La pianificazione urbanistica al vaglio del principio di proporzionalità
La pianificazione urbanistica è considerata lo strumento principale di governo del territorio tramite cui gli enti esponenziali intervengono al fine di garantirne uno sviluppo complessivo e armonico con le finalità economico-sociali della comunità.
Tale attività si estrinseca attraverso l'adozione di piani o strumenti urbanistici che disciplinano il concreto esercizio della funzione e il relativo uso della discrezionalità.
Infatti, la discrezionalità di cui le PP.AA. sono dotate in tale e di elevato grado, questo in ragione della funzione di programmazione delle attività dirette ad incidere sul territorio, con effetti immediatamente precettivi verso i privati delle prescrizioni dotate di sufficiente specificità.
Tale discrezionalità trova la propria ratio anche nella considerazione per cui la normativa italiana non individua alcun interesse cd. primario, rimettendone l'individuazione allo stesso ente locale.
Così, mentre in una prima fase la PA acquisisce e valuta gli interessi coinvolti, solo in una seconda individua l'interesse pubblico concreto e assume una funzione di selezione dei mezzi più idonei al suo raggiungimento.
Nello svolgere tale attività, la misura intrapresa deve essere sempre valutata secondo i tre criteri della adeguatezza, della necessarietà, e della proporzionalità.
Il principio di proporzionalità è un principio di origine sovranazionale che ha compiutamente fatto ingresso all'interno dell'ordinamento nazionale in virtù dell'art. 117, co. 1, Cost., nonché per la riscrittura dell'art. 1 l. 241/90, tali norme, infatti, rimandano direttamente ai principi comunitari.
La proporzionalità assume, in tal modo, in primis una dimensione tipica, la cui violazione cagiona l'invalidità per violazione di legge.
In secundis, trattasi di un principio dalla consistenza obiettiva-quantitativa, che consente al giudice di valutare l'incidenza e la tollerabilità dell'azione amministrativa sulle ragioni del privato.
In virtù dell'art. 1 della legge sul procedimento amministrativo, la P.A. è investita dell'obbligo di valutare, già in sede di istruttoria procedimentale, i risvolti concreti dell'esercizio del potere, con adeguato spazio in sede di contraddittorio ai controinteressati.
L'assenza di una valutazione di tal fatta è causa di invalidità del provvedimento finale, più di preciso, di annullabilità per violazione di legge.
Come anche affermato dalle stesse SS.UU., la positivizzazione dei principi di efficienza, economicità e, anche, proporzionalità, ha determinato una legittima erosione degli spazi riservati al merito amministrativo, e ha consentito un più forte sindacato da parte del giudice.
La proporzionalità, dunque, può essere definita come la misura dell'agire amministrativo, concernente l'equo contemperamento tra mezzo e fine, presupposto e conseguenza, tra interessi pubblici e privati.
Si ritiene che l'esercizio del potere pubblico, per essere legittimo, non solo deve coerente con la norma attributiva di potere e con il fine perseguito, ma deve porsi in maniera armonica e graduata verso gli interessi privati sacrificati.
In merito, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha affermato che, stante il principio generale della libera iniziativa economica e del libero stabilimento ai sensi dell'art. 41 Cost. e della direttiva cd. Bolkestein 2006/123/CE, gli atti della programmazione territoriale non sono esenti dalle verifiche prescritte per il solo fatto di essere adottati nell'esercizio del potere di pianificazione urbanistica.
Si deve, invece, verificare se, in concreto, essi perseguano effettivamente finalità di tutela dell'ambiente urbano o siano, comunque, riconducibili all'obiettivo di dare ordine e razionalità all'assetto del territorio, oppure perseguano la regolazione autoritativa dell'offerta sul mercato dei servizi attraverso restrizioni territoriali alla libertà di insediamento delle imprese.
Ancora, la limitazione alle attività economiche ad opera della pianificazione urbanistica è consentita solo allo scopo di tutelare esigenze che, per l'appunto, devono essere sempre riconducibili a motivi imperativi di interesse generale e non fondate su ragioni meramente economiche e commerciali.
In conclusione, se la disciplina comunitaria della liberalizzazione non può essere intesa in senso assoluto, come primazia del diritto, ragion per cui deve sempre confrontarsi con il potere di pianificazione urbanistica degli insediamenti produttivi e commerciali, le limitazioni dovute alle esigenze di tutela dell'ambiente urbano o afferenti all'ordinato assetto del territorio sono ammesse, ma devono essere ricollegate a interessi superiori o di pari portata rispetto a quello di cui alla Direttiva 2006/123/CE.