Il reato di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali dei soggetti gravati da misure di prevenzione

22.05.2024

Una delle norme spesso ignorate del Codice antimafia attiene al delitto di omessa comunicazione di variazioni patrimoniali. La fattispecie in esame, infatti, si caratterizza per un indubbio rigore sanzionatorio, tenuto conto altresì del non indifferente carico informativo addossato al soggetto gravato da misura di prevenzione. Il presente contributo si prefigge di analizzare i tratti salienti della fattispecie in esame e puntualizzare alcuni aspetti precisati dalla giurisprudenza.

Non a caso il legislatore, nella scelta della denominazione del d.lgs. 159 del 2011, ha scelto di utilizzare il termine "Codice": infatti, tale normativa contiene un vero e proprio sistema a sé stante, ricco di disposizioni autosufficienti[1].

Il menzionato Decreto è soprattutto noto per le misure di prevenzione ivi previste. Spesso, però. si ignora che al suo interno sono contenute numerose ipotesi di reato, anche non secondarie[2].

Si pensi alla contravvenzione di cui all'art. 73 del citato Decreto, che punisce con l'arresto da sei mesi a tre anni coloro che, sottoposti con provvedimento definitivo a misura di prevenzione personale, siano trovati privi di patente alla guida di un autoveicolo o motoveicolo.

Ancora, si pensi alla fattispecie di cui all'art. 74 che, qualificando gli illeciti ivi considerati con la denominazione generica "Reati del pubblico ufficiale", sanziona le condotte del pubblico amministratore, funzionario o dipendente che, in violazione di quanto previsto dall'art. 67, non provveda a ritirare eventuali licenze e autorizzazioni già esistenti, oppure a concederle, o ancora a consentire alla stipulazione di contratti, qualora tali comportamenti siano posti in essere nei confronti di soggetti sottoposti a misura di prevenzione personale disposta dall'autorità giudiziaria.

Tra le varie fattispecie la più interessante è senza alcun dubbio quella prevista dal combinato disposto di cui agli artt. 76, comma 7, e art. 80.

In particolare, l'articolo citato per primo, rubricato genericamente "Altre sanzioni penali", è un collettore di fattispecie. Tra queste, al menzionato settimo comma, si prevede la pena della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 10.329 a euro 20.658 per coloro che non ottemperino all'obbligo di comunicare le variazioni patrimoniali di cui all'art. 80[3].

Quest'ultima disposizione, in particolare, stabilisce l'obbligo, per tutti i soggetti sottoposti con provvedimento definitivo a misura di prevenzione, di comunicare per dieci anni tutte le variazioni nell'entità e nella composizione del patrimonio concernenti elementi di valore non inferiore ad euro 10.329,41.

In particolare, entro trenta giorni dal fatto, il soggetto è tenuto ad effettuare apposita comunicazione al nucleo di polizia tributaria.

Questa comunicazione, pertanto, inerisce ai singoli atti di modificazione in sé e per sé considerati. A titolo esemplificativo, un'entrata economica superiore al predetto limite dovrà essere oggetto di una apposita comunicazione effettuata entro il predetto termine.

Si badi che la disposizione in esame non interessa solo le variazioni nella "entità" del patrimonio, ma anche, come espressamente contemplato, nella sua composizione. Indi per cui l'acquisto, per esempio, di un'automobile di valore superiore al limite comporta il dovere di trasmettere apposita informativa alla predetta Autorità.

Se la norma avesse previsto un obbligo limitato ai soli singoli fatti di variazione, essa sarebbe stata senza alcun dubbio miope. Pertanto, il legislatore ha stabilito altresì che, entro il 31 gennaio di ogni anno, si debbono comunicare altresì le variazioni intervenute nell'anno precedente quando, complessivamente, concernono elementi di valore pari a 10.329,14.

Da ultimo, è da sottolineare come il legislatore ha altresì voluto escludere dal predetto calcolo valoriale tutti quei beni che, se anche in astratto potessero determinare il superamento della menzionata soglia, sono destinati a soddisfare bisogni quotidiani.

Così delineati i tratti salienti della fattispecie, può essere utile approfondire più nel dettaglio alcuni aspetti.

Anzitutto, è evidente come la norma non contenga alcuna definizione di quali siano i beni che possono godere della clausola di esclusione. Sembrerebbe che, per rientrare in tale categoria, sia necessario che ricorrano due elementi: uno, di segno positivo, consistente nella circostanza che si tratti di beni di modesta entità; l'altro, relativo alla insussistenza di un eventuale interesse dello Stato a un controllo patrimoniale[4].

In aggiunta, si deve specificare che l'errore da parte del soggetto circa il fatto di essere gravato dal predetto obbligo di comunicazione rileva ai sensi dell'art. 5 c.p. Di conseguenza, tale errore può escludere la rilevanza penale del fatto solo qualora si risolva in una ipotesi di ignoranza inevitabile, come ipotizzata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 1988[5].

Ulteriore profilo attiene alla possibile qualificazione dogmatica di tale reato.
In particolare, esso configura una ipotesi di reato di pericolo presunto. Infatti: da un lato, la fattispecie non richiede una specifica lesione di un bene giuridico, ma la sua sola messa in pericolo; dall'altro lato, il fine della norma è quello di consentire all'autorità di effettuare per tempo un controllo patrimoniale penetrante e più rigoroso nei confronti di soggetti ritenuti pericolosi.

Si è pertanto affermato che la natura pubblicistica dell'atto per il tramite del quale si è verificata la variazione patrimoniale non esclude l'integrazione del reato, in quanto esso non è destinato a essere portato a conoscenza del nucleo di polizia tributaria[6]. In altri termini, l'interesse da perseguire è quello di un controllo tempestivo sulle variazioni nel patrimonio di soggetti attenzionati. Al contrario, la pubblicità di un atto non implica necessariamente la sua immediata conoscenza da parte delle Autorità e, pertanto, integra l'evento pericoloso considerato dalla fattispecie in esame.

Infine, si deve precisare che ai fini della norma non rileva la finalità che abbia mosso l'agente, quanto piuttosto che egli fosse consapevole della precedente condanna e della consapevolezza e volontà di omettere le comunicazioni. In altri termini, la fattispecie non richiede un dolo specifico, bensì generico.

Dott. Marco Misiti

[1] Per l'analisi in generale delle misure di prevenzione si veda E. Mezzetti, Diritto penale. Dottrina, casi e materiali, IV Ed., 917 ss.

[2] Qualora si volesse approfondire tale tematica, si rinvia a F. Fiorentin, Le misure di prevenzione personali nel Codice Antimafia, in materia di stupefacenti e nell'ambito delle manifestazioni sportive, 2012, 309 ss.

[3] Sul punto è utile far presente che, all'interno della galassia normativa del diritto penale, analoga fattispecie delittuosa è prevista all'art. 30, legge n. 646 del 1982. 

La differenza attiene al solo presupposto della fattispecie: nel delitto previsto dal Codice antimafia, avvenuta applicazione con provvedimento definitivo di una misura di prevenzione; nell'appena menzionato delitto, l'esistenza di una condanna definitiva per uno dei delitti ivi previsti. Per il resto, le fattispecie sono del tutto sovrapponibili.

[4] Sul punto si veda Cass. pen., Sez. I, 2 dicembre 2021, n. 44586.

[5] Si rinvia a Cass. pen., Sez. V, 17 giugno 2019, n. 26417

[6] Cass. pen., Sez. II, ud. 21 maggio 2013, n. 25974.