Il reddito di cittadinanza dopo il correttivo del D.L. 48/2023: un caso di abolitio sine abolitione

22.06.2024

Inquadrando preliminarmente il decreto legge n. 4 del 28 gennaio 2019, convertito con modificazioni dalla legge n. 26 del 28 marzo 2019, questo ha introdotto nel nostro ordinamento il cosiddetto "reddito di cittadinanza". 

All'articolo 7 del citato decreto è sanzionata la condotta di "chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all'articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute"; così come "l'omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio entro i termini di cui all'articolo 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11", punito con la reclusione da uno a tre anni.

L' articolo 7 comma 3 prevede, inoltre, che alla condanna con sentenza passata in giudicato per uno dei reati ivi indicati "consegue di diritto l'immediata revoca del beneficio con efficacia retroattiva e il beneficiario è tenuto alla restituzione di quanto indebitamente percepito".

Il legislatore con l'articolo 1, comma 318, della Legge di Bilancio 2023 ha previsto testualmente che "a decorrere dal 1° gennaio 2024 gli articoli da 1 a 13 del D.L. 28 gennaio 2019, n. 4 convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2016, n. 26 sono abrogati".

Tra gli articoli oggetto dell'abrogazione, i cui effetti sono stati differiti al 1° gennaio 2024, vi è anche l'articolo 7 del decreto sul reddito di cittadinanza, cioè la norma incriminatrice. Pertanto, tale abrogazione, anche se posticipata al 1 gennaio 2024, avrebbe comportato l'applicazione del principio di retroattività della lex mitior, di cui all'articolo 2 comma 2 del codice penale, che avrebbe travolto non solo i procedimenti penali pendenti ma anche le sentenze di condanna irrevocabili. Questo scenario avrebbe significato una generalizzata impunità per coloro che avevano già violato la normativa sul reddito di cittadinanza e un "effetto criminogeno" per tutti coloro che, in virtù della abrogazione, avrebbero confidato sulla successiva impunità per delinquere.

Per evitare questi effetti l'articolo 13 comma 3 del D.L. n. 48 del 2023 ha sancito che al beneficio di cui all'articolo 1 del D.L. n. 4 del 2019 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all'articolo 7 del medesimo decreto-legge, vigenti alla data in cui il beneficio è stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023, assecondando un orientamento che si registra anche in ambito giurisprudenziale.

A tal proposito, infatti, occorre citare la cosiddetta sentenza Cipolla (Cass. pen., Sez. V, sentenza n. 45104 del 4.11.2022) che ha escluso, in riferimento al differimento del periodo di vacatio legis della Riforma Cartabia, l'applicabilità delle norme più favorevoli che mutavano il regime della procedibilità di alcuni reati. Allo stesso modo anche la Corte costituzionale, con la sentenza n. 151/2023, si è espressa sul punto sancendo che un atto normativo, alla luce del principio di retroattività della lex mitior, è inibito dal non aver conseguito l'atto stesso alcuna efficacia obbligatoria in caso di differimento dell'entrata in vigore. "Non può, dunque, aversi alcuna applicazione del principio di retroattività in mitius e, di riflesso, del divieto di ultrattività di una normativa penale in malam partem, senza che si sia determinato un fenomeno di successione di leggi nel tempo".

Del resto, secondo un orientamento della giurisprudenza costituzionale ormai consolidato, il principio della retroattività della lex mitior trova fondamento non nell'articolo 25 della Costituzione (come l'articolo 2 comma 1 del codice penale sull'irretroattività della norma penale), ma nel principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione, per cui le modifiche in melius delle norme penali, e a maggior ragione l'abolitio criminis, essendo espressione di una mutata valutazione del disvalore del fatto tipico, devono necessariamente essere applicate anche ai fatti pregressi commessi sotto la vigenza della normativa meno favorevole. Tuttavia, sottolinea la Corte Costituzionale, tale principio non ha carattere assoluto, sicché può essere derogato dal legislatore, a condizione che tale scelta sia "ragionevole" e preordinata a tutelare interessi di analogo rilievo costituzionale[1].

Il principio di irretroattività della norma penale sfavorevole, invece, non ammette deroghe ed eccezioni, in quanto nella misura in cui rappresenta uno strumento di garanzia del cittadino contro gli arbitri del legislatore ed esprime l'esigenza della "calcolabilità" delle conseguenze dalle libere azioni dell'individuo.

Nel caso di specie, dunque, l'articolo 13 comma 3 del D.L. n. 48 del 2023 supera il vaglio della ragionevolezza dato che la scelta di conservare il disvalore penale dei fatti sussumibili nell'articolo 7 D.L. n. 4/2019 fino al 31 gennaio 2023 risponde sia all'esigenza di impedire la generalizzata impunità per coloro che, durante la vigenza del D.L. n. 4/2019, hanno indebitamente percepito il reddito di cittadinanza, sia di evitare falle nel sistema che determinano la impunità di tali condotte criminose fin a quando il reddito di cittadinanza non sarà sostituito dall'assegno di inclusione, beneficio di natura simile alla cui tutela sono state previste altre norme incriminatrici.

Dott.ssa Gemma Colarieti

[1] Cfr. ex multis Corte cost. sentenze nn. 393/2006, 394/2006, 72/2008, 215/2008, 236/2011, 183/2021.