Il discrimen tra omicidio preterintenzionale ex art. 584 c.p. e morte o lesioni come conseguenza di altro delitto ex art. 586 c.p.

11.12.2024

L'omicidio preterintenzionale previsto all'art. 584 c.p. punisce con la reclusione da dieci a diciotto anni chiunque, con atti diretti a ledere o percuotere, cagioni la morte di un uomo.

I presupposti sono: la volizione di un evento minore e la realizzazione involontaria di un evento più grave quale diretta conseguenza della condotta dell'agente sorretta dalla volontà del solo evento minore.

Nell'ordinamento penale sono vietate forme di responsabilità oggettiva: tuttavia, la fattispecie delineata è riconducibile -seppur in modo occulto- in tale alveo in virtù dell'omogeneità esistente tra la condotta rappresentata dagli atti diretti a ledere o percuotere e la conseguente morte.

Detto altrimenti, la morte è pacificamente ritenuta una conseguenza in re ipsa della suddetta condotta sicché non è richiesto all'organo giudicante l'accertamento circa la prevedibilità del più grave reato, traducibile in colpevolezza in concreto.

L'art. 586 c.p. si occupa invece dell'ipotesi in cui da un fatto preveduto come delitto doloso derivi, quale conseguenza non voluta dal colpevole, la morte o la lesione di una persona.

I presupposti sono molto simili all'ipotesi di omicidio preterintenzionale data la commissione di un delitto doloso, la conseguente verificazione di un evento non voluto, casuale rispetto alla condotta posta in essere dall'agente. 

Ciò che distingue quest'ultima ipotesi da quella di cui all'art. 586 c.p. è l'ulteriore requisito rappresentato dall'accertamento della colpa in concreto in capo al reo, con riferimento all'evento verificatosi non voluto.

Poiché tale disposizione, diversamente dall'ipotesi precedentemente esaminata, implica la commissione non già di atti diretti a ledere o percuotere quanto di un qualsiasi delitto doloso dal quale ne scaturisce l'evento morte o lesioni, affinché esso possa essere imputato al reo si rende necessario l'accertamento della colpevolezza. 

In caso contrario, detta disposizione costituirebbe un'ipotesi di responsabilità oggettiva del tutto incostituzionale anche in virtù dell'assenza, in questo caso, di omogeneità tra condotta ed evento.

La rilettura di tale disposizione alla luce del principio di colpevolezza emerge chiaramente dalla sentenza della Suprema Corte di cassazione a Sezioni unite sul caso Ronci.[1]

In tale occasione è stato evidenziato come la morte del tossicodipendente, quale conseguenza non voluta del delitto doloso di spaccio, è imputata al reo avrebbe laddove da quest'ultimo prevedibile.

Nel caso di specie, ferma dunque la punibilità per il reato doloso dello spaccio di droga di cui all'art. 73 D.P.R. n. 309/1990 (Testo unico stupefacenti), l'imputato potrà rispondere in concorso formale di omicidio colposo del tossicodipendente cui ha ceduto la droga solamente qualora l'evento fosse dall'agente prevedibile, dunque evitabile.

Dott.ssa Camilla Carlotti

[1] Cass. pen., Sez. un., 29 maggio 2009, n. 22676