Esclusa la responsabilità amministrativa dell’Ente per un reato commesso dal manager delegato alla sicurezza
Cass. Pen, Sez. IV, 2 agosto 2024, n.31655
La Corte di cassazione ha annullato senza rinvio la decisione della Corte d'appello di Roma con la quale confermava la condanna irrogata in primo grado nei confronti di una nota società italiana, ritenuta responsabile per l'illecito amministrativo di cui all'art.25 septies d.lgs. 231/2001, in relazione all'omicidio colposo di due suoi dipendenti.
La vicenda giudiziaria trae origine dal rapimento di quattro tecnici della s.p.a., inviati presso i cantieri in Libia, e dal successivo decesso di due di loro nel corso di un conflitto a fuoco tra i sequestratori e i soggetti terzi, avvenuto durante il trasferimento da un luogo di restrizione ad un altro.
Come ricostruito dal giudice di primo cure, i componenti dell'organo apicale, titolari del dovere di individuazione e valutazione dei rischi aziendali, nonché il dirigente nelle funzioni di operation manager per la Libia non avevano adottato le misure necessarie per tutelare l'integrità fisica dei lavoratori.
In particolare, il c.d.a. aveva omesso di definire le procedure e di dare direttive in ordine alla gestione del rischio durante il trasferimento presso gli impianti nel territorio libico, mentre il dirigente aveva ordinato il trasferimento dalla Tunisia al cantiere via terra, piuttosto che via mare, e su un automezzo condotto da un autista privato libico senza alcuna scorta armata o altre cautele per proteggere i dipendenti.
La Corte capitolina ha, dunque, confermato la responsabilità amministrativa dell'ente affermando che la stessa non si era dotata di un modello di organizzazione e gestione idoneo a prevenire decisioni dei dirigenti imprudenti, improvvise e rischiose per i dipendenti e non aveva elaborato un codice disciplinare volto a sanzionare condotte contrarie allo stesso.
Inoltre, a parere dei giudici di merito, il personale non era stato adeguatamente formato rispetto ai rischi esogeni ed endogeni del paese in cui operavano, ben noto per la forte instabilità politica.
La Suprema Corte – accolto il ricorso proposto dalla società - ha escluso "ogni profilo di responsabilità sotto forma di colpa di organizzazione a carico dell'organo gestorio, ma anche il nesso di causalità con gli eventi dannosi verificatesi".
Dopo alcune brevi premesse sulla responsabilità amministrativa degli Enti, i giudici di legittimità hanno profondamente criticato l'excursus logico-giuridico della Corte territoriale che, disattendendo l'orientamento maggioritario in materia, non ha seguito quel "percorso di natura sostanziale" richiesto per accertare l'esistenza in concreto di una "colpa di organizzazione" in capo alla società, onde evitare un automatico riconoscimento di responsabilità in capo all'ente per il solo fatto che un reato è stato commesso nell'ambito dell'organizzazione societaria.
Successivamente, la S.C. ha ribadito che, ai fini della configurabilità della responsabilità da reato degli enti, non è sufficiente accertare ex se la mancanza o inidoneità del modello organizzativo oppure la loro inefficace attuazione, essendo necessario dimostrare l'esistenza della citata "colpa di organizzazione", che caratterizza la tipicità dell'illecito amministrativo ed è distinta dalla colpa degli autori del reato.
La Cassazione ha poi richiamato il concetto di "colpa di organizzazione", da intendersi in senso normativo e fondata sul rimprovero per l'inottemperanza da parte della società dell'obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati colposi, posti in essere in violazione della normativa antinfortunistica.
I giudici di legittimità hanno, dunque, escluso una responsabilità colposa dell'ente avendo quest'ultimo predisposto sia le cautele che gli accorgimenti preventivi idonei a evitare la commissione di reati della stessa specie di quello verificatosi.
Per quanto riguarda i criteri, alternativi e concorrenti, dell'interesse e del vantaggio, la Corte di cassazione, contrapponendosi ancora una volta alle argomentazioni dei giudici di merito, ha considerato il vantaggio patrimoniale occasionale ed esiguo in quanto frutto dell'iniziativa estemporanea di un singolo dirigente della società e oggettivamente non apprezzabile rispetto alle dimensioni societarie.
La Suprema Corte è poi tornata ad analizzare il requisito della "sistematicità della violazione" che non costituisce un elemento della fattispecie tipica dell'illecito dell'ente, bensì attiene al piano prettamente probatorioe rileva "quale possibile indice della sussistenza e 'consistenza', sul piano economico, del vantaggio, derivante dalla mancata previsione e/o adozione delle dovute misure di prevenzione" (Cass. pen. Sez IV, n.33976/2022).
Tuttavia, pur volendo considerare il criterio di imputazione oggettiva del vantaggio societario e, quindi, la responsabilità dell'ente, sussistente anche a fronte di una singola condotta illecita, è bene valutare anche altri elementi fattuali, tra i quali, l'effettivo vantaggio patrimoniale conseguito che deve essere oggettivamente apprezzabile (ad esempio in termini di fatturato o di ampliamento dei settori di operatività, ed eziologicamente collegato all'attività societaria).
In conclusione, i giudici di legittimità hanno ritenuto la società non responsabile del comportamento del proprio operation manager in quanto correttamente dotata di un modello di organizzazione e gestione che, con una valutazione ex ante necessariamente correlata anche al costante rispetto fino a quel momento delle prescrizioni impartite dal suo c.d.a., si era dimostrato idoneo a prevenire anche il rischio che si è tragicamente concretizzato con la morte dei tecnici nel territorio libico.