Regime di 41-bis O.P. e compatibilità costituzionale: “Alfredo Cospito” tra i casi di cronaca più rilevanti
*** La nostra Carta Costituzionale pone tra i valori fondamentali in materia di libertà personale, all'art. 27 Cost., il principio rieducativo, sancendo che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione". Ciononostante, all'art. 41-bis O.P. è previsto che, in situazioni di emergenza, possano essere sospese le ordinarie regole di trattamento dei detenuti, istituendo il regime del c.d. "carcere duro". La compatibilità costituzionale di tale istituto è stata e resta al centro di un annoso dibattito dottrinale e giurisprudenziale, da ultimo nuovamente interessato dal noto caso di cronaca "Cospito". ***
Concepito durante il periodo stragista quale misura eccezionale e di temporanea applicazione, il c.d. "carcere duro" rappresenta tutt'ora una delle risposte sanzionatorie più immediate in materia di criminalità organizzata. La ratio di tale istituto si giustifica in ragione della maggiore pericolosità ravvisabile in alcuni detenuti, determinata dal sopravvivere del legame con le associazioni criminali di appartenenza, che consente loro di continuare a delinquere anche da dentro le mura.
Le ragioni storiche che portarono all'introduzione di tale istituto si individuano a seguito della strage di Capaci, allorquando il Decreto Antimafia Marelli-Scotti (n. 306 dell'08/06/1992, convertito in Legge n. 356 del 07/08/1992) ha esteso la portata originaria della norma introdotta nel 1986[1], che prevedeva un unico comma con cui veniva riconosciuto al Ministro della Giustizia la facoltà di sospendere le normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati in "casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza"[2]. L'ambito applicativo è stato ulteriormente esteso a seguito delle modifiche del 2002 e, da ultimo, del 2009[3], novelle che hanno recepito il contenuto di plurime pronunce emesse dalla Corte Costituzionale tra il 1993 ed il 2002 al fine di adeguare la portata del c.d. "carcere duro" ai canoni costituzionali della pena.
L'attuale formulazione dell'art. 41-bis della Legge sull'ordinamento Penitenziario prescrive una misura che incide notevolmente sui diritti fondamentali della persona, andando a comprimere qualsivoglia facoltà connessa alle comunicazioni ed ai legami del detenuto con il mondo esterno – ma anche con quello all'interno delle mura – nonché l'espletamento delle più basilari attività quotidiane.
Invero, il legislatore ha tipizzato al co. II-quaterdella predetta norma le restrizioni applicabili ai diritti individuali: al detenuto ristretto al regime di carcere duro viene riservata una cella per starvi da solo, potendo avere rapporti con gli altri detenuti della sezione speciale solo nelle due ore d'aria al giorno previste ed in gruppi di massimo quattro persone. I colloqui sono limitati ad uno al mese – e solo con familiari stretti, potendo essere concessi quelli con soggetti estranei al nucleo familiare solo in casi eccezionali e motivati, al fine da ridurre le occasioni di rischio di introduzione di materiale non consentito – ed espletati attraverso un vetro divisorio e mediante registrazione, oltreché sotto la vigilanza della Polizia Penitenziaria, mentre quelli telefonici sono autorizzati solo per una volta al mese, per dieci minuti e sempre soggetti a registrazione. Anche il diritto alla corrispondenza viene fortemente limitato[4], essendo onere dell'Amministrazione Penitenziaria quello di verificare il contenuto della posta, libri, riviste e stampa di ogni genere in entrata ed in uscita, con conseguente totale soppressione della privacy[5].
Se nel periodo storico di introduzione il c.d. "carcere duro" non destava particolari dubbi di compatibilità costituzionale, essendo certamente prevalente l'esigenza di sicurezza dello Stato e di protezione della collettività, analizzando criticamente l'istituto alla luce dei nostri giorni si riscontra più che qualche perplessità, apparendo complesso il bilanciamento tra l'afflittività tipica di tale misura, in termini di durata e modalità di applicazione, ed la garanzia dei diritti fondamentali della persona.
Invero, sebbene rispetto al momento di origine il regime di 41-bis O.P. sia stato epurato di una serie di caratteri illiberali[6], anche conseguentemente alle pronunce evolutive della Consulta – pur non riconoscendone mai l'illegittimità costituzionale ma, al contrario, ritenendolo idoneo al contrasto del fenomeno mafioso – e della Corte Edu – che ha riconosciuto la compatibilità del 41-bis O.P. con l'art. 3 della CEDU [7] – le condizioni di totale isolamento del detenuto o ristretto e l'assenza di qualsivoglia attività risocializzante e programma di trattamento conducono a formulare riserve sul rispetto di alcuni valori inviolabili dell'uomo, ponendosi in palese contrasto con il principio di umanità e dignità, nonostante il perimetro delineato dalla Corte Costituzionale al fine di non vanificare la finalità rieducativa della pena e violare il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità.
Tale compressione sproporzionata dei diritti dei condannati, oltre a vanificare quella intrinseca caratteristica costituzionalmente attribuita alla pena, che deve sempre tendere al reinserimento sociale del reo, non può giustificarsi unicamente in ragione del titolo di reato per cui si è detenuti[8], in assenza di una comprovata permanenza del legame con le associazioni di provenienza. E proprio tale accertamento, che costituisce la premessa per l'applicazione o la proroga del regime del 41-bis O.P., spesso si rileva non sufficientemente approfondito e, quindi, determina il riaccendersi della querelle costituzionale.
Da ultimo, simile modus operandi è stato riscontrato nel noto caso di cronaca di Alfredo Cospito, condannato ad oltre 20 anni di carcere[9] e dal maggio 2022 ristretto al c.d. "carcere duro" a Sassari, atteso il suo ruolo di capo ed organizzatore di un'associazione con finalità di terrorismo: la posizione di spicco rivestita nell'organizzazione anarchica di appartenenza è stata ritenuta elemento da cui dedursi una maggiore pericolosità sociale giustificante la misura in esame.
Nonostante i numerosi giorni di sciopero della fame condotto da Cospito tra il 2022 ed il 2023, al fine di riportare l'attenzione sul delicato dibattito circa la compatibilità costituzionale del regime del 41-bis O.P. – impresa inizialmente accolta anche dalle Camere e dal Governo, tuttavia scemata man mano che le sue condizioni di salute miglioravano – non può registrarsi alcuna evoluzione sul tema, essendo stata, al contrario, ribadita ancora una volta la piena legittimità dell'istituto.
Infatti, il Tribunale di Sorveglianza di Roma il 23/10/2023 rigettava il ricorso presentato dal prevenuto per l'interruzione del regime di carcere duro, nonostante il parere favorevole della D.D.A., confermando il 41-bis O.P. stante l'estrema pericolosità sociale riconosciuta a Cospito. Ricorso per Cassazione, la Suprema Corte ne dichiarava l'inammissibilità, ravvisando tutt'ora in essere il legame tra lo stesso ed il gruppo criminale all'esterno.
Il riferimento a tale vicenda giudiziaria, oltreché il richiamo alle plurime criticità connesse all'immutabilità del c.d. "carcere duro", conducono all'ovvia conclusione di auspicare un pronto intervento del Legislatore – sulla scia progressista della Giurisprudenza nazionale ed Europea – al fine di adottare una concreta modifica di un istituto naturalmente concepito per non poter incarnare quei valori che la nostra Carta Fondamentale richiede per il trattamento detentivo, così da garantire il rispetto dei diritti fondamentali ed inviolabili dell'individuo.
[1] Originariamente il II comma dell'art. 41-bis O.P. prevedeva una durata di soli tre anni dall'emanazione del decreto.
[2] La norma corrente sancisce che il regime di carcere duro venga disposto con decreto motivato del Ministro della Giustizia, anche su richiesta del Ministro dell'interno, su parere del PM e del Giudice, acquisite tutte le informazioni dalla DDA e dalle Forze di Polizia specializzate nel contrasto della criminalità organizzata, terroristica ed eversiva, per una durata di quattro anni, prorogabile per ulteriori periodi qualora i collegamenti con le associazioni criminali o terroristiche dovessero essere ritenute sussistenti. I presupposti applicativi sono di ordine oggettivo (essendo ammissibile solo per gli autori di quei reati previsti al I comma, ovverosia quelli commessi con l'agevolazione delle associazioni di tipo mafioso) e soggettivo (dovendosi riscontrare nel soggetto "elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un'associazione criminale, terroristica ed eversiva").
[3] Rispettivamente L. n. 279 del 22/12/2002, che ha reso permanente il regime detentivo speciale, e L. n. 94 del 15/07/2009.
[4] A seguito di pronunce della Corte Costituzionale (cfr. Sent. n. 143/2013, con cui è stata riconosciuta la libertà di comunicazione con il difensore in ogni forma e, da ultimo, Sent. n. 18/2022), è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale del comma II-quater dell'art. 41-bis O.P. nella parte in cui non esclude al visto di censura la corrispondenza tra detenuto ed avvocato, ravvisandovi una violazione del diritto di difesa.
[5] Sul punto si è espressa a più riprese la Consulta, al fine di ribadire la legittimità di simile controllo sulla corrispondenza (cfr. Sent. n. 122/2017 sul divieto imposto ai detenuti sottoposti al 41-bis O.P. di scambiare riviste e libri con i familiari).
[6] Basti pensare che il detenuto era privo di tutela giurisdizionale, mentre nell'attuale formulazione avverso i provvedimenti di applicazione e proroga è possibile proporre reclamo al Tribunale di Sorveglianza e, contro l'Ordinanza, ricorrere per Cassazione.
[7] Purché comporti una forma di isolamento solo relativo e non a tempo indeterminato, "per gli effetti dannosi che ne possono derivare sulla salute fisica e psichica del detenuto" (cfr. CEDU Ocalan c. Turchia, Sent. del 18/03/2014).
[8] Attinenti alla sfera di criminalità organizzata mafiosa, ma anche terroristica ed eversiva.
[9] Per l'attentato alla scuola allievi Carabinieri di Fossano del 02/06/2006.