I chiarimenti della Giurisprudenza riguardo la tortura di Stato

22.02.2025

Cass. Pen., sez. V, n. del 07 settembre 2023, n. 36970 

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A cura di Avv. Laura Giusti

Il reato di tortura, di cui all'art. 613 bis c.p. è stato introdotto con la Legge n. 110/17, che, a seguito di un travagliato iter parlamentare, ha recepito le indicazioni di matrice internazionale (es. Convenzione Onu contro la tortura; CEDU) e costituzionale (art 13 Cost.).

L'art. 613 bis c.p. ha suscitato critiche in dottrina, in quanto la definizione di tortura, coniata convenzionalmente, si discosta da quella nazionale.

A novembre 2022 è stata presentata una proposta di legge che prospetta l'abrogazione dell'art. 613 bis e ter c.p., con riformulazione del reato di tortura; tuttavia, tale proposta, almeno per adesso, è rimasta tale.

I nodi problematici sono diversi: primariamente, diversamente dalla definizione di stampo internazionale, la fattispecie italiana è una fattispecie a disvalore progressivo, che punisce al primo comma la tortura c.d. comune, ossia la tortura tra privati, e solo come aggravante la tortura di Stato.

Quanto al soggetto passivo del reato, si richiede che il fatto sia commesso in danno di persona privata della libertà personale o che sia stata affidata alla custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza del soggetto agente, ovvero, che si trovi in situazione di minorata difesa.

La Cass., con sentenza n, 47079/19 ha affermato che "le condizioni di minorata difesa, previste dall'art. 613 bis c.p., per identificare una delle categorie dei possibili soggetti passivi del delitto, sussistono ogniqualvolta la resistenza della vittima alla condotta dell'agente sia ostacolata da particolari fattori ambientali, temporali o personali".

La Cass., con sentenza n. 50208/19, ha poi specificato che per la verifica della condizione di minorata difesa della vittima vadano valorizzate le condizioni personali e ambientali che facilitano l'azione criminale e che rendano effettiva la signoria o il controllo dell'agente sulla vittima, agevolando il depotenziamento, se non l'annullamento della capacità di reazione di quest'ultima.

Relativamente alla condotta penalmente rilevante, la fattispecie italiana è stata criticata per la sua diversità rispetto alle coordinate internazionali: la Convenzione Onu prevede una condotta a forma libera, mentre l'art. 613 bis c.p. una condotta a forma vincolata, prevedendo che la tortura si realizzi con violenza o minacce gravi ovvero agendo con crudeltà, con più condotte, comportando un trattamento inumano e degradante. L'evento penalmente rilevante ex art. 613 bis c.p. è alternativamente la causazione di acute sofferenze fisiche (non si riferisce necessariamente alle lesioni) o un verificabile trauma psichico (non è necessariamente una sindrome duratura da trauma psichico strutturato, potendo consistere anche in una condizione critica temporanea).

Anche in relazione all'elemento soggettivo le scelte nazionali si sono distinte dalle indicazioni sovranazionali, configurando un reato a dolo generico e non a dolo specifico.

Relativamente alle circostanze aggravanti, la c.d. tortura di Stato si configura tramite il combinato disposto del primo e del secondo comma dell'art. 613 bis c.p., richiedendo ulteriori elementi tipizzanti relativi al soggetto attivo e alle modalità della condotta. Oltre a dover ricoprire la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, i fatti devono essere commessi con abuso di poteri o in violazione di doveri inerenti alla funzione o al servizio.

Si discute in dottrina sulla natura del secondo comma: se configurante una circostanza aggravante o una fattispecie autonoma di reato; tuttavia, la giurisprudenza è ondivaga sul punto.

Gli ultimi due commi dell'art. 613 bis c.p. contemplano una serie di circostanze aggravanti per le ipotesi in cui dal fatto derivino lesioni personali comuni, gravi o gravissime, quali conseguenze non volute dell'agire criminoso, o se ne derivi, quale conseguenza voluta o non voluta, la morte del torturato.

Dal 2017, la giurisprudenza di legittimità si è espressa sulla fattispecie in esame, fornendo importanti chiarificazioni in merito alla natura del reato, tenuto conto delle condotte vincolate richieste.

Con la sentenza n. 47079/19 la Cass. ha stabilito che "la tortura è stata, dunque, concepita come reato eventualmente abituale, nel quale caso la condotta è integrata dalla reiterazione di più condotte nel tempo (anche solo due, e anche in un mino lasso temporale, come un'ora o alcuni minuti). Tuttavia la presenza, nella descrizione della fattispecie, di una clausola di chiusura (salvo che il fatto non comporti un trattamento inumano o degradante per la dignità della persona), che riconosce rilevanza penale anche ad un unico atto che possa ledere l'incolumità fisica, la libertà individuale e morale del soggetto, impone che in tal caso la condotta comporti un trattamento inumano e degradante". Tale tesi è stata confermata anche da Cass. n. 50208/19.

La Cassazione penale, sez. V, n. 36970 del 07.09.23 ha confermato l'orientamento espresso nelle due sentenze del 2019.

La vicenda, che ci occupa, nasce da un ricorso avverso un'istanza di riesame presentata da un indagato, pubblico ufficiale, sottoposto agli arresti domiciliari per i reati di tortura, lesioni, falso, calunnia e tentata concussione. In particolare, il reato di tortura sarebbe stato commesso, in concorso con i suoi sottoposti (essendo egli Dirigente della Polizia Penitenziaria), ai danni di un detenuto riottoso. L'indagato viene accusato di non aver tentato una mediazione effettiva con il detenuto, ma di aver subito predisposto i poliziotti alla tenuta antisommossa e, col pretesto di trasferire il detenuto da una sezione all'altra dell'istituto penitenziario, non ha impedito che quest'ultimo fosse colpito – in risposta ai suoi comportamenti aggressivi – dai poliziotti. Il detenuto è stato poi perquisito, percosso nella nuova cella e lasciato seminudo e senza coperte per circa tre ore, facendogli patire il freddo in pieno inverno e senza che fosse soccorso.

Il difensore ha contestato la sussistenza di elementi fattuali che avrebbero fatto propendere il Tribunale del riesame per la sussistenza del reato di cui all'art. 613 bis c.p. Nello specifico, non sarebbe stata considerata la circostanza per cui la condotta dell'indagato non potrebbe essere ritenuta abituale, tenuto conto del fatto che il contatto tra indagato e persona offesa era durato al massimo 10 muniti. Inoltre, il difensore lamentava l'erronea applicazione della legge in riferimento alla contestazione dell'art. 613 bis c.p. comma quarto, sostenendo che le lesioni dovessero essere ritenute assorbite nel reato di tortura ex art. 84 c.p. e non contestate in concorso.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso.

Relativamente alla sussistenza dell'abitualità necessaria per integrare il reato di tortura, si ritiene che tale assunto sia stato provato dal Tribunale del riesame, che descrive la reiterazione, nell'arco di tempo in cui la condotta si è snodata delle condotte violente, inumane e degradanti, specificando anche le condotte ritenute riconducibili alla fattispecie e la loro protrazione per tutto il pomeriggio.

Ulteriormente la Cass. afferma che "la circostanza aggravante ex art. 613 bis c.p., comma 4, si configura quando le condotte violente, oltre a concretare le acute sofferenze fisiche di cui al comma 1, determinino anche, nella vittima, conseguenze sulla sua integrità fisica. Ne deriva che può essere affermata in questi casi la possibilità di un concorso tra i reati di tortura e lesioni personali e che non vi sia materia per un assorbimento, dal momento che il legislatore non ha previsto, come elemento necessario ad aggravare l'aggravante in discorso, che sia commesso il reato di cui. All'art. 582 c.p., ma ha solo valorizzato il dato concreto delle conseguenze patite dalla vittima".