Quali sono le condizioni della detenzione femminile?
In Italia sono attualmente detenute poco più di 2.000 donne, pari a circa il 4,2 % dei detenuti uomini (oltre 51.000)[1], dato che risulta statico negli anni, anche nello scenario internazionale. La maggior parte dei reati commessi dalle donne ristrette afferiscono alla sfera patrimoniale e le condotte delittuose appaiono consumate in contesti sociali di provenienza particolarmente disagiati.
Benché all'art. 27 Cost. sia sancito che la pena deve tendere alla rieducazione del detenuto e vi siano diverse disposizioni all'interno della Legge sull'Ordinamento Penitenziario (L. n. 354/1975) tese a garantire che la vita detentiva sia quanto più possibile simile a quella esterna, il carcere resta una realtà "ignorata" dal tessuto sociale. E tale processo di invisibilizzazione appare ancor più evidente ponendo attenzione alla detenzione femminile.
Il trattamento penitenziario delle donne, infatti, non è altro che il riflesso di quello maschile, sia in termini di strutture che di attività risocializzanti.
Invero, sul territorio nazionale sono solo 4 gli istituti – collocati a Roma, Venezia, Pozzuoli e Trani – che dispongono di carceri interamente femminili, mentre le residue sedi, sviluppate prevalentemente per la detenzione maschile, hanno al loro interno sezioni femminili.
Ciò determina che, stante il ridotto numero di detenute ospitate e la scarsità delle risorse a disposizione dei singoli dipartimenti di Amministrazione Penitenziaria, gli strumenti disponibili vengono investiti per l'organizzazione di attività per i detenuti uomini, limitando soltanto i mezzi residui alla risocializzazione delle donne, che vengono impiegate (e, solo ove ve ne sia la disponibilità, remunerate) in convenzionali attività di cucina, cucito o pulizia.
Ulteriori problematiche si registrano in relazione alla tematica sanitaria. Infatti, gli ambienti carcerari sono sprovvisti di quanto necessario per soddisfare i bisogni igienici delle donne e rendono molto complesso l'accesso ai servizi di prevenzione e di screening dei tumori femminili, garantito agevolmente alle donne libere.
Inoltre, tra il personale a vario titolo impiegato nelle carceri, si registra un basso numero di operatori dotati di un'adeguata formazione per interloquire, con il giusto linguaggio, con detenute che riportano traumi per episodi di violenza sessuale o altre forme di violenza di genere, spesso elaborati solo una volta fatto ingresso nel carcere e, pertanto, richiedenti figure idonee a prospettare loro le varie forme di tutela.
Negli anni sono state avanzate diverse proposte per colmare le lacune strutturali ed organiche che affliggono la detenzione femminile, che si auspica possano trovare una pronta concretizzazione.
[1] Rapporto Osservatorio Antigone del 2023.