pecuniarie da adempiere al domicilio del creditore ex art. 1182 comma 3 c.c. sono, agli effetti della mora ex re (art. 1219 comma 2 n. 3 c.c.) e della determinazione del forum destinatae solutionis (art. 20 c.p.c.), esclusivamente quelle liquide, delle quali il titolo determini l'ammontare, ovvero indichi i criteri per determinarlo, senza lasciare alcun margine di scelta discrezionale, e i presupposti della liquidità siano accertati dal giudice, ai fini della competenza, allo stato degli atti, secondo quanto disposto dall'art. 38 ultimo comma c.p.c.".

Dunque, il debitore si libera elargendo, alla scadenza dell'obbligazione, la somma corrispondente alla medesima quantità di monetari inizialmente pattuita, nonostante il tempo passato dalla nascita del debito e indipendentemente dal fatto che nel frattempo il potere di acquisto del denaro abbia subito delle alterazioni.

Le parti, per evitare che il rischio delle variazioni del potere di acquisto della moneta ricada integralmente sul creditore, possono prevedere nel contratto una serie di clausole convenzionali che svolgano la funzione di adeguamento del valore del denaro, come le clausole di indicizzazione. Queste clausole tendono a salvaguardare l'interesse creditorio da eventuali deprezzamenti della moneta, soprattutto per quanto riguarda le obbligazioni di lungo termine

Il principio nominalistico, potendo quindi essere derogato dalle parti, ha carattere dispositivo.

Anche la giurisprudenza si è adoperata per evitare la rigida applicazione del principio nominalistico, in particolare a debiti non originariamente pecuniari, creando la distinzione tra debiti di valuta e debiti di valore.

I debiti di valuta sono quei debiti aventi ad oggetto, sin dal momento della costituzione del vincolo obbligatorio, una somma di denaro ai quali si applica quindi il principio nominalistico: se il contratto ha ad oggetto 100, il debitore, per liberarsi, dovrà pagare 100, a prescindere dal tempo trascorso dalla conclusione del contratto. Un esempio può essere il pagamento del prezzo nella compravendita.

I debiti di valore sono quei debiti che invece originariamente hanno ad oggetto un bene diverso dal denaro e quest'ultimo rappresenta solo un surrogato della prestazione originaria; pertanto, non si applicherà il principio nominalistico. Uno degli esempi più rilevanti è l'obbligazione nascente dal risarcimento del danno da fatto illecito che va quantificato con un particolare importo.

La principale differenza tra debiti di valore e debiti di valuta risiede nel fatto che i primi, avendo ad oggetto sin dall'origine beni diversi dal denaro, non sono liquidi ovvero, come sopra detto, la somma oggetto del debito non è ancora determinata in maniera puntuale o non sono indicati nel titolo precisi criteri oggettivi che permettono con un'operazione aritmetica di determinare la somma stessa: solo al momento della liquidazione i debiti di valore diventano debiti di valuta e si applicherà la relativa disciplina.

Considerare un debito come di valore, anziché di valuta, permette di sottrarlo all'applicazione del principio nominalistico e alla disciplina degli interessi moratori ex art. 1224 c.c. Mentre i debiti di valuta, una volta scaduti, producono interessi moratori, che sono dovuti in caso si mora del debitore nel ritardo nelle obbligazioni pecuniarie, i debiti di valore non possono produrre né interessi moratori né interessi corrispettivi, non essendo liquidi e quindi nemmeno esigibili. Gli unici interessi che decorrono fino alla liquidazione sono gli interessi compensativi, intesi come una specie di compenso per il pregiudizio subito dal creditore/danneggiato a causa del ritardato conseguimento o mancato conseguimento immediato dell'equivalente monetario del danno.

Dott.ssa Benedetta Miccioni